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Cultura
maggio, 2018

Quell'errore di Michelangelo in San Pietro e le altre lettere: il tesoro dell'archivio Vasari

Pubblichiamo in esclusiva alcuni dei documenti ora diventati di proprietà dello Stato e appartenenti all'archivio Vasari. Tra le missive di grandi artisti del Rinascimento, anche uno scambio tra Giorgio Vasari e Michelangelo, che confessa uno sbaglio in un cantiere

Fonte: Museo Casa Vasari di Arezzo, Archivio Vasari
I contatti con Michelangelo, che Vasari nell’Autobiografia fa risalire agli anni del suo primo soggiorno fiorentino (1524-1527), si evolvono in un rapporto più stretto nel periodo in cui egli inizia a lavorare a Roma per il Cardinale Alessandro Farnese, nipote del Pontefice Paolo III (1542-1543), spiega la soprintendente Toccafondi. «Nel medesimo tempo, facendo io gran servitù a Michelangelo Buonarroti, e pigliando da lui parere in tutte le cose mie, egli mi pose, per sua bontà, molta più affezione (…)», scrive lo stesso.
Nell’autorappresentazione che Vasari ci lascia di sé - tanto nelle Vite che nell’Autobiografia – un posto di tutto rilievo spetta dunque al suo rapporto con Michelangelo, prima maestro riconosciuto e venerato e poi anche carissimo amico e corrispondente affettuoso: né credo - afferma Vasari - che ci sia nessuno che possa mostrare maggior numero di lettere scritte da lui proprio, né con più affetto che egli ha fatto a me.
Per documentare questo legame del tutto speciale con Michelangelo Vasari pubblica nella seconda edizione delle Vite (1568) molte delle lettere che il Buonarroti gli ha inviato, tra le quali quella che compare nella pagina qui presente (Giorgio amico caro, voi direte bene ch’io sie vecchio e pazzo a voler far sonecti…), accompagnata dal sonetto Giunto è già ’l corso della vita mia..

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Fonte: Museo Casa Vasari di Arezzo, Archivio Vasari

Michelangelo scrive a Vasari di un errore che ha notato nella struttura per la cupola della Cappella del Re di Francia in San Pietro, mentre è impegnato proprio nel cantiere vaticano. Disegnando l'errore, mostra: «La centina segniata di rosso la prese il capo maestro in sul corpo di tucta la volta, di poi come si cominciò apressare al mezzo tondo che è nel colmo di decta volta s’achorse dell’errore che facea decta centina, come si vede qui nel disegnio, che con una centina sola si governava dove anno a essere infinite, come son qui nel disegnio le segniate di nero»

Ma la parte più commovente è in fondo, dove spiega lo sbaglio: «Questo errore, avendo il modello facto a punto come fo d’ogni cosa ma è stato per non vi poter andare spesso per la vechieza, e dove io credecti che ora fussi finita decta volta non sarà finita in tucto questo verno, e se si potessi morire di vergognia e dolore io non sarei vivo. Pregovi raccuagliate il duca perché non sono ora a Firenze benchè più altre cose mi tengono che io non le posso scrivere. Vostro Michelagniolo in Roma»

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Fonte: Museo Casa Vasari di Arezzo, Archivio Vasari
Seconda pagina della lettera in cui Michelangelo mostra il proprio errore, con un disegno, all'amico Giorgio Vasari

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Fonte: Museo Casa Vasari di Arezzo, Archivio Vasari 10, c.13
Paolo Giovio in Roma a Giorgio Vasari in Firenze, 2 aprile 1547 

«Excellente messer Giorgio, mio onorandissimo», scrive Giovio: «(...) La vostra lettera è tutta da filosofo; come spero che farete in compilare il bel libro delli famosi pictori, qual vi farà certo immortale, perché in fatto, le cose che avete fatto a Monte Oliveto in Napoli a quelli tiranni delle frittate grosse e grasse alla fine saranno chachabaldole colsumate dal salnitro e dalle tarle, ma quello che scriverete non lo consumerà il ladro tempo…»

Negli anni in cui acquista, costruisce e decora la sua casa aretina (1540-1548) Giorgio Vasari ha contatti con l’ambiente culturale veneziano e con quello che a Roma gravita intorno al Cardinale Alessandro Farnese e ne è profondamente influenzato, spiega Diana Marta Toccafondi, soprintendente archivistica e bibliografica della Toscana: «Secondo la sua stessa testimonianza è proprio nel circolo di intellettuali, per lo più letterati, che si riuniva a casa del Cardinale Farnese che nacque, su suggestione degli Elogia di Paolo Giovio e del suo Museo di Ritratti degli uomini Illustri, il progetto della pubblicazione delle Vite. La stesura dell’opera è incoraggiata e seguita dallo stesso Giovio e da Annibal Caro, che nelle loro lettere esprimono ripetutamente la convinzione, divenuta poi centrale anche in Vasari, che solo la scrittura garantisca la trasmissione della memoria dei fatti narrati e la fama imperitura degli autori

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Fonte: Museo Casa Vasari di Arezzo, Archivio Vasari  11,  c.5
Annibal Caro in Roma a Giorgio Vasari in Rimini, 15 dicembre 1547

«Messer Giorgio amatissimo», scrive Annibal Caro: «m’avete data la vita a farmi vedere parte del Commentario che avete scritto de gli artefici del disegno che certo l’ho letto volentieri e più par degno d’esser letto da ognuno per la memoria  che vi si fa di molti uomini da bene e per la cognizione che se ne cava di molte cose e di varii tempi (…).  Solo vi disidero che se ne levino certi trasportamenti di parole e certi versi posti in fine (…) In un’opera simile vorrei la scrittura apunto come il parlare (…) Del resto mi rallegro con voi che ne la professione altrui abbiate fatta sì bella e sì utile fatica e vi annunzio che sarà perpetua»

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Fonte: Museo Casa Vasari di Arezzo, Archivio Vasari 30
Frontespizio delle "Ricordanze".

Nel 1527, spiega la soprintendente Toccafondi, l’anno terribile del sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi di Carlo V e della peste, diffusa nella penisola dal passaggio delle armate imperiali, Vasari è costretto a lasciare precipitosamente Firenze - dove al Cardinale Passerini, suo protettore e reggente per conto dei Medici, è subentrato un governo repubblicano – e rientrare ad Arezzo. Qui l’epidemia che dilaga lo priva del padre Antonio ed egli, a soli sedici anni, si trova ad essere responsabile del sostentamento di una numerosa famiglia composta dalla madre, da tre sorelle e da due fratelli più piccoli di lui. Nonostante quanto Vasari stesso dichiara, è improbabile che, proprio in questo frangente, egli abbia iniziato la stesura delle Ricordanze, che anche studi recenti sono orientati ad attribuire ad un’epoca più tarda. È tuttavia significativo che proprio da questo drammatico momento della sua esistenza egli abbia preso le mosse per costruire un’immagine di sé che corrispondeva ad un topos letterario ampiamente diffuso nel Rinascimento italiano: quello dell’artista destinato, dopo un difficile esordio, ad incarichi sempre più prestigiosi e al successo – anche economico – nelle principali Corti della penisola.

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Fonte: Museo Casa Vasari di Arezzo, Archivio Vasari
Somma di tutte le commesse e dei pagamenti in scudi ricevuti da Giorgio Vasari, elaborata dal nipote

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Fonte: Museo Casa Vasari di Arezzo, Archivio Vasari 13, cc.6-7
Giorgio Vasari in Firenze a Cosimo de’ Medici a Poggio a Caiano, 26 dicembre 1556

Lettera autografa di Giorgio Vasari da Firenze al Duca Cosimo, che si trovava nella villa di Poggio a Caianao (datata 26 dicembre 1556).
Vasari riferisce di tutti i lavori che ha in corso a Pitti, alle Chiesa e alla Libreria di San Lorenzo, ecc. e chiede indicazioni (lasciando lo spazio per la risposta!). Il Duca rescrive manifestando la sua volontà (il rescritto è di mano del segretario). Per esempio, parlando dei lavori in san Lorenzo chiede se nella cappella mettere nelle finestre di vetro l’arme di Papa Clemente o anche quella del Duca. Cosimo rescrive “l’arme sole di Papa Clemente”

Non è un caso che Vasari entri stabilmente al servizio di Cosimo I solo dopo la battaglia di Marciano della Chiana (1554), in cui le truppe imperiali e ducali sbaragliano quelle franco-senesi, appoggiate dai fuorusciti fiorentini. Da questo momento in poi, spiega la soprintendente toscana Diana Toccafondi, egli svolgerà numerosi ed importanti incarichi, tra cui gli interventi di adeguamento e di trasformazione di Palazzo Vecchio, tenendosi in costante contatto epistolare con il Duca che gli risponderà, per il tramite dei suoi Segretari, con  la consueta formula del “rescritto”, cioè della decisione ducale “riscritta” direttamente sulla lettera ricevuta.

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Fonte: Museo Casa Vasari di Arezzo, Archivio Vasari 9, cc.113-114v
Pietro Aretino in Venezia a Gualtieri Bacci in Arezzo, 20 giugno 1539

Nonostante Vasari dicesse che le lettere ricevute da Pietro Aretino gli erano care «come i zuccherini delle monache a’ frati», nel suo carteggio non c’è traccia delle dieci missive che il “Flagello dei Principi” gli indirizzò  dal 1536 al 1550, e che oggi conosciamo solo attraverso l’edizione che l’Aretino stesso curò nelle sue Epistole volgari, spiega la soprintendente Toccafondi.
Proprio per poterle dare alle stampe, l’Aretino era solito richiedere indietro gli originali delle sue lettere ai loro destinatari: è per questo motivo che di esse si sono perse le tracce. Le due lettere di Pietro Aretino costituiscono pertanto una piccola rarità. Indirizzate al comune amico Gualtieri Bacci, che forse le mostrò a Vasari, furono da quest’ultimo “trattenute” tra le sue carte personali.  Esse, pur risalendo a due periodi molto diversi dell’avventurosa vita dell’Aretino, testimoniano dei forti legami che egli costantemente mantenne con la famiglia aretina dei Bacci e con il suo entourage.
Anche Vasari, amico di Gualtieri e teneramente “preso” di Maddalena Bacci, frequentava la famiglia Bacci già prima del suo matrimonio con Niccolosa di Francesco Bacci, avvenuto nel 1550.

Questa immagine riguarda una lettera risalente al periodo veneziano, quando l’Aretino, ormai famoso, ha già cominciato a pubblicare le sue epistole con l’editore Marcolini. Oberato dal lavoro e  con pochissimo tempo a disposizione, egli si scusa con il Bacci per non aver risposto alle sue lettere, ma gli assicura tutta la sua riconoscenza.

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