Una mostra riscrive la storia dell'acerrima nemica di Roma

Il mosaico della Dama di Cartagine

Annibale è alle porte! L’allarme si propagò per tutta Roma dopo la vittoria riportata dal comandante cartaginese a Canne, il 2 agosto del 216 a. C. La catastrofe militare, che seguiva altre sconfitte, faceva temere il peggio. Lo storico Livio racconta una città in preda al terrore, dove si arrivò a compiere un rito propiziatorio in disuso: furono sotterrati - vivi - un uomo e una donna di origine gallica e una coppia di greci. Il numero dei morti, l’esercito allo stremo, la sfiducia, possono paragonarsi alla disfatta moderna di Caporetto. Annibale, invece, non rischiò l’assalto a Roma e quattordici anni dopo venne sconfitto a Zama, da Scipione il Giovane detto poi “Africano”. Finiva così la seconda guerra punica (la prima - dal 264 al 241 a.C. - era stata vinta dai romani); ma ancora non si era esaurita la forza di Cartagine.

La lunga e appassionante storia di questa metropoli sta per essere illustrata nel cuore della secolare avversaria con una mostra allestita nel Colosseo, nel tempio di Romolo al Foro e all’interno della Rampa di Domiziano sul Palatino: “Carthago. Il mito immortale”. Curata da Alfonsina Russo, Francesca Guarneri, Paolo Xella e José Angel Zamora, è promossa dal Parco Archeologico del Colosseo e organizzata da Electa, editore del Catalogo e di una Guida breve. Dal 27 settembre al 29 marzo 2020 potremo conoscere, attraverso centinaia di reperti e suggestive installazioni multimediali, ogni aspetto dell’antica città, dallo sviluppo fino all’età cristiana.
«È una rassegna quanto mai attuale», sostiene Alfonsina Russo, direttore del Parco del Colosseo. «Cartagine è un esempio, nel mondo antico, di tolleranza e coabitazione pacifica tra genti di lingua e abitudini differenti. Gli abitanti dei centri cui diede vita, anche nelle nostre isole maggiori, hanno svolto per secoli i loro commerci senza provocare attriti. Se nella tradizione scritta la città di Annibale appare come una selvaggia e implacabile nemica di Roma, la mostra documenterà di quale grande civiltà fosse erede e di quale importante storia sia stata protagonista».
Cartagine si scrollerà di dosso luoghi comuni, a cominciare da quelli degli scrittori greci che consideravano i Fenici del Libano, e quindi Tiro, madrepatria di Cartagine, volgari trafficanti dal carattere subdolo. Invece, grazie alle navi mercantili fenicie, si sono diffuse la lavorazione della porpora e l’innovazione rivoluzionaria del sistema alfabetico, usato in gran parte del mondo ancora oggi. Lo stesso termine “biblioteca” evoca Biblo, una delle città più note, che ebbe un ruolo dominante nella diffusione dei supporti per la scrittura.
Nel Colosseo, la prima delle sezioni in cui è divisa la mostra riguarderà proprio le origini levantine di Cartagine: quei regni autonomi con una capitale che li definiva, dalla lingua, cultura e religione identiche. Potremo vedere punte di frecce con i più antichi segni alfabetici (XII, XI sec. a. C.), il cippo bilingue di Malta che, grazie al greco corrispondente, ha permesso di decifrare la lingua fenicia, e statuette in bronzo (1800-1500 a.C.) che paiono eleganti silhouette moderne.

Tiro, in particolare, aveva molti primati da vantare, come il talento dei suoi architetti, artefici del Tempio di Gerusalemme all’epoca di re Salomone. Dalla città libanese, secondo la tradizione, fuggì la regina Didone/Elissa per dar vita a Cartagine (Qart Hadasht, “città nuova”) vicino l’odierna Tunisi, nell’814 a. C. La conosciamo soprattutto per la liaison con Enea, raccontata da Virgilio nell’“Eneide”, finita con il suo suicidio per la partenza del “pius” eroe. Il motivo era frutto della propaganda; i virili conquistatori coniugavano “al femminile” la potenza cartaginese, considerata di civiltà inferiore, e astuta come la sua gente era considerata la regina che aveva delimitato la città che stava per fondare con una pelle di bue (byrsa), tagliata in sottile striscioline per aumentarne l’ampiezza.

L’indomita sovrana e Cartagine sono diventate comunque un mito che, nei secoli, ha ispirato quadri, opere musicali, finanche videogiochi. Celebre è il kolossal “Cabiria”, girato nel 1914 con didascalie di Gabriele D’Annunzio, mentre nella seconda metà dell’Ottocento era stato Flaubert a riscuotere enorme successo con il romanzo “Salammbô”, dove la protagonista è il prototipo della donna orientale, tutto sfarzo malvagità e passione. Nel Colosseo, un’installazione sensoriale all’interno di uno spazio chiuso consentirà di visionare brani di film, dipinti, fumetti, riferiti alla mitica regina.

Anche il generale Annibale è entrato nella leggenda: studiato per le tattiche belliche nelle accademie militari, ha sempre suscitato grande interesse: nemico della romanità per Dante, comandante carismatico secondo Machiavelli, simpatico a Napoleone. Nella mostra ci sarà un suo busto marmoreo, di fattura moderna, proveniente dal Palazzo del Quirinale; un altro, in bronzo, ritrae l’antagonista Scipione l’Africano (dal MaNN di Napoli).

La Cartagine storica, nata su una penisola, riuscì presto a ingrandirsi e a sovrapporsi agli empori che i Fenici avevano creato nel Mediterraneo, incrementando traffici e popolazione, e dando origine a un impero coloniale.
Ai Fenici prima, e poi ai cartaginesi, interessavano soprattutto gli affari derivanti dal commercio, ma non era estraneo lo sfruttamento delle risorse locali, minerarie e agricole. Le loro navi trasportavano legni di cedro, avorio, metalli, prodotti di lusso. I centri abitati, all’inizio, erano piccole isole con un appiglio sulla terraferma, promontori o tratti di coste, sempre dotati di porti naturali. Sono sorte così Nora e Tharros in Sardegna, Pantelleria, Mozia e Palermo (detta, in origine, “Ziz”, “il fiore”) in Sicilia, Ibiza, Cadice, Malta, giusto per citarne alcune, che convivevano senza problemi con gli indigeni. Nel tempio di Romolo, al Foro Romano, ci sarà un focus su alcuni di questi siti, con reperti e filmati delle campagne di scavo.

Durante il lungo scontro con Roma per il dominio del Mediterraneo, Cartagine era una popolosa e organizzata città. L’ampia zona pianeggiante e la parte collinare avevano palazzi alti fino a sei piani, mentre due porti, uniti da un canale, sottolineavano l’importanza della città marinara: uno rettangolare, per le navi mercantili; l’altro, rotondo, destinato alle imbarcazioni militari, con al centro un isolotto per l’ammiragliato.
A sottolineare il benessere raggiunto contribuivano gli ornamenti preziosi, diversi da quelli indossati dalle matrone romane. Nella sezione dedicata alla vita quotidiana saranno esposti collane molto colorate, con turchesi, corniole, pietre dure, monili d’argento e in oro lavorato in filigrana e a granulazione, pendenti di vetro costituiti da “testine” maschili barbute. Accanto, oggetti artigianali tipici: maschere ghignanti in terracotta e uova di struzzo dipinte che, con i rasoi sacri, sono stati ritrovati in molte necropoli delle nostre isole.
Particolari, nelle aree fenicie e cartaginesi, sono i “tophet”, luoghi sacri dove si svolgevano riti ancora ignoti. Le stele iscritte con varia iconografia parlano di offerte agli dèi; i resti combusti nelle urne riguardano neonati, bambini, piccoli ovini: presenze che hanno sempre fatto parlare di sacrifici umani, ma che oggi sono oggetto di pareri discordi (un tophet sarà ambientato nel Colosseo).

I reperti presenti nella mostra romana arrivano da istituzioni italiane e straniere, come i Musei di Cartagine, Palermo, Barcellona, Malta, Beirut. Tra inediti e curiosità, vanno segnalati i rostri di bronzo recuperati nel mare di Levanzo dall’archeologo Sebastiano Tusa, da poco scomparso, che testimoniano la vittoria navale di Roma alle isole Egadi nel 241 a.C., e anche i mosaici provenienti dal Bardo di Tunisi. «La partecipazione con tante opere di quest’ultimo museo, colpito dall’attentato del 2015», sottolinea Alfonsina Russo, «ci ha spinto a prevedere, nel corso della mostra, alcune manifestazioni per sottolineare l’importanza della cultura di cui è espressione ed evitare l’isolamento del suo popolo». La distruzione di Cartagine nel 146 a. C., alla fine della terza guerra punica (“Poeni” erano detti gli abitanti) non ne impedì la rinascita: la posizione e il porto, al centro del Mare Nostrum, erano strategici. La creazione della provincia romana di Iulia Concordia Carthago portò nell’Urbe vino, olio, belve per l’arena, preziosi prodotti africani, mentre il dio Saturno sostituiva Baal Hammon e si costruivano circhi, acquedotti e terme. La Rampa sul Palatino, dedicata all’età romana e cristiana (a cura di Federica Rinaldi) stupirà i visitatori. All’ingresso, il mosaico che raffigura il poeta Virgilio sarà animato da una voce che recita i versi dell’Eneide con la descrizione di Cartagine. I luoghi citati, ovviamente d’età imperiale, saranno evidenziati in una pianta topografica.

L’allestimento, con opere statuarie, è un trionfo di mosaici, sulle pareti e nelle riproduzioni luminose sul pavimento: mondo pagano che esalta lo status dell’aristocrazia romanizzata e, nella diffusione del cristianesimo, crea linguaggi figurativi diversi. La terra che ascoltò la predicazione di S. Cipriano martire, che ebbe come vescovo S. Agostino, rappresentava la fede religiosa con immagini che alludono alla vita ultraterrena (il defunto su un letto di rose), ricordano i quattro evangelisti ed esprimono un singolare sincretismo religioso. La “Dama di Cartagine” ne è un esempio. La donna ritratta nel mosaico ha l’aureola di santa, ma il gesto delle tre dita benedicenti e lo scettro rimandano a Cristo. Il pensiero va a una Didone, beatificata, che entra di diritto nella nuova fase della sua città.