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Ma quali sono i motivi che portarono il più grande filosofo tedesco del 20° secolo a subire il fascino del nazismo? Qual è il contributo di Heidegger alla storia della filosofia? E, a 90 anni dalla pubblicazione di “Sein und Zeit”, cosa rimane oggi della sua opera?
«Heidegger ci ha insegnato che la filosofia non inizia dai pensieri astratti, ma con l’analisi della vita concreta», comincia a dirci Rüdiger Safranski, accogliendoci nel suo salotto a Badenweiler, a pochi chilometri da Friburgo. E in questa intervista esclusiva Safranski, autore di una delle più suggestive biografie sul filosofo tedesco (“Heidegger e il suo tempo”, edizioni Longanesi) ci spiega perché «nonostante il suo grave antisemitismo, Heidegger resti non solo uno dei pensatori più geniali del Ventesimo secolo, ma un filosofo che ancora oggi, nell’era della schiavitù di internet, ha molto da dirci».
Già, ma intanto in Germania ci si vergogna di una strada che porta il suo nome. Come mai?
«Oggi in Germania c’è una forte propensione a dimenticare le proprie radici culturali. In questo oblio diffuso, il nazismo s’è trasformato in un muro-antincendio e se si guarda alla nostra storia non si cerca altro, da Lutero a Heidegger, che il telos che in modo meccanico doveva sfociare nella barbarie del nazismo».
Torniamo alla primavera del ’27, quando Heidegger pubblica “Sein und Zeit”. Cosa c’era di tanto importante in quel libro?
«Sono due i motivi che spiegano l’importanza dell’opera. Il primo è che Heidegger vi capovolge la domanda che, almeno da Kant, tutti i filosofi si sono posti: com’è che il mondo entra nella mia testa? Con la sua analisi dell’esistenza Heidegger ha distrutto il classico impianto della metafisica e della teoria della conoscenza centrate su un astratto soggetto che sta di fronte a un cosiddetto “oggetto dei sensi”».
Cos’è che non quadra in questo “impianto”?
«Il fatto che, come Heidegger descrive in modo così vivo nel libro, noi siamo già sempre immersi nel mondo. E che la domanda più impellente della filosofia è piuttosto come uscire dalle nostre preoccupazioni quotidiane per riporci quella che, per Heidegger, è la questione fondamentale, quella dell’essere e del tempo».
E la seconda ragione del grande impatto del libro?
«Il fatto che l’uomo non è una cosa tra le altre, ma un essere libero di essere, condannato cioè a riflettere su stesso e a darsi un orientamento. È nelle pagine di Essere e Tempo insomma che nasce l’esistenzialismo».
Nel ’33 Heidegger entra nel partito nazista, diviene rettore a Friburgo e tiene un discorso che Benedetto Croce definì “stupido e servile”. Perché subì il fascino del nazismo?
«Il pensiero di Essere e tempo è radicale non solo perché liquida come vuote e artificiali le questioni della metafisica, ma perché cerca nel Tempo il senso dell’essere. E il Tempo non è un deposito di stabilità, ma una macchina di continua inquietudine e “nientificazione” dei valori».
Che c’entra il Nulla con il fascino, che Heidegger provò, “per le mani del Führer”?
«In quei primi mesi del ’33 il filosofo era rapito dall’entusiasmo per la politica nazista. Il nazismo era per lui “la rivoluzione”. Hitler una rivelazione. E nel momento della Decisione, già tematizzato in Essere e Tempo come l’istante in cui occorre rischiare, lui si allinea al regime assumendo la carica di rettore dell’università di Friburgo».
Oltre all’anno di rettorato, i “Quaderni neri” hanno rivelato il lato ancora più oscuro di Heidegger: il suo antisemitismo. I pregiudizi razziali erano immanenti al suo pensiero?
«Non ci sono dubbi sul fatto che Heidegger nutrisse gravi pregiudizi antisemiti. Ma neanche sul fatto che la sua filosofia è un edificio coerente e che regge anche senza le sue allucinanti dichiarazioni antisemite».
L’antisemitismo quindi non è la conditio sine qua non del suo pensiero?
«In Germania oggi si studia poco e male la filosofia e il pensiero critico è stato sostituito da un approccio inquisitorio. Le opere di Heidegger non si studiano per capirne il pensiero, ma cercandone le tracce di nazismo o antisemitismo. Ma Heidegger non è stato un Kapò nei lager di Hitler, ma un antisemita che non ha lasciato che i veleni razziali inquinassero la sua macchina filosofica. La sua opera non è discreditata dai Quaderni neri, e meno che mai un capolavoro come Essere e Tempo. Detto questo, resta il fatto che all’inizio lui è entusiasta del nazismo e ci sono voluti due altri “Eroi” per convincerlo che s’era illuso».
Si riferisce alle sue interpretazioni delle poesie di Hölderlin e al ciclo di lezioni, dal ’36 al ’40, su Nietzsche?
«Sì, Nietzsche e la sua “volontà di potenza” vengono utilizzati da Heidegger per ricartografare la sua posizione rispetto alla metafisica e alla seduzione del Potere. Da critico del cristianesimo, Nietzsche si trasforma così nell’ultimo esponente di una Modernità sfrenata nell’uso dei mezzi tecnico-razionali. Distanziarsi da Nietzsche voleva dire per Heidegger prender le distanze dal nazismo e da una “immagine del mondo” così razzista e crudamente tecnologica».
E oggi, nell’era dell’informazione digitale e del web, il “Gestell“, il dispositivo Tecnologico di cui parla Heidegger , è più invasivo e virale che mai...
«Ciò che più colpisce nel predominio del digitale è, in termini heideggeriani, la progressiva “Distanza dalla Distanza”. Il contatto e la comunicazione umana, l’approccio alla storia o il modo in cui riflettiamo su noi stessi: tutto sta perdendo Distanza, non solo spaziale, ma anche come rispetto per l’altro. Col risultato che tutto si appiattisce in un presente digitale in cui è sempre più difficile distinguere tra bullshit, fake news, informazione, cultura».
Non per niente una delle categorie centrali di Essere e Tempo è la “Chiacchiera”...
«Dobbiamo ad Heidegger aver aperto, con Essere e Tempo e poi con la sua critica della Tecnica, un nuovo orizzonte critico. È a partire da lui che capiamo come la tecnica non sia solo lo strumento che usiamo, ma qualcosa che penetra nelle nostre vite sino a oscurarne ogni forma di distanza, il linguaggio e la creatività».
C’è un filosofo che più a fondo di Heidegger si sia posto la domanda sulla necessità della poesia e dell’arte in genere?
«Per Heidegger l’arte non ha a che fare con precetti morali, politici o emozioni individuali, ma con l’aprirsi nell’Opera di un mondo che ha la capacità di trasformarci e rimetterci in un rapporto più intenso con la verità dei fenomeni. In Essere e Tempo era il Nulla a indicarci l’essere, nell’Heidegger maturo è l’arte ad assumere questa funzione epifanica».
Nel 1960, Hannah Arendt dedica ad Heidegger l’edizione tedesca di “Vita activa” con queste parole: “Deve a te quasi tutto sotto ogni punto di vista”. Non è strano che la filosofa della natalità riconosca tali meriti al Maestro della morte, del Nulla e del solipsismo?
«Nell’etica di Essere e Tempo è decisiva l’anticipazione della propria morte. Stiamo agli antipodi della natalità e del discorso pubblico come li ha pensati Arendt. Ma è un bel gesto da parte della sua ex allieva ed amante riconoscere che l’opera di Heidegger ha segnato una nuova stagione del pensiero con la scoperta del mondo concreto della vita».
Nell’inverno del 1933 anche Jean-Paul Sartre era a Berlino a studiare Husserl ed Heidegger. È pensabile l’esistenzialismo francese degli anni 50 senza Heidegger?
«No, senza Heidegger non è pensabile l’esistenzialismo né di Sartre né di Alexandre Kojève. Certo, nel suo provincialismo tedesco, Heidegger rifiutò come figlio illegittimo questo esistenzialismo. Che però non sarebbe potuto nascere senza le sue analisi della noia, dell’angoscia e di quella fuga nella quotidianità che è la novità di Essere e Tempo».
Oggi qual è il messaggio della filosofia heideggeriana alle domande del 21° secolo?
«Che l’uomo, al di là della tecnica, possa avere un altro rapporto con le cose e la vita è il messaggio liberante di Heidegger. Nel suo saggio sull’Abbandono Heidegger parla di “riconquista della sovranità”: usiamo pure internet, ma non diventiamone dipendenti, lasciamoci sempre un gioco tra noi, le cose e la libertà di domandare».
Domandare, diceva Heidegger, “è la pietas del pensiero“. Si può ancora pensare nel 21° secolo?
«Nel suo rapporto col nazismo Heidegger non è stato sincero e non si è chiesto sino in fondo il perché dei suoi errori politici. Oggi i segni non sono affatto propizi alla filosofia, l’ossessione tecnologica ci chiude sempre più spazi creativi. Eppure il furore filosofico è troppo umano per spegnerlo del tutto».