Politica, esteri, inchieste esclusive, graphic novel e provocazioni: questo è stato il 2018 visto dalle copertine dell'Espresso. Come ogni anno, ora chiediamo a voi lettori di dirci quale delle nostre cover vi ha colpito di più

Ogni copertina è un sforzo collettivo, il momento più bello quando si chiude un numero dell'Espresso. A volte arriva subito, altre volte servono lunghe riunioni con Stefano Cipolla e Daniele Zendroni per scegliere un'immagine con un titolo e scartarne un'altra. Richiede immaginazione, fantasia «e velocità di esecuzione». Sono i lettori a decidere il successo di un'idea, come è successo in questi dodici mesi, quando tante copertine sono state condivise, rilanciate sui social oppure ce le siamo ritrovate in un incontro pubblico, con qualcuno che le sventolava come una bandiera, ed è stata un'emozione in più. Ora le ho qui tutte davanti a me. Dalla pagina bianca con matita, con cui abbiamo salutato il 2018 italiano, alle copertine che hanno accompagnato la lunga crisi di governo, fino all'ultima doppia, con Antonio Megalizzi persona dell'anno, simbolo della Meglio gioventù, e un Magritte ritoccato nel vuoto per significare un personaggio metafisico (ma non solo) in ascesa, il cretino al potere. In mezzo ci sono le copertine su Matteo Salvini che hanno presentato la lunga inchiesta di Giovanni Tizian e Stefano Vergine: i soldi, i 49 milioni spariti, le reti dei finanziatori della Lega. E poi i disegni di Makkox, le illustrazioni di Emanuele Fucecchi e di Ivan Canu. Ritrovo Zerocalcare che all'inizio dell'anno ci regalò una storia indimenticabile, Questa non è una partita a bocce, e poi un'altra copertina sulla lotta del popolo curdo e infine è spuntato in carne e ossa, fotografato con Michela Murgia. Il racconto di guerre mai finite (Dove rinasce l'Isis, nella settimana di ferragosto, quando crollò il ponte di Genova), le giovani donne che in America stanno rivoluzionando la politica, i giovani in piazza e i piccoli giornalisti che seguono le orme di Peppino Impastato, la ricerca del partito che non c'è e il racconto del partito che c'era e che non c'è (più). Il cartello con una gioiosa e liberatoria parolaccia, la replica della difesa della razza, periodico di ottant'anni fa, e il decalogo per l'oggi. Aboubakar Soumahoro (Uomini e no) e un Altan strepitoso sulla libertà di stampa...
Ora tocca a voi scegliere. La mia preferita? La prossima... (Marco Damilano)

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