Due autrici approdano a Kemijärvi, la città più a nord della Finlandia, per una residenza di scrittura. Un luogo estremo, limpido, silenzioso. Culla ideale d'ispirazione. E questo è il loro racconto

Arriviamo in Lapponia mentre le renne in deliquio si tuffano nei laghi. Nel supermercato i cibi scadono ai tuoi piedi, con sconti inauditi, e per strada non c’è nessuno, tranne uno scoiattolo che si srotola su un palo. Trentuno gradi al circolo polare artico non si sono mai visti. Almeno da 200 anni, insistono quelli del posto.
Sembra l’Allegra apocalisse di Aarto Pasilinna, il romanziere finlandese che con sinistro e profetico humor scrive di pesci  guazzanti nelle strade e città  sommerse da crimini ambientali. Ma gli abitanti di Kemijärvi, la cittadina piu’ a Nord della Finlandia, definita “l’ultimo lembo fra natura e civiltà”, sono presi da ben altre urgenze, meno letterarie : dovendo lottare piuttosto contro iI freddo (sino a  - 30  gradi d’inverno) non hanno i condizionatori in casa e nemmeno nel supermercato.
Racconto
Il mondo finisce qui
5/9/2018

Comunque. Abbiamo appena lasciato la rovente Rovaniemi, e spero che un sogno così non ritorni mai più.  Se credete a Babbo Natale e a tutta la sua magia non andate al Santa Claus Village, sul circolo esatto del Polo Artico, se non sotto lo zero o un metro di neve, perchè vedere i dipendenti  boccheggiare sotto incresciose mantelle in lana rossa, mentre i baristi bordati di pelliccia  propongono infidi toast di salmone alla piastra, adunando i clienti superstiti sotto l’unico vecchio condizionatore che esala tra i gemiti  un filo d’aria,  quando le slitte di legno  sui finti ghiacci degli outlet accolgono i sederi sfatti di un gruppo di canadesi esanimi, e i bimbi urlano assatanati sulle giostre perchè il ferro brucia, è una scena grottesca e perturbante. E perversa, come un mix di Allan Poe e Mister Bean inflitto in una sauna.

Dopo un’ora di bus, approdate alla residenza per scrittori di Kemijärvi io e mia figlia siamo pertanto sollevate. L’ex latteria ben restaurata che ci ospiterà per un mese si affaccia sul centro della città. Ho detto Centro per automatismo da sud-europea, ma il centro e la piazza qui sono utopie da vetero umanisti. Le uniche curve sono nelle nefande rotatorie. Strade enormi, tre iperpermercati e una chiesa,  box e depositi. Nè teatro nè cinema. Una non-città ricostruita dopo la guerra a forma di circonvallazione.  Periferia di se stessa.
Sulla carta Kemijärvi conta 8000 abitanti, ma appare svuotata, e anche in modo misterioso, come per un brusco allarme. Dietro le poche vetrine sciatte vedi scene di vita interrotta,  flaconi in bilico senza tappo sul lavabo del parrucchiere,  le tazze a mollo dietro il banco del bar.  Nessuno in strada,  escluse due anziane  col carrello deambulatore, un’altra col cane, diversi in carrozzella. Un’auto. Nel silenzio intatto senti i pensieri del barboncino, annoiato.

A vista, due persone ogni mille metri quadri.  Ma è una stima impropria, perché quelle due persone siamo sempre noi. Io e Viola. In giro instancabilmente, per curiosità ma soprattutto perchè sbagliamo sempre la strada del ritorno. L’assenza del mitico Centro e di insegne di riferimento, in mezzo a strade vuote e uguali, è una iattura per gente priva di orientamento come noi.
Persino le cornacchie e i proverbiali cedroni sono tacitati dal caldo. Il mondo è fermo in attesa della pioggia, annunciata per l’indomani. Ma Kemijarvi sbaraglia  persino le previsioni. Nel silenzio metafisico,  fra le creature inquietanti in legno scolpito che stramazzano sulle aiuole,  si alzano solo le nostre voci mentre ci rimbecchiamo sulla rotta.

Ma poi  succede.  Esci dalla città fantasma, pochi passi, e ci sei. Davanti a noi, raccolto a perdita d’occhio, intimo e infinito, un lago piu’ azzurro di ogni azzurro, la sabbia rosa corallo e l’abbraccio forte del bosco. Ti sembra di aver penetrato un sogno. Dentro il lago gli isolotti alberati, a riva  due panchine in legno.  E questo spettacolo sontuoso è solo per noi due, e ti sembra quasi uno spreco, o un’ingiustizia illiberale, e un regalo immenso, un privilegio, una grazia immeritata.

Forse siamo morte, dico a Viola, perchè questo è l’aldilà come l’ho sempre sognato.
L’ho pensato anch’io, mi fa. Pero’ scatta una foto, per fortuna, dunque siamo soltanto piu’ vive. E ho una prova: sto entrando in acqua, nuoto, e tutto esiste come noi che ci schizziamo. Siamo qui.
Non sarà un caso se il primo testo scritto in lingua finlandese è la traduzione del Nuovo Testamento, nel 1548.  La lingua di una terra talmente intrisa di sacro non poteva che muoversi nell’eco di Dio. A confermarlo, mentre ci asciughiamo al sole, loro incedono  maestose tra i fusti  bianchi delle betulle. Le renne. Fiere e sinuose si adagiano sulla sabbia. Tratteniamo il respiro per non farle scappare. Ma ci hanno visto e perdonato. Imperturbate restano. Una va al lago a dissetarsi, le altre puntano lontano quello sguardo da profeta, immobili, le grandi corna nere stagliate sul cielo come ideogrammi.
Lunkutoto. In finlandese  vuol dire luogo felice.

Giorno dopo giorno mentre esplori, senza altri umani, l’incanto degli altri laghi  - ecco, nei boschi, le palazzine e i condomini in cui realmente vivono  -  mentre la temperatura si abbassa, e ti adegui a un giorno che insiste  nella notte, col sole che sorge alle 4 del mattino e tramonta verso mezzanotte (una vera festa per gli insonni che abbiamo paura del buio) e a un orizzonte tremulo e audace, che nel tempo di questa frase passa dal nero al rosa,  dal cielo di Turner a quello di Van Gogh, allora scopri con meraviglia il brivido della sottrazione.  La riduzione del  volume - delle parole e delle cose.
Eccolo il beneficio del Silenzio, cui a Helsinki è stata dedicata, proprio vicino alla stazione, la Kampin kappeli, una grande cappella in legno a metà tra un igloo e un’astronave, vuota, dove si prega senza parole e senza appartenenze. Ecco dove dovevo arrivare, braccata dal chiasso e da stormi di parole, gridate lanciate o deformate, assorbite senza coscienza e senza cura: al suono denso e illeso del silenzio.
Eccolo il vuoto da cui fuggiamo atterriti, in Italia, nell’ossessione di riempirlo, investirlo, programmarlo, e per questo bramato, lottizzato, presidiato dal mercato del benessere, dei social, dell’Io. Eccolo qui, il vuoto terso che depura, ed è il contrario della solitudine, anzi è pienezza e gratitudine.
Allora basta parole. Vorrei congedarmi, se potessi, in finlandese, in questa lingua buffa e bislacca come quelle inventate dai bambini. Dove simpatia si dice myotatuntoa, e  dolce si dice makea. Dove amore è rakkaus e fa rima con vapaus. Che vuol dire libertà.