La comunità Lgbtqia dall’antichità a oggi. Nell’indagine di Peter Ackroyd

Non c’è dubbio che, come scrive Peter Ackroyd (1949) nel suo informatissimo “Queer City” (SEM, traduzione di Alberto Milazzo, pp. 284, € 18), «la comunità queer non ha mai deciso se desidera o teme l’integrazione». Questo mi pare il tema fondamentale, al centro del libro che di quella comunità – e in particolare della comunità londinese: non a caso il suo sottotitolo è “Londra. Un’altra storia” – ricostruisce con minuzia talvolta un po’ pedantesca l’affascinante genealogia, dall’antichità romana fino ai giorni nostri.

Ackroyd, oltre che studioso della sua città (ha firmato un’alluvionale biografia della metropoli britannica, uscita anni fa da Neri Pozza e qui segnalata), è autore di romanzi storici, ed è appunto col tono del narratore che oggi ricostruisce le nuance e le variazioni che il termine queer (alla lettera: strano, bizzarro) e la relativa sessualità hanno assunto nei secoli. In un certo senso – suggerisce lo scrittore, e temo di concordare con lui – la città stessa sembra aver prodotto dal proprio interno, come per partenogenesi, il suo essere queer, cioè quel miscuglio di stramberia, eccentricità e fluidità identitaria, che fa di quella britannica una specie di capitale morale di ogni persona Lgbtqia (acronimo che sta per lesbica, gay, bisessuale, transessuale, queer, inter e asessuale).

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Zeppo di aneddoti, cronache, personaggi e avvenimenti – talvolta comici, talaltra drammatici – il libro ci conduce attraverso secoli in cui la fluidità sessuale è stata vissuta con una qualche naturalezza (dall’epoca precristiana fino all’Alto Medioevo) e altri in cui invece la sua repressione ha assunto addirittura connotati di sadismo di massa (dal tardo Settecento fino a tutto il periodo vittoriano).

La lettura del testo è sempre piuttosto gradevole: la lingua di Ackroyd è volutamente divulgativa ma accurata, mentre non si capisce come mai l’autore sia così approssimativo quando tocca la storia della letteratura e dell’arte, soffermandosi su opere e figure obiettivamente minori come “Il pozzo della solitudine” di Radclyffe Hall e dimenticando del tutto un caposaldo come “Orlando” di Virginia Woolf. Ed è solo uno fra i molti esempi che si potrebbero citare.