Il dibattito nasce dal crollo dell’ordine occidentale. E dal suo divenire una chiacchiera babelica, un magma di informazioni. ?In cui ciascuno si specchia nei propri errori

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Ormai da qualche decennio l’impotenza a definire con i suoi nomi propri l’essenza dell’epoca in cui siamo entrati, o meglio saltati, viene pudicamente mascherata facendo precedere un “post” al vecchio nome, che mantiene tutti i suoi cari e famigliari contenuti. “Post-moderno” fu il Padre di tutta questa schiatta di “post”: non una sola virgola di ciò che con esso si intende non era già stata indagata e compresa dai grandi maestri che ci hanno insegnato la storia della “rivoluzione permanente” occidentale dal tardo Medioevo fino alla grande tragedia novecentesca.
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Ma il “post” naturalmente cambiava tutto agli occhi di coloro che quei maestri non avevano letto, o diligentemente ricopiavano senza citarli. “Post-verità” sembra l’ultimo, e per certi aspetti il più rivelatore, di questi giochetti lessicali. Poiché è dalla crisi dei grandi sistemi dell’idealismo classico che alcune delle correnti di pensiero che, piaccia o no, hanno formato la cultura dell’Occidente contemporaneo, si muovono esattamente in questa prospettiva. Nulla, cioè, di più novecentesco della “post-verità”; le stesse ideologie del Novecento ne sono tutte espressione: non c’è la Verità, ma il punto di vista della mia parte, e soltanto da esso posso giudicare il mondo, ecc. ecc.
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Ermeneutiche deboli o forti, apologie più o meno critiche del politeismo democratico, fino a imprese filosofiche anche di grande spessore modellate sulla forma di razionalità propria delle scienze della natura, concependo la verità come una costruzione del nostro pensiero riferita di volta in volta a stati di fatto particolari, e dipendente dal soggetto interpretante, ne hanno fatto qualcosa di relativo, cioè appunto una “post-verità”.

Gli stessi grandiosi conflitti consumati in suo nome nel passato vengono oggi relativizzati perfino nel grembo delle antiche Chiese; si scatenavano guerre feroci tra chi pensava di possederne il monopolio? Puri fraintendimenti. Avevano in fondo tutti ragione, Basta storicizzare un po’ e le differenze impallidiscono fino a svanire come fumo. Spegniamo quegli incendi con l’acqua benedetta di un po’ di “post-verità”.

Il problema sta nel fatto che l’impetuosa corrente del “post-verità” è diventata da forma di comparazione relativistico-storicistica dei valori in base ai quali l’uomo è in qualche modo costretto a orientare la propria vita, una totale indifferenza nei loro confronti. C’è allora da chiedersi se una tale “post-verità”sarà in grado di confrontarsi con le sfide che il nuovo millennio va presentando. Combattere per difendere l’indifferenza nei confronti di ogni posizione di valore, al di là di ciò in cui io valuto consista il mio interesse e la mia sicurezza, potrebbe risultare assai problematico. Nella storia, e forse è così anche in natura, non si procede in modo semplice e lineare, ma attraverso rotture, discontinuità, terremoti. Ordini secolari entrano in crisi e prima che altri si formino dell’Ordine può darsi una ricerca soltanto.

Quel che è certo è che tali Ordini assumono per un’epoca valore simbolico, sono energie che penetrano nell’esistenza e ne determinano i comportamenti. I simboli del Moderno (Deo gratias) si sono consumati nell’idea di “post-verità”. Ma questa non è in alcun modo in grado di riformare un ordine simbolico. Dunque, con essa siamo destinati a rimanere nel disordine attuale. Esso si riflette altrettanto chiaramente nel magma senza senso e senza fine di informazioni, pseudo-comunicazioni (comunicare è per certi versi l’opposto di informare), scatenamento di pulsioni, nella cui rete oggi viviamo (esempio paradigmatico di alienazione nel senso tecnico del termine: una grandiosa impresa del cervello sociale, dell’Intelletto umano, della cui logica e struttura nessuno o quasi dei suoi utilizzatori conosce alcunché), nella chiacchiera babelica in cui è caduta la politica occidentale da quando è venuto meno l’Ordine dettato dai due Titani vincitori dell’ultima Guerra. Specchio di disordine di idee e foriera di colossali errori.

Ma l’errore presuppone una verità di qualche tipo. E l’errore può sempre essere corretto. La confusione oggi regnante nella politica occidentale non può perciò neppure definirsi errore. È un permanente vagolare da occasione a occasione, spesso, tragicamente, del tutto “innocente”, in buona fede. È insomma un “post-errore”.