«I social intaccano la memoria esplicita. Ma al cervello dimenticare serve»

Quanti sono i compleanni che ci fa piacere (o ci tocca) ricordare in un anno? Come ritrovare quel tizio conosciuto anni fa, che ora potrebbe tornarci utile al lavoro? Perché recuperare eventi del passato, che magari affiorerebbero edulcorati fra le pieghe dei ricordi, ma che Internet ci ripropone con implacabile nitidezza anni dopo?

Quando la memoria fa cilecca o non performa al massimo - vuoi per troppi pensieri, vuoi per un fisiologico cedimento - la maggior parte delle persone, oggi, ricorre alla tecnologia, consultando Internet e navigando nei social media. Con quali conseguenze sulla memoria? E con quali cambiamenti nella modalità con cui il cervello impara e ricorda?

Ne abbiamo parlato con Davide Crepaldi, professore associato alla Sissa (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste e coordinatore del gruppo di neuroscienze cognitive. Crepaldi, che studia i processi percettivi collegati all’identificazione delle parole, ritiene che il cervello abbia sviluppato la capacità di leggere (e dunque di imparare) riciclando capacità cognitive nate prima della nascita della scrittura (e dunque della lettura). E su memoria e nuovi media la pensa così.

Il cervello umano è più o meno lo stesso da centinaia di anni. Ma con Internet e i social media ha abbandonato la lettura sequenziale e un certo tipo di apprendimento per acquisire nuove abilità. Cosa sta realmente cambiando nell’apprendimento e nel recupero di informazioni?
«Anatomicamente il cervello non si è modificato da quando si sono diffuse le tecnologie informatiche. Ma è cambiata la modalità con cui l’informazione viene presentata in rete, e ciò sta facendo emergere meccanismi cognitivi diversi. Costringe a una diversa organizzazione e immagazzinamento dei dati. I media ci propongono un’informazione frammentata, sempre disponibile, di rapida acquisizione. Questo ci consente di spaziare in superficie a scapito della profondità della lettura, e dunque dell’apprendimento. Leggiamo due post o un breve articolo, e ci illudiamo di essere competenti in merito. Non è così. Ciò che manca sono la sosta e l’elaborazione, che invece erano quasi automatiche durante la lettura di un libro o di un giornale».

Facebook, che ci ricorda i compleanni, o ci ripropone eventi del passato, impigrisce la memoria? O il fatto di avere stimoli in più è una buona palestra?
«Possediamo due tipi di memoria. La memoria esplicita è quella che ci consente di ricordare connotati spazio-temporali recenti (ieri ho mangiato la pizza con i peperoni). La memoria semantica o implicita lascia da parte l’aspetto spazio-tempo: tralascia i dettagli inutili e mantiene il contenuto (mi ricordo che in quel libro c’era il tale concetto, ma non ricordo dove e chi lo formulava). Internet e la rete hanno un impatto forte sulla memoria esplicita: abbiamo troppe informazioni a disposizione, è impossibile ricordarle tutte. Questo, di per sé, non è strano: per il cervello è importante dimenticare almeno quanto ricordare. Se ricordassimo tutto sarebbe patologico. Ciò non toglie che avere qualcuno che ci ricorda tutti i compleanni ci deresponsabilizza. Fa sì che smettiamo di allenare coscientemente la memoria».

Cosa si potrebbe fare per ricordare di più nonostante la frammentarietà delle informazioni, il mordi-e-fuggi che caratterizza le giornate?
«Trovare un cosiddetto “ancoraggio” potrebbe aiutare. Un ancoraggio è un contesto spaziale cui agganciare visivamente ciò che stiamo leggendo. Nei libri e nei giornali poteva essere il modo in cui il testo era impaginato: il titolino in alto, la foto a destra. Sullo schermo di tablet e computer è più difficile perché gli agganci spaziali sono meno numerosi. Poi ci sono più distrazioni; i pop-up che cambiano, informazioni che arrivano a flash. La psicologia sperimentale studia questi fenomeni da decenni: tra i lavori più celebri, quello di Michael Posner, psicologo americano studioso dell’attenzione. Posner dimostra chiaramente che la nostra attenzione è attirata da stimoli nuovi nella periferia del campo visivo; ciò disturba la lettura e la comprensione del testo principale. E di conseguenza cala la capacità di memorizzare».

C’è qualche periodo della vita in cui dimenticare è più importante?
«Più che dimenticare davvero, userei il termine “ristrutturare”. Nell’infanzia e in adolescenza questo è cruciale per il cervello: tecnicamente si parla di “pruning”, cioè potatura. Il cervello taglia le sinapsi e rimodella tutta l’architettura neuronale. Da qui anche i rapidi cambiamenti che sono tipici di questa età».

La presenza di Internet, gli accesi botta-e-risposta così frequenti sui social stanno davvero cambiando il nostro modo di essere umani?
«Credo che i maggiori contatti personali che si costruivano in passato cementassero i gruppi sociali più di quanto possa fare Internet oggi. Ma che si tratti di relazioni umane, di istruzione o altro, lo strumento - come sempre - è neutro. È l’uso che ne facciamo a renderlo buono o non buono».