Femminicidio, guerre globali, economia incomprensibile: rispetto a questa realtà Dracula, Frankestein, la Mummia assassina, fanno parte di una tradizione rassicurante. Per questo tornano al cinema con costosi effetti speciali. E in libreria. Per digerire con la ragione ciò che ci spaventa e che non riusciamo a classificare né ad accettare

Altro che zombie: i nuovi mostri sono tra noi. E questi sì che fanno paura

Il sonno della ragione genera mostri, recita l’ormai proverbiale sentenza di Goya. Considerato che siamo in un momento storico di sonno profondo, e che la ragione latita in troppi campi del vivere nostro sociale, in assenza di alternative la generazione è appunto mostruosa.

Non a caso ho scritto “generazione”, giocando con il doppio senso del termine. C’è una generazione che, oggi, vive una realtà inedita e inquietante, fondata su un precariato che diventa sempre più a 360° e che solo in senso residuale ha a che fare con il precariato lavorativo, contrattuale, anche solo di un decennio fa. Si tratta piuttosto di un precariato dell’immaginazione, della capacità di credere in mondi e scenari degli stessi che siano abitati da ragionevoli apparizioni e attese. Ma tutto è diverso. E lo percepiamo sempre di più. Quella che era una sorta di previsione apocalittica, come la letteratura di Philip Dick, ad esempio, è il contemporaneo attuato (ma il richiamo più classico, in proposito, è “1984” di Orwell, metafora ben superata dalla cosiddetta realtà che, a sua volta, tende a essere sempre più fantasma di sé).

Ed ecco un’altra parola, “fantasma”, che è “mostruosa”. Le diverse iniziative editoriali che in questo momento ci ripropongono una tradizione artistica e popolare, innanzitutto cinematografica (e quindi ormai centenaria) di “mostri classici” hanno una funzione facilmente decrittabile. Si tratta in fondo di sostituire gli ormai digeriti fantasmi della tradizione, consolidati patrimonio comune, quasi rassicuranti a modo loro, ai mostri nuovi del “presente aumentato” in cui viviamo.

Che significa “presente aumentato”? Significa che il presente in cui viviamo è, o almeno tende a essere, letteralmente “troppo”: esuberante, mostruosamente esuberante com’è, sconfina nel passato e nel futuro inchiodandoci in una sorta di tempo sospeso, quasi per suggestiva (e raggelante) distorsione del tempo stesso che, scorrendo troppo veloce, non siamo più in grado di leggere nella tripartizione classica di ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà. Tutto, in qualche modo, succede adesso. Ma è un “adesso” viziato, bulimico di informazioni, di fatti e di opinioni. È un presente esagerato, che ha (mostruosamente) divorato tutto mentre al contempo, come nella favola di Cappuccetto Rosso (che, a ben guardare, per quanto a lieto fine è un horror) tiene “nella pancia”, nelle viscere, altri esseri, altri tempi.
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Ma le premesse sono tante, e la filosofia ci insegna che non c’è nulla di più difficile da descrivere del momento presente. Lo si può fare parzialmente, e per questo ci concentriamo sull’emblematico ritorno dei “mostri”. Etimologicamente, il mostruoso indica la mirabile eccezione, il “diverso” che è cosa che attira l’attenzione in quanto abnorme. Nell’uso comune, il mostro è piuttosto quanto di disumano ci investe e, socialmente, viene incarnato da eccezioni sociali che mettono paura e generano pericolo, hanno a che fare con il “male”: fino a investire lo spauracchio più forte della nostra società che è quello della morte.

Il mostro, nella mentalità comune, è “l’Altro” che non dovrebbe esserci, ma c’è.

Dicevamo all’inizio della mostruosità della società attuale, delle sue forme inedite (un pazzo al governo degli Stati Uniti in lite con un ragazzo obeso a capo di uno Stato misterioso che giocano a promettersi di sganciare bombe atomiche, per fare un esempio; ma anche un’economia globale sempre più incomprensibile e lontana, con i suoi strani e malefici riti, dalla nostra comprensione; la progressiva sparizione del lavoro retribuito; il femminicidio quotidiano… e l’elenco potrebbe andare avanti per pagine intere) e quindi del nostro bisogno, assolutamente umano, di dare, a questa società “nuova” un valore simbolico. Il simbolo (che portato all’estremo diventa capro espiatorio) ci serve a riportare nell’alveo della ragione ciò che ci spaventa e che non riusciamo né a classificare né ad accettare.

Ecco che il cinema, con progetti come “La Mummia” e i suoi sequel  e la letteratura d’annata, come la collana di Oscar Junior Special Mondadori che ripropongono le opere di Mary Shelley ed Edgar Allan Poe, ci danno una mano proponendoci, già pronti, “impacchettati” e consolidati, i “mostri classici”, quelli a cui siamo avvezzi, quasi figure famigliari ormai: la mummia, il vampiro, lo zombie… Museificati nella tradizione, diventano quasi rasserenanti, ma con quel “quasi” che precede questa frase che andrebbe sottolineato alquanto. Per svariati motivi. Vediamoli uno ad uno. Innanzitutto mi viene in mente la classicissima Famiglia Addams, serena famigliola di mostri innocui: una riduzione del mostruoso a folklorico, oggi reso più forte dal fattore “vintage” che crea la distanza sufficiente per rendere il diverso che spaventa ricordo che allieta. Così i vari Dracula, Frankenstein o gli zombie interpretati al cinema dai vari Bela Lugosi o Boris Karloff sono quasi madeleines proustiane di un’infanzia che può essere collettiva o individuale indifferentemente.

C’erano una volta i mostri… Mostri a ben vedere “spensierati” e mostri che toccano comunque corde che non hanno tempo. Corde che oggi potremmo sentire risuonare in tre “tipi” che rappresentano “mostri” con cui abbiamo a che fare, direttamente o indirettamente, tutti i giorni: il vampiro, lo zombie e Mister Hyde. Siamo circondati da vampiri, zombie e Mister Hyde. Simbolicamente, coprono una porzione molto grossa del mondo attuale.

Partiamo dalla figura del vampiro. Il vampiro, nella sua sintesi di caratteri determinati e allo stesso tempo manifestati in infinite forme, rappresenta il tipo umano che “risucchia” non tanto il sangue (metafora fiabesca) quanto le energie di individui in una società già di per sé a difese immunitarie molto basse, indebolita da incertezze e nonsense dominanti. Vampiro è “l’amico” che ti sommerge di interminabili narrazioni dei suoi problemi, magari di poco conto, proibendoti di esprimerti, quanto magari avresti altrettanto o anche molto di più di cui legittimamente lamentarti. Ma vampiro è pure chi ti promette di partecipare a “progetti” che si trascinano poi per tempi inenarrabili e che alla fine si rivelano per lui passatempi, e per chi ne subisce le conseguenze, spendendovi tempo e impegno, un letterale prosciugamento d’energie. Tutti noi viviamo situazioni di “vampirismo relazionale” ogni volta che siamo costretti a rapportarci a individui che ci “succhiano” le residue energie che abbiamo.

Diceva Sant’Agostino, una delle menti più acute dell’Occidente, che «il male è una perdita di tempo»: ecco, il “vampiro” di tutti i giorni, quello che incontriamo (in strada, nel luogo del lavoro, ma anche tra le mura domestiche) e ci addenta le ore che abbiamo a disposizione e le prosciuga, è forse la figura più inquietante e al contempo facile da dover in qualche modo affrontare quotidianamente: ma senza aglio, punteruolo di legno e crocifissi a disposizione. Anche qui, la cinematografia e la letteratura da cui questa scaturisce crea una funzione catartica dando risoluzioni che nello scorrere anodino e mutato per sempre dei giorni nostri ben difficilmente troviamo. Quanti Nosferatu in incognito incontriamo ogni settimana? E come riconoscerli prima che “ci succhino il sangue” (le energie vitali)?

[[ge:espresso:visioni:1.300808:image:https://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.300808.1493809530!/httpImage/image.JPG_gen/derivatives/articolo_480/image.JPG]]Passiamo ora alla figura dello zombie. Né vivo né morto, è l’incarnazione perfetta di una condizione contemporanea, contemporaneissima: quella delle tante esistenze borderline che non hanno una collocazione laddove è necessario averla, dunque una contraddizione in termini che regge. Come quella degli zombie, appunto. Lo zombie odierno, diciamo quello reale rispetto a quello delle varie trasposizioni cinematografiche, televisive e letterarie (dai classici della letteratura ai fumetti), è il diciannovenne che, senza alcuna ragionevole speranza di un futuro sensato, rappresentante magari della nuova e sempre più emergente categoria dei né-né, si trascina di giorno in giorno per poi stordirsi nei lugubri divertifici dei sabati sera che, lontanissimi dalle mitologie ludiche dei lontani anni Settanta, sono non-luoghi dove imbottirsi di pillole annichilenti. Che rendono zombie, appunto. In questo senso, è spaventoso e impossibile non rilevare come le droghe diventino sempre di più mezzo per annichilire quanto resta in noi d’umano che non utopica (e, la storia ci ha insegnato, a lungo termine, devastante) occasione di conoscenza di altri aspetti di sé (penso alle droghe lisergiche degli anni Settanta, ad esempio): chi, oggi, si fa di cocaina per lavorare di più oppure assume cocktail a casaccio di benzodiazepine vendute a prezzi sempre più bassi fuori e nelle discoteche si rende, in forme diverse, “zombie volontario”: per necessità, per difesa, perché colpito dal virus sociale di un’omologazione che ti proibisce di vivere pienamente ma non ti consente di morire (quello della “sicurezza” e la paura della morte, di cui abbiamo accennato, diventano oggi armi potenti per vivere “spaventati” e, di riflesso, “spaventosi).

Ci resta Mister Hyde, ossia il perfetto rappresentante della doppiezza letale che è schizofrenia clinica e piaga sociale pesantissima. Anche qua, i Mister Hyde “reali” sono tantissimi. In una società sempre più sfaldata, la stessa idea di “io” viene a mancare sempre più. E tanti sono gli “io” posticci che si sommano, spesso a due a due, nello stesso individuo. “Ciarlatani e truffatori” (per citare Franco Battiato in una delle più violente e chiare ricognizioni del presente nel mondo della canzone: “Inneres Auge”) improvvisati e di ogni sorta sono i nostri Dottor Jekyll e Mister Hyde. Dal caro e dolce vicino di casa che poi massacra i figli (o uccide la moglie) al datore di lavoro (precario, sempre più precario) che si presenta come un angelo buono e poi ha già predisposto la strategia per annientarti (in questo, legandosi per affinità alla categoria dei vampiri e creando zombie)…

Insomma, troppi mostri inediti e inaspettati, troppi orrori non gestibili ci spingono a una “tradizione dell’orrore” parzialmente rassicurante, con la quale riusciamo ancora a fare i conti e a trovare un minimo di evasione. Come a dire che non ci sono più i mostri di una volta. E così noi andiamo a recuperarli.

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