Nelle sale il documentario dedicato al Cile. Un racconto del golpe affidato alla viva voce di testimoni, uomini e donne di ogni tipo. Storie che ci appartenono e rigardano tutti noi

Dalle Ande agli Appennini: il formidabile "Santiago Italia" di Nanni Moretti

Due sole inquadrature. Sono quelle che Nanni Moretti concede a se stesso nel formidabile “Santiago, Italia”. Nella prima, in apertura, è di spalle sopra la città circondata dalle Ande. È un gesto di iscrizione. Come dire: questa città, queste storie, mi appartengono, anzi ci appartengono e riguardano tutti noi. Anche qui, anche oggi. Forse soprattutto oggi. La seconda volta Nanni appare per dire a un militare che si protesta innocente: «Io non sono imparziale». Il resto è occupato dai ricordi dei cileni che nel 1973 trovarono scampo dal golpe nella nostra ambasciata in Cile, e dei funzionari che li aiutarono, talvolta anche a venire in Italia.

Sono storie bellissime, spesso incredibili, cariche di dignità e di paradossale nostalgia, ma non prive di risvolti buffi o assurdi, anche quando sono storie di tortura. Poche, lo stretto indispensabile, le immagini d’archivio. C’è Allende naturalmente, anche con Neruda. C’è il suo ultimo discorso prima di morire alla Moneda (ucciso o suicida? Ognuno ha le sue teorie). Pinochet appare pochi secondi in immagini televisive molto disturbate.

Quasi tutto è affidato alla viva voce, mai espressione fu più calzante, di testimoni, uomini e donne di ogni tipo. Sono loro, dal loro punto di vista unico e irripetibile, a ricostruire tutto. Il clima politico, l’assedio economico, l’ostilità dei media in mano alle destre, il ruolo degli Usa, le responsabilità collettive e individuali («Abbiamo solo eseguito gli ordini», dice uno dei due militari intervistati).

Più d’uno si commuove, mai quando te lo aspetteresti. E sono sempre loro, alla fine, a evocare un’Italia lontana anni luce da quella cui sembriamo rassegnati. Sicché questo viaggio iniziato così lontano, nel tempo e nello spazio, ci riporta al qui e ora. Con la forza dell’epos collettivo celato in tutti quei volti. E l’urgenza che trasmette ogni tanto la nostra immagine allo specchio.

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