Dalla saga di Indiana Jones all'ultimo 'La mummia': dagli albori di Hollywood i misteri dell'antichità creano successi al botteghino. Sopratutto se conditi con l'horror

Il turismo a Roma ancora vive sull’onda del successo del “Gladiatore”: immaginate il seguito ?che potrebbe avere un film dell’orrore ispirato dal misterioso teschio del Palatino. Perché i reperti archeologici sono un ingrediente efficacissimo per stimolare fantasie horror: il cinema ?lo ha capito ben prima della saga ?di Indiana Jones, archeologo che da ?“I predatori dell’arca perduta” in poi incappa in ritrovamenti sempre più terrificanti. L’ultima puntata, nel 2008, aveva al centro proprio un teschio: però “Indiana Jones e Il regno del teschio di cristallo” non era ambientato a Roma, ma nel Perù degli incas.

Il flirt tra archeologia e horror inizia nel 1932, quando Karl Freund ha diretto Boris Karloff in “La Mummia”, raccontando la minaccia del redivivo Imhotep (il nome è preso da un vero architetto, medico e astronomo egizio, vissuto durante la III dinastia). Il film traeva spunto dalla scoperta della tomba di Tutankhamon, avvenuta dieci anni prima, e dalla sua “maledizione”.
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Quest’anno “La Mummia” è tornata nel film diretto da Alex Kurtzman con Tom Cruise: ma qui il mostro cambia sesso, diventando la conturbante Sofia Boutella. Il fatto che la Universal abbia scelto proprio l’antico Egitto per lanciare il Dark Universe abitato dai suoi mostri “classici” (prossimamente avremo “The Bride of Frankenstein” e poi i film sull’Uomo Invisibile, l’Uomo Lupo, Van Helsing e il mostro della Laguna Nera), dimostra come la “minaccia archeologica” sia sempre affascinante sul grande schermo.
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Tralasciando sequel e reboot della Mummia - una quindicina - è interessante notare come l’Italia ?meriti un posto d’onore nel pantheon dell’orrore archeologico grazie al cult del 1972 “L’etrusco uccide ancora”, scritto e diretto da Armando Crispino. Girato tra Spoleto, Cerveteri, Tarquinia, la villa Aldobrandini di Frascati ?e la Basilica di San Flaviano di Montefiascone, il film narra le efferate gesta di un assassino che sacrifica ?le sue vittime seguendo il rito di Tuchulcha, demone etrusco dell’oltretomba ritratto in un affresco mentre sacrifica una giovane coppia.

Ha una radice archeologica anche l’horror più famoso della storia del cinema, “L’esorcista” di William Friedkin, del ’73. Nessuno ?ha dimenticato il vomito verde dell’indemoniata dodicenne Regan (Linda Blair), ma pochi ricordano che l’elemento chiave del film è all’inizio: quando, in un sito archeologico dell’antica Ninive nell’Iraq del Nord, viene dissotterrata la statuetta che raffigura il demone Pazuzu. Uno degli archeologi è Lankester Merrin (Max von Sydow), l’anziano sacerdote che sarà poi chiamato da padre Kerras (Jason Miller) per tentare l’esorcismo.

Il passato d’archeologo di padre Merrin è stato ripreso in «L’esorcista - La genesi» (2004) di Renny Harlin, un prequel del film di Friedkin con Stellan Skarsgård nei panni del giovane Von Sidow. Qui incontriamo Merrin nel 1949, quando aveva lasciato la tonaca per l’archeologia: dagli scavi in Kenya emerge una chiesa del sesto secolo, al cui interno è racchiusa la reliquia del feroce Pazuzu. Si scopre così l’inizio del personale duello del religioso col demone. Insomma, tra mummie e creature infernali (non si possono dimenticare titoli “minori” del genere, come “Catacombs - La prigione del diavolo”, “Rovine” e “La piramide”), l’ironia dell’archeologo Indiana Jones ?è merce rara nelle cripte del cinema.

Nel nome dell’horror, Hollywood ha legato archeologia e fantascienza: basti pensare alla spedizione del “Prometheus”, con cui Ridley Scott ha avviato nel 2012 la serie dei prequel ?di “Alien”. Nel film alcuni studiosi, confrontando reperti archeologici di diverse culture terrestri, individuano una mappa stellare. Partono così per ?lo spazio, sperando di scoprire l’origine della vita sulla Terra. E finiscono invece per scovare il più letale alieno dell’Universo. Attenti, quando si inizia ?a studiare archeologia non si sa mai cosa si può scoprire.