Matria, Ius soli e gli squadristi da tastiera

La miseria dell’Italia si è avuta quando l’identità è stata giocata in senso chiuso. Mentre la sua grandezza è legata al carattere multiculturale. Siamo un Paese che è nato dal meticciato. Ma i neopatrioti non riescono a confrontarsi con il passato

Dopo mesi di polemiche politiche, parlamentari e giornalistiche su ius sanguinis e ius soli, spesso sterili, ci volevano una scrittrice e la forza della scrittura per svelare l’animo nascosto, gli umori profondi che si celano dietro certe discussioni. Michela Murgia, sulle pagine dell’Espresso, ha smosso un fondale di paure, pregiudizi, misoginie, pulsioni fasciste, a proposito di patria e di matria. A difendere la sacralità della terra dei padri sono intervenuti schiere di opinionisti, commentatori, squadristi e squadracce della tastiera. Segno che si è toccato qualcosa di atavico.

Reazioni
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29/11/2017
Nel paese in cui la patria intesa come appartenenza collettiva, Stato, è morta l’8 settembre 1943, come ha scritto più di venti anni fa Ernesto Galli della Loggia, e per dissoluzione interna del regime fascista che pretendeva di aver fondato un impero, oggi tornano a ergersi a paladini dell’identità italica gruppi e gruppuscoli, anche giovanili. Identità che, se esiste, va cercata nella direzione opposta, come si conclude dalla lettura della “Storia mondiale dell’Italia”, pubblicata ora da Laterza, versione italiana della storia mondiale della Francia, uscita un anno fa.

Oltralpe scatenò un dibattito rovente, sembrò mettere in crisi un’identità nazionale già scossa dal crollo di credibilità di partiti e istituzioni della Quinta Repubblica. Anche l’Italia è alla vigilia di un delicato turno elettorale, ma qui da noi la questione della nazione e del suo ruolo nel mondo ruota sulle frustrazioni che vanno dall’eliminazione degli azzurri dai mondiali di calcio al sorteggio che ha tagliato fuori Milano come sede dell’agenzia del farmaco, è sottoposta alla doppia banalizzazione di sovranisti e globalisti che non riescono a confrontarsi con il passato.

Fuorviante la retorica delle radici, come anche quella dell’eredità che allude a un patrimonio (le cose che appartengono al padre...) perché, scrive Andrea Giardina, curatore del volume, «un popolo sta in tutta la sua storia, anche nelle miserie da cui è uscito, nei misfatti redenti o non riconosciuti, negli sperperi materiali e culturali».

Gli squadristi neo-patrioti dovrebbero ricordare che sul piano storico Roma è fondata sul sangue misto, sulla mescolanza dell’Asylum, l’asilo dei rifugiati a cavallo tra le due cime del Campidoglio, in cui trovavano riparo schiavi in fuga, esuli, assassini, migranti. Mentre gli ateniesi, scrive Isocrate, sono «nati dalla terra», i romani sono «genus mixtum», popolo misto, meticciato. A proposito di ius soli e ius sanguinis, nel 212, 1800 anni fa, l’imperatore Caracalla concesse la cittadinanza universale a tutti gli abitanti dell’impero.

La storiografia di età fascista considerò questo atto come l’avvio della decadenza dell’Impero, ma è vero il contrario. La miseria dell’Italia, e spesso la tragedia, si è avuta quando l’identità è stata giocata in senso chiuso, asfittico, provinciale. Mentre la sua grandezza è legata al carattere universalistico, multietnico, multiculturale. Al suo essere, per l’appunto, patria e matria.

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