Una mostra in corso fino a febbraio al Victoria and Albert museum racconta il genio del couturier basco. Che rivoluzionò l'alta moda con silouette rivoluzionarie e straordinaria cura sartoriale

“Una donna non deve essere perfetta, nemmeno bella per indossare i miei abiti. Sarà il vestito a fare tutto per lei”. Così Cristóbal Balenciaga, tra i grandi nomi della moda novecentesca, intedeva il suo ruolo di designer: un creatore di abiti ma anche di mondi immaginari, capace di creare intorno a chi indossava i suoi vestiti sartorialmente perfetti e genuinamente rivoluzionari un'aura quasi divina.

Cresciuto sulla costa basca, figlio di una sarta, a poco più di vent'anni aprì le prime boutique in Spagna. Poi sbarcò a Parigi nel 1937. Dal suo atelier di avenue George V, per i successivi trent'anni (morirà nel 1972, ma si ritirerà nel 1968) lascerà il segno sulla silouette di ogni decennio e sul guardaroba di star e socialites, ma soprattutto sarà capace di influenzare con il suo lavoro grandi nomi come Oscar de la Renta, André Courrèges, Emanuel Ungaro, Hubert de Givenchy.
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A raccontare la sua rivoluzione rigorosa è Balenciaga. Shaping Fashion, in corso al Victoria & Albert Museum di Londra fino al prossimo febbraio, che in cento abiti e venti cappelli racconta non solo il metodo di lavoro dello stilista ma la mole di lavoro artigianale di altissimo livello che girava intorno alla maison e, all'altro capo del filo, lo scintillante universo delle sue clienti.

Dal rapporto con la casa di tessuti svizzera Abraham e il suo patron Zumsteg, che per lui realizzò il gazar, una specie di raffia di seta, testimoniato dallo scambio di campioni e cataloghi di tessuti tra Zurigo e l'atelier di avenue George V, alle lettere con cui le migliori compratrici americane ordinavano abiti e copricapi che da Parigi raggiungevano gli Usa.

In mostra nel museo londinese, che ha attinto in gran parte alla sua gigantesca collezione 'Fashion' per realizzare la temporanea, sia gli abiti che raccontano il legame con la cultura spagnola, dai quadri di Velázquez ai costumi della corrida, sia quelli attraverso i quali Balenciaga volle trasformare la silouette femminile. E poi bozzetti, immagini e filmati d'archivio, copertine dei grandi giornali di moda che contribuirono al suo successo.

Dalla cappa in pizzo bianco disegnata per Ava Gardner ai cappelli ed ensemble creati per Gloria Guinness e Mona von Bismarck, allo spendido abito rosa, ispirato a quelli delle ballerine di flamenco, fotografato da Cecil Beaton nel 1971, ai vestiti a uovo e a bolla, difficili da indossare ma di straordinario impatto visivo.  

Una lezione di coraggio creativo che in molti hanno raccolto. Come dimostra il secondo piano della mostra, dedicato agli abiti di chi, tra i designer contemporanei, ha mostrato di compreso e rielaborato la sua eredità: da Molly Goddard a Demna Gvasalia, a Nicolas Ghesquière.