Chi sono i concorrenti ?di Netflix? Le altre piattaforme di streaming? ?I canali tv? È Amazon? ?No. «Siamo gocce d’acqua nell’oceano del tempo e delle spese delle persone. L’intrattenimento domestico non è un gioco a somma zero», ha risposto Reed Hastings durante un confronto ?alla Reuters sui risultati della società nel primo quadrimestre 2017. E allora contro chi si disputa la partita? Contro il riposo. «Pensa a quando guardi uno show di Netflix e ne diventi dipendente, e stai sveglio fino a tardi», ha detto Hastings. «Noi competiamo con il sonno, sul margine; ed è un mare di tempo».
Uno dei tratti distintivi ?di Netflix è la politica che vuole la messa in onda di tutti gli episodi di una serie tv contemporaneamente. Niente più soap costruite per alimentare l’attesa per una settimana. Niente più “ricapitoliamo” all’inizio ?di puntata. Le trame, spiegano i registi e gli autori che stanno trovando grazie a l’on-demand un nuovo spazio, hanno potuto prendere un’altra intensità. I personaggi possono evolversi in maniera meno scontata. Le ore non devono essere inzeppate ?di colpi di scena a sussulto. Le narrazioni possono permettersi una complessità molto maggiore.
A questa novità stilistica ?si affianca una novità d’uso. Netflix non ha creato solo nuove narrazioni. ?Ha creato nuovi utenti. «Quando finite di vedere ?un episodio, vi si propone subito il seguente, che si lancia automaticamente. Vi si spinge a volerne sempre di più. È in effetti un’idea molto “Black Mirror”», ha detto a Télérama Charlie Brooker, l’autore della distopica serie di culto - “Black Mirror”, appunto. Volerne sempre di più. ?Sulle riviste di lifestyle e ?di cultura si fanno strada le rubriche che offrono spunti per il “binge-watching” del tempo libero. “Binge” è l’abbuffata. La stessa parola usata in inglese per marcare i comportamenti alimentari squilibrati (binge drinking, binge eating). «Iniziamo a definirlo “binge” quando una persona guarda tre episodi di fila», spiegano dall’azienda. «Le nostre grandi serie tv vengono percorse interamente magari in uno, due giorni». Gli spettatori sono “hooked”, presi all’amo. Chiunque sia entrato ?a Medellin con l’Escobar ?di Wagner Moura o abbia iniziato ad ascoltare la misteriosa testimonianza della protagonista di “The Oa” sa cosa significhi: staccarsi è difficile, ?chi ci riesce è “turned”, ?si è girato.
Studi, ricerche, dibattiti ?sul collegamento fra binge-watching e disturbi di ogni tipo (dalla depressione al mal di schiena) si sono fatti largo presto, con l’avvento planetario di Netflix. Per alcuni aspetti è come ogni dipendenza: «Ancora ?un po’»; «è l’ultima volta promesso»; «adesso basta», e invece continui ?a consumare. Ma c’è ?un aspetto specifico che riguarda la piattaforma.
Dall’apertura dell’applicazione al momento in cui uno spettatore clicca sulla serie scelta, spiega l’azienda, devono passare al massimo 90 secondi. Il limite estremo è due minuti. Altrimenti l’utente ?si scoccia, e fa altro. È fondamentale allora che il processo con cui l’immenso catalogo della piattaforma viene riorganizzato individualmente sia più efficace possibile. L’80 per cento dei clic cade infatti sui titoli “suggeriti”. ?Gli spettatori vogliono essere guidati. Il filtro dev’essere perfetto. «Vogliamo arrivare a consigliare all’utente non solo il titolo giusto per lui. Ma per lui in quel giorno della settimana. Per lui a quell’ora. Su quel device. Se hai 30 minuti di tempo perché stai andando al lavoro ti proporrò qualcosa di diverso rispetto a quello che ti posso suggerire la sera, per quando torni a casa, magari stanco, o nel weekend, dove puoi essere disposto a seguire anche una storia più dark», spiegano. In ogni momento. ?Su ogni device. Alcuni device soprattutto.
«Quello che sappiamo ?è che i prossimi 100 milioni di sottoscrittori avranno ?più probabilità di guardare?i contenuti dal telefono rispetto ai primi 100 milioni», ha detto Theodore Sarandos, responsabile ?dei contenuti di Netflix, nel dibattito alla Reuters ad aprile. «Il tema dei film sul cellulare rappresenta un problema antropologico e politico più vasto forse di quelli affrontati fin qui dal settore», commenta Mauro Gervasini, direttore del settimanale Film Tv e consulente selezionatore della mostra internazionale del Cinema di Venezia: ?«La visione sullo schermo piccolo di un telefono può cambiare infatti la nostra educazione visiva. Renderci meno capaci di valorizzare ?i dettagli. Più superficiali nella lettura delle immagini».
È un tema che precede ?di molto Netflix - che sta investendo tra l’altro miliardi nelle tecnologie ?più avanzate per ottenere massima qualità televisiva dalle riprese, dal 4K all’Hdr. Ma che di sicuro rappresenta un altro pezzo di futuro. «Il primo film ?a essere trasmesso ?anche su un telefonino ?fu “L’interprete”, ?con Nicole Kidman e Sean Penn. Fece scandalo», ricorda Gervasini. ?Prima di diventare ?la normalità.