Colloquio con Sergio Campailla, studioso e scrittore cui si deve gran parte di quanto sappiamo del pensatore goriziano

Un autoritratto di Carlo Michaelstaedter
Duplice. Edipico. Fascinoso. Contagioso. Pericoloso. Uno che costeggiava l’abisso. Così è il Carlo Michelstaedter di Sergio Campailla, lo studioso e scrittore cui si deve gran parte di quanto sappiamo del pensatore goriziano, la sua più documentata biografia ?e la pubblicazione con Adelphi, nell’arco ?di trent’anni, dell’intera sua opera e dell’epistolario non censurato.

Michelstaedter scriveva dell’assoluto ?e della morte, si è suicidato a 23 anni, esercita sui giovani una fascinazione ambigua. Suonerà come una provocazione, ma quanto c’è in lui di tardo-adolescenziale?
«Ah, punto dolente. Tutta la sua parabola si compie all’interno di una condizione ?e un universo giovanili: è il suo limite, ?ma anche la ragione del suo straordinario fascino. È contagioso: ricevo su di lui lettere da ogni parte del mondo, vi traspare un coinvolgimento emotivo intensissimo, persino violento. Lo vuole sapere? È il motivo per cui mi sono ripromesso, io per decenni ordinario di Letteratura italiana a Genova e Roma, di non tenere mai un corso su di lui. Mi sono sempre guardato dall’epidemizzare ?i giovani alla malattia Michelstaedter».

Di cui lei è stato un po’ il paziente zero...
«Il mio primo incontro con Michelstaedter risale al ’72 allorché, ventisettenne, venni chiamato come esecutore testamentario ?di sua sorella Paula dal di lei figlio Carlo Winteler. Portai alla Biblioteca di Gorizia testi, disegni e quadri, e con il direttore di allora organizzai il Fondo Michelstaedter. Sui giornali ancora si scriveva del nostro come ?di “un modesto erudito locale”».

Tre testi sono stati però bruciati...
«È vero. Winteler aveva un rapporto sofferto con lo zio. Mi mostrò la settima appendice ?a “La persuasione e la rettorica”, una scomposta invettiva contro le zanzare e i carabinieri, un discorso polverizzato, scritto in un momento di delirio, nella fase terminale. Va distrutto, disse. E così fece».

Il che ci porta alle ragioni della sua morte. Il refrain sul “suicidio metafisico” comincia con un breve articolo di Giovanni Papini.
«Steso a caldo sui “si dice”, Papini non sapeva nulla di Michelstaedter. E la sua tesi non sta in piedi: Carlo si spara il giorno del compleanno della madre, dopo un diverbio con lei. Era legatissimo a questa donna semplice e potentissima, come da tradizione delle mamme ebree. Le scriveva: “Ora ?è tempo che tu riceva e io dia, che ti sia ?per la mia azione veramente l’uomo ?che hai sognato”».

Freud ci sarebbe andato a nozze.
«Michelstaedter, a differenza di Svevo, ?non conosceva Freud, ma il quadro è psicanalitico, non c’è dubbio. Il rapporto ?con suo padre ne è la controprova».
L’estroso scrittore di un’ironica dissertazione sul dormire, ?“L’uomo e il letto”?

«E di una sulla menzogna. Faccia caso: l’esatto opposto della “persuasione” di cui scrive Carlo. Il figlio prima interiorizza, poi ribalta e si ribella. In un suo disegno lo raffigura mentre sale in cielo verso il dio che lo accoglie a braccia aperte: ma indossa ?una specie di gonna e ha i tacchi a spillo: terrificante. In un altro disegno è una sfinge. Difficile immaginare una situazione ?più edipica di così».

Gli altri due testi bruciati per volontà ?del nipote Winteler?
«Lettere di Nadia Baraden, la donna di cui Carlo s’era innamorato a Firenze senza ?mai possederla: in una lei rifiutava le sue avances intimandogli di “tenere le mani ?a posto”, nell’altra raccontava il dramma d’esser stata violentata dallo zio. Ho ricostruito la sua storia di ebrea russa, intellettuale rivoluzionaria, suicida nel 1907, nel libro “Il segreto di Nadia B.”: prima ?si ignorava persino il suo cognome».

Rapporti complicati, quelli di Carlo con ?le donne?
«Carlo ha da ultimo una fidanzata, Argìa Cassini, in greco il suo nome è “pace”, e lui nella lingua di Omero che padroneggia come l’italiano e il tedesco ci ricama un calembour “dall’energia alla pace”. Ma la pace più alta è la morte: come nella poesia sul canto delle crisalidi, anche quel piccolo testo si riavvita sul ciclo vita-morte, amore-morte».

«Far di se stesso fiamma all’infinito», scrive Michelstaedter. «La lampada si spegne ?per mancanza d’olio, io mi spensi per traboccante sovrabbondanza»...
«L’eccesso di vita si rovescia ambiguamente nel bisogno di morte. È la cifra della sua personalità».