Middle East Now, tutto il Medio Oriente che non ti aspetti
L'inattesa black comedy saudita, la “master class” del regista iraniano due volte premio Oscar, l'Iraq in un cartone animato, le donne afghane, i profughi libanesi. E scialli, gioielli, cibo, musica, teatro. A Firenze, dal 2 al 7 aprile, la decima edizione della rassegna
Il suo modo di lavorare, il suo stile, come s'è emancipato dai grandi ma ingombranti maestri Kiarostami e Makhmalbaf, com'è arrivato a vincere in sei anni due Oscar per il miglior film straniero: per due ore, sabato 6 aprile dalle 11 di mattina al cinema La Compagnia, il regista iraniano Asghar Farhadidialoga su questi temi in una “master class” aperta al pubblico, accanto a lui Babak Karimi, l'attore protagonista dei suoi film più famosi e premiati. Farhadi è quest'anno il “director in focus” del Middle East Now, una quarantina di film (qui il programma ): la più ricca e aggiornata e nient'affatto scontata rassegna di cinema (ma anche cibo, teatro e musica) sul Medio Oriente, organizzata ormai da dieci anni da Lisa Chiari e Roberto Ruta con la loro associazione Map of creation.
IRAN, L'AMBIGUA MODERNIZZAZIONE Un ritorno, quello di Farhadi: era qui già dieci anni fa, all'esordio della rassegna fiorentina, prima di tutti i premi e i riconoscimenti internazionali, quando i suoi film giravano per l'appunto solo nelle rassegne per cinéphiles. Cinque i suoi film, dal 2006 al 2016, proiettati al Middle East Now: Fireworks Wednesday, About Elly , Una separazione, Il passato, Il cliente (The Salesman, libera ripresa di Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller). Per tradizione, il regista ospite clou ha “carte blanche” per proporre e presentare un film d'antan che per un verso o per l'altro ha segnato il suo percorso creativo: Farhadi ha scelto The cow, pellicola iraniana in bianco e nero del 1969 di Dariush Mehrjui, l'Iran contadino com'era, un controcanto all'urbanesimo post rivoluzione. Nella folta pattuglia di iraniani al Middle East Now, l'anteprima italiana di Tehran, City of love presentata dal regista Ali Jaberansari e del produttore Babak Jalali, commedia dolceamara di un ex-campione di bodybuilding, la segretaria sovrappeso di una clinica di bellezza e un cantante religioso frustrato in cerca d'amore in una Teheran in cui anche le libertà individuali sono conquiste tutt'altro che facili. Sneak preview, ovvero anteprima di un lavoro in corso d'opera, per la brava Firouzeh Khosrovani, che nel documentario Radiography of a family racconta la storia della sua famiglia, padre laico e madre sempre più religiosa: come dire lo scontro irrisolto fra modernità e tradizione, ma è un gioco d'intrecci e ribaltamenti, esempio l'ambigua modernizzazione tecnica e urbana attuata dalla Repubblica teocratica proprio in nome del ritorno a una visione integralista dell'Islam sciita. Storie di ritorni al paese d'origine Carnet de route a Ispahan, della fotografa franco-iraniana Isabelle Eshragi, e Finding Farideh di Azadeh Mousavi e Kourosh Ataee.
IL CORPO DELLA SAUDITA. Il riflesso condizionato di riportare ogni novità al già noto fa sì che quando si parla di Mahmoud Sabbagh quasi mai gli si risparmi il confronto con i fratelli Coen. Beh, per sensato che sia ilrimando, non ce n'è bisogno: l'amabile ironia, la tagliente sottigliezza e l'eleganza narrativa del trentacinquenne regista saudita dagli occhialini tondi e la parlata veloce le si erano già viste e apprezzate due anni fa allorché qui al Middle East Now fece faville con il suo Barakhat meets Barakhat poi candidato all'Oscar, in coppia con il cabarettista Hisham Fageeh (sì, nella wahabita Arabia Saudita c'è a Jeddah un locale di cabaret, c'era anche prima che il nuovo controverso principe regnante Mohammad bin Salman permettesse alle donne di guidare e riaprisse le sale cinematografiche chiuse dal 1979). Ora Mahmoud Sabbagh torna a Firenze, in pellicola e in carne e ossa, con il suo secondo lungometraggio, Amra and the Second Marriage . Black comedy, la definizione è corretta: ma, come nel precedente film l'ironia e il riso della storia d'amore tra la ricca fashion blogger e l'impiegato del catasto si ribaltava nella denuncia della blindatura degli spazi pubblici come del corpo delle donne, dell'onnipresenza della polizia religiosa, dei predicatori uniche star della tv, così ora nella storia di Amra, casalinga quarantaquattrenne col marito in pensione intento a prendersi una seconda moglie più giovane, si scandaglia la tormentata politica sessuale della società saudita: dove ancora vige la “legge del guardiano”, ora persino più totalitaria e opprimente da quando i meccanismi di controllo sulle donne sono stati informatizzati via cellulare.
DOVE C'ERA L'ISIS, DOVE TORNANO I TALEBANI. Un reporter free lance francese nato da genitori iracheni, Feurat Alani, che a più riprese, da quando aveva nove anni, viaggia nel paese d'origine lacerato da guerre, dittatura, gas asfissianti, invasioni attuate e subite, fino alle devastazioni dello Stato islamico dei tagliagole. Un disegnatore, Leonard Cohen, dalla matita morbida, pulita, definita, calda. Nasce così Flavours of Iraq, che è varie cose in una: libro, film d'animazione montaggio di venti cortometraggi, installazione multimediale di video e immagini. Al Middle East Now, incluso Cohen all'anteprima italiana il giorno 3. Quanto alla Siria, l'altra terra devastata dalla guerra e dall'Isis, è quella sognata dai rifugiati in Libano, un milione in tende e campi, in Until we return: che non è un film, ma la mostra della fotografa libanese Dalia Khamissy alla Fondazione Studio Marangoni, aperta anche dopo il festival fino al 31 maggio.
Dell'Afghanistan dove, come la gramigna, i talebani sono ormai rientrati appieno nel gioco politico e col prossimo ritiro delle truppe americane si stanno riprendendo potere e controllo del territorio, A thousand girls like me della regista Sahra Mosawi-Mani (che a Kabul vive) racconta la battaglia della ventitreenne Khatera per denunciare gli abusi sessuali subiti dal padre, avendo contro la famiglia, le tradizioni e un sistema giudiziario tuttora discriminatorio, nonostante dopo il 2001 vari e generosi siano stati i tentativi di riformarlo, anche con il contributi di esperti italiani di legislazione. Documentario, non fiction.
Tre anni ci ha messo invece Aboozar Amini, che ora vive in Olanda, per girare Kabul, City of the wind: la capitale, dove non tornava da tempo, vista attraverso la vita quotidiana di due bambini e un artista di bus, e scoperta come smembrata dalla corruzione della politica e dallo strapotere religioso. In un'intervista a Variety, il regista ha raccontato come per girarlo lui e la troupe abbiano rischiato la pelle, subendo minacce e trovandosi più d'una volta a qualche decina di metri da attentati suicidi, parte anch'essi del quotidiano di un paese senza remissione.
STRANI MONDI Strani e impensati. Chi sapeva del commercio di capelli tra Turchia, dove donne dell'Anatolia lasciano crescere la coda per tagliarla e venderla a trafficanti, e Israele, dove donne ortodosse le usano per coprirsi il capo con parrucche in ossequio a un'interpretazione estremista della Torah? Lo scopriamo in Heads and Tails di Aylin Kuryel e Firat Yucel. Chi va ancora a Sharm el Sheikh dopo la degenerazione della primavera araba, le stragi venute dal mare, la guerra endemica nel Sinai? Quasi nessuno e, come ci racconta il lungometraggio Dream Away del giovane regista egiziano Marouan Omara e dell'artista visiva tedesca Johanna Domke, quello che ieri era un piccolo paradiso popolare affollato di italiani oggi è un luogo quasi desolato, una «scintillante città di fantasmi» che stenta a sopravvivere. C'è modo di sostenere le vittime delle guerre con uno shop online di gioielli, scialli di cammello, orecchini, collane e coltelli di artigianato afghano? Ci provano da Londra gli inventori dell'associazione Ishkar, Craftmanship from countries at war, a Firenze con un pop up shop disegnato dal gruppo di architette Archivio Personale.
POETARE, SUONARE, MANGIARE La poesia è quella della palestinese Dareen Tatour, cinque mesi di condanna per incitamento alla violenza, letta dal palco del Teatro Florida giovedì 4 aprile dall'attrice e attivista ebrea Einat Weizman. «La drammaturga israeliana che celebra i prigionieri palestinesi supporta il terrorismo?», si è chiesto l'autorevole e moderato quotidiano israeliano Haaretz, riportando la sua risposta: «Tento solamente di gettar luce su una situazione in cui censura, occupazione, arresti notturni e demolizioni di case sono considerati giusti e normali». Concerto visivo di musica elettronica + video editing in tempo reale, Love and revenge del duo libanese Rayess Bek (il cantante e musicista) e Randa Mirza (la visual artist) porta sulla scena, martedì 2 aprile, grandi successi della musica araba e film cult dell'età dell'oro del cinema egiziano dagli anni Quaranta a oggi. Riflessione sull'identità e la varietà culturale non scevra di qualche nostalgia per una passata languida dissolutezza di un immaginario arabo proprio per questo adorato dai viaggiatori occidentali d'antan: e certo non è l'ultima delle sue contraddizioni.
Cibo, in chiusa. Star la siriano-libanese Anissa Helou, food blogger (tutto il mondo è paese), autrice di un libro sulla cucina islamica dal 610 ai tempi nostri con trecento ricette dallo Xinjiang a Zanzibar. Immancabile lo show-cooking, sabato 6, ma originale la scelta del tema: i cento modi islamici di fare il pane.