Dal libro del direttore della fotografia del film Comizi d'amore Mario Bernardo si raccontano i muri di omertà, le risposte negate e le scene tagliate

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La morte violenta, allora scandalosa e ancora irrisolta, è stata decisiva per trasformare Pasolini in qualcosa che avrebbe detestato: un santino pop, un mito d’oggi sempre adattabile e quindi infrangibile. Provo perciò ad aggirarlo affidandomi a una mia vecchia conoscenza. Mario Bernardo, che appare in “La ragazza con la Leica”, è stato il direttore della fotografia di “Comizi d’amore” e “Uccellacci e Uccellini”. Dopo la morte del regista ha scritto un libro tenuto nel cassetto al fino al 2016, quando aveva ben novantasei anni. “Girare con Pasolini” (Sedizioni) racconta di un rapporto difficile. Bernardo era quasi coetaneo di Pasolini, come lui del nord-est. Comandante di una brigata garibaldina sulle Dolomiti, poi comunista deluso dal realismo di Togliatti. Dopo anni di gavetta sapeva tutto di tecnica del cinema e ne era orgoglioso. «Era l’estate del ’62. Mi chiamò Alberto Bini, il produttore dell’Arco Film, e mi propose l’inchiesta: minitroupe, girar veloce e scappar via. Solo interviste, dopotutto, anche se un po’ truccate quando ne fosse il caso». Sale sull’Alfa che Pasolini guida senza bollo, a velocità spericolata: un po’ per puro gusto, un po’ per mettere alla prova il rimpiazzo di Tonino delli Colli. Al sud si fanno anche i sopralluoghi per “Il Vangelo secondo Matteo”, film ormai classico delle feste comandate che è strano scoprirlo legato al documentario sulla sessualità degli italiani. Michel Foucault ha scritto che «non si può apprezzare quel documento se si è interessati più a ciò che viene detto che al mistero del non detto»

Ma in “Girare con Pasolini” salta fuori che le risposte davvero schiette sono state tagliate per non pregiudicare i finanziamenti al “Vangelo”; che nel sud arcaico-patriarcale ma non ancora conformista i nostri hanno rischiato botte e denunce o incontrato muri di omertà; che intervistare gli amici intellettuali è stato ancora più difficile. Dopo i rifiuti di Morante e Sciascia, per esempio, Moravia e Musatti si sono presentati a casa di Pasolini contestando l’impostazione dell’intervista. Hanno litigato furiosamente prima di trovare l’accordo per girare.

Nell’italianissima messa in scena delle “chiacchiere di strada sull’amore” - definizione sempre foucaltiana - la censura ha agito molto più a fondo di quanto si capisca dal film. Pasolini, stando al trattamento, avrebbe persino voluto rappresentare “i pazzi, i maniaci, gli anormali, le vittime della tenebra del sesso, degli istinti bestiali non dominati”- prova che “Salò” era già lì, accanto a Cristo e ai fraticelli prossimi a venire. Al suo funerale, scrive Bernardo, «ragazzetti della sinistra bene facevano la spola tra la piazza e la vicina sezione Campitelli. Poco distante altri della sinistra “più costruttiva” seguivano i discorsi con sarcasmo, insinuando cose volgari e sciocche sul compagno morto». Riecheggia il coro di “Comizi” che ripete all’intervistatore che quelli come lui fanno schifo o pena o sono da curare. La normale violenza verso chi oggi ha perlomeno smesso di definirsi anormale.