Grazie agli investimenti dei paesi arabi, si moltiplicano ?le tecnologie per far piovere. Dalle raffiche di ioni all’inseminazione aerea. Ma la sfida è solo all’inizio

Un tempo ci affidavamo a preghiere e danze della pioggia. Oggi, invece, per propiziare l’arrivo di un bell’acquazzone si fa ricorso alla scienza. Viene chiamata inseminazione delle nuvole, ed è un insieme di tecniche che promettono di creare precipitazioni atmosferiche anche in condizioni meteorologiche sfavorevoli. Fino a qualche tempo fa i leader in questo campo erano nazioni come Israele, Cina e Stati Uniti, ma negli ultimi anni sulla scena è apparso un nuovo protagonista: gli Emirati Arabi Uniti.

Gli emiri infatti hanno deciso di trasformare il paese nel leader mondiale della pioggia artificiale. I soldi per farlo non gli mancano. Quest’anno ad esempio si è tenuto il primo ciclo del Programma di Ricerca degli Emirati Arabi Uniti per l’aumento delle precipitazioni piovose, un concorso a cui hanno aderito oltre 325 esperti internazionali, che hanno gareggiato per l’assegnazione di tre borse da cinque milioni di dollari. A dividersi il bottino sono stati un team giapponese, uno degli Emirati e uno tedesco, con progetti che puntano allo sviluppo di sensori per riconoscere le nuvole migliori da inseminare, allo studio di nuovi nanomateriali e tecniche con cui migliorare l’efficacia dell’inseminazione.

Perché si formi la pioggia, il vapore acqueo contenuto in una nuvola deve condensarsi e produrre gocce abbastanza grandi da precipitare al suolo. Nelle cosiddette nubi fredde, più diffuse alle nostre latitudini, questo avviene solitamente con il passaggio alla “fase ghiaccio”, cioè quando la temperatura scende abbastanza da permettere la formazione di cristalli di ghiaccio. «Quando si raggiunge la fase ghiaccio l’acqua forma cristalli che attirano le goccioline circostanti, e poi precipitano sciogliendosi e trasformandosi in gocce di pioggia», spiega Franco Prodi, professore di fisica dell’atmosfera dell’Università di Ferrara e coordinatore del team italiano che ha partecipato al concorso degli Emirati Arabi Uniti. Nelle nuvole, aggiunge l’esperto, l’acqua però non ghiaccia sempre a zero gradi, anzi: diversi fenomeni atmosferici possono abbassare la temperatura a cui le goccioline di acqua si trasformano in ghiaccio, portandola anche al di sotto dei -40 gradi. Ed è proprio su questi processi che gli scienziati hanno imparato a intervenire per indurre artificialmente la pioggia.

Come hanno dimostrato una serie di esperimenti svolti intorno alla metà del secolo scorso dal chimico americano Vincent Schaefer e dal climatologo Bernard Vonnegut, esiste una particolare categoria di sostanze che possiedono una struttura cristallina simile a quella del ghiaccio, e che introdotte nelle nuvole possono aumentare notevolmente la temperatura a cui le gocce d’acqua si trasformano in cristalli di ghiaccio. È con queste sostanze definite nucleanti, come lo ioduro d’argento, che oggi si inseminano le nubi fredde.

«Di norma una nuvola deve raggiungere almeno i -15 gradi perché abbia inizio la fase ghiaccio, ma con lo ioduro d’argento questo può avvenire anche a una temperatura di circa -8 gradi», chiarisce Prodi. Nelle aree più calde però la situazione è un po’ differente. «Nelle zone tropicali queste tecniche non possono essere utilizzate», continua infatti l’esperto, «perché le precipitazioni hanno origine a temperature più alte, e sono dovute a processi fisici differenti. A queste latitudini si utilizzano invece sostanze igroscopiche, come il sale, che hanno la capacità di favorire la formazione di goccioline d’acqua, e attraverso un meccanismo definito coalescenza stimolano la formazione di gocce sufficientemente grandi da precipitare al suolo».

Con entrambe le tecniche il risultato è lo stesso: le sostanze vengono liberate all’interno delle nuvole da speciali aerei, aumentando, almeno in teoria, la probabilità che si verifichino precipitazioni.
L’inseminazione delle nuvole comunque non è l’unica soluzione sviluppata dalla scienza per sfruttare l’acqua delle nubi. In Cile ad esempio si è pensato di “catturare” le nuvole utilizzando speciali reti: strutture composte da fili sottilissimi che riescono a condensare le gocce contenute nelle nubi. Quando si forma dell’acqua sulle maglie delle reti, il liquido scorre quindi fino a terra, dove viene utilizzata per innaffiare colture vegetali, o raccolta per il consumo.

Una soluzione ancor più tecnologica è quella sperimentata di recente ad Abu Dhabi, negli Emirati, dove l’azienda svizzera Metro Systems International ha messo in funzione 20 giganteschi emettitori di ioni, che dovrebbero riuscire a promuovere la formazione di nubi. Secondo i suoi costruttori, il sistema avrebbe provocato circa 50 temporali solo nell’estate del 2011, ma come per tutti gli altri metodi descritti finora, è difficile verificarne i risultati.

Nella comunità scientifica, poi, non tutti sono convinti che le tecniche per indurre la pioggia artificiale siano efficaci. O almeno, che i risultati siano sufficienti a giustificare il ricorso a queste tecnologie. La fisica su cui si basa l’inseminazione delle nuvole è fondata, ma molti ricercatori ritengono che per ora i risultati in termini di pioggia siano altalenanti. Verificare cosa succeda realmente è infatti complicato, e secondo importanti istituzioni internazionali come lo United States National Research Council americano, o la Federation of Meteorology australiana, i pochi dati affidabili raccolti negli ultimi 50 anni dimostrerebbero anzi un’efficacia assai limitata, che non supererebbe il 10/30 percento dei casi. «Il problema è che le uniche verifiche che sono state effettuate realmente sono di tipo statistico», sottolinea Prodi. «Consistono cioè nel confrontare le precipitazioni che avvengono dopo l’inseminazione con quelle che ci sarebbero state naturalmente. Ma data la naturale variabilità delle precipitazioni, si tratta di controlli poco affidabili».

Un’altra possibilità ancora poco approfondita è quella di effettuare verifiche fisiche: sfruttare i radar con precisione millimetrica oggi disponibili per indagare cosa avviene a livello fisico all’interno delle nuvole, come si propagano le sostanze con cui vengono inseminate e quante gocce di pioggia si formano realmente. È proprio quello che propone di realizzare il progetto presentato per il programma di ricerca degli Emirati Arabi dal team di Prodi: verificare i processi che avvengono all’interno delle nuvole una volta inseminate, per misurare direttamente l’efficacia delle tecniche.