Con "Storia del nuovo cognome", la seconda stagione tratta dai libri di Elena Ferrante, Lila e Lenù sono tornate. Schiacciate da maschi e convenzioni. Costrette in un luogo che pretende di rappresentarle. E da cui cercano di uscire. Ognuna a suo modo
di Beatrice Dondi
17 febbraio 2020
In un rione che non ha abbandonato la sua polvere le ragazze sono tornate, le ragazze sono cresciute. E sono ostinatamente sbalzate fuori dalla cartolina, entrate nei cinema, passate alla televisione, dalla carta all’immagine, nell’apoteosi condivisa del consenso. Sono le amiche di Elena Ferrante, quelle che sfidano per vincere, quelle che si ritrovano costrette a perdere, quelle che comunque, ci provano sempre. Le due protagoniste della “Storia del nuovo cognome” incarnano in ogni gesto una storia di amicizia che, come il diavolo, risiede nei dettagli. In una vasca piena di schiuma, nell’inquadratura di due mani che si stringono, mentre fluiscono le parole di ghiaccio che descrivono la prima volta che si fa stupro, oltre gli occhiali neri che nascondono i lividi, oltre le briciole dello specchio infranto di una possibile serenità distrutta nell’attimo di un contatto.
Dopo una settimana in cui la rete ammiraglia ha esaltato il Festival dell’amicizia maschile, i due compagnoni uniti dallo spogliatoio che si abbracciano con forza e testosterone, Rai Uno cambia strada e regala all’improvviso un altro modo per raccontare un legame di donne, stretto dal silenzio negli sguardi che parlano, un’unione profonda costruita sulle sottili allusioni, dove la vicinanza travalica parti e ruoli, e si scopre talmente profonda da attraversare i decenni, al di là delle diverse fortune, dalle aule alle fabbriche.
Legati alla narrativa della Ferrante sin dalla più lieve delle sfumature, gli otto episodi della seconda stagione diretta da Saverio Costanzo (e Alice Rohrwacher) prendono la fedeltà assoluta alla carta per sbocciare in una vita inedita, tramutandosi in un album nuziale che si sfoglia, scena dopo scena, dove la fotografia della sposa è il nodo di un Paese che si muove nella storia.
La libertà dell’infanzia è scomparsa per lasciare Lila e Lenù imprigionate in un mondo che, per ragioni diverse ma simili in maniera raggelante, non appartiene a nessuna delle due. E che calpestando ogni sentire comune dell’approvazione a volte tira fuori il peggio di loro. Compresse e schiacciate in uno spazio in cui l’amore è uno schiaffo, un cognome è una cella, un quartiere una prigione, l’isola una miccia, un compagno un secondino, lo studio una rivolta.
E la fuga immaginata, supposta e sperata, quella fuga capace di liberare e al tempo stesso unire, diventa la ragione del distacco finale e al tempo stesso la radice ritrovata di un legame che torna e ritorna, fino alla fine dei giorni. «Quello che fai tu faccio io». Geniale. Come un’amica.