Cambiare gli equilibri interni alla Ue grazie a un'alleanza degli stati che voglio un maggiore coesione. L'appello in occasione della giornata dell'Europa del 9 maggio lanciato da "Citizens Take over Europe"

Per conoscere tutte le inziative, online e offline, di Citizens Take over Europe in occasione della giornata per l'Europa, è possibile visitare il sito.

Altiero Spinelli amava ripetere che “l’Europa non cade dal cielo”. Volendo aggiornare questo principio si potrebbe dire che, in assenza di un’adeguata iniziativa politica, non vi è alcun automatismo in grado di trasformare le crisi in opportunità di avanzamento nell’integrazione europea. Il decennio che abbiamo alle spalle sembra confermarcelo. Esso è stato segnato da eventi straordinari, ma, ad eccezione del “Whatever it takes” di Mario Draghi, non ha visto alcuna azione politica degna di tale straordinarietà. Per questo lo stesso non ha portato alcun salto verso una maggiore integrazione politica. Anzi, il nostro continente sembra oggi ancora più diviso.

L’attuale l’emergenza del Covid-19 alimenta infatti una crisi economica, sociale, psicologica e politica di una portata superiore rispetto al passato. Se da un lato mostra la necessità di una comune politica economica, sanitaria e sociale, dall’altro il triste spettacolo del dibattito sugli eurobond ci racconta purtroppo una storia diversa. Quella di una volontaria impotenza che si traduce progressivamente in una colposa disintegrazione.

La disintegrazione dell’Unione europea, così spesso invocata, non si manifesta necessariamente a partire da un singolo evento critico. Come ha dimostrato anni fa Jan Zielonka, essa può consistere nel graduale venire meno dei legami sociali, di solidarietà e dunque politici. Uno sfilacciamento più che un collasso. Si guardi, ad esempio, alla recente sentenza della Corte costituzionale tedesca, che, minacciando di rendere incostituzionale la partecipazione della Bundesbank al programma di acquisto dei titoli pubblici promosso dalla BCE, arriva fino al punto di mettere in questione il primato del diritto europeo su quello nazionale.

È per questo che vogliamo avanzare una proposta ambiziosa. Che si proceda nella costruzione di un’effettiva integrazione economica fra quegli stati che vorranno essere della partita.

Nelle ultime settimane un insieme di nove paesi che rappresentano oltre la metà del PIL europeo – fra cui Italia, Francia e Spagna – hanno condiviso l’esigenza di dotarsi di strumenti più avanzati al fine di trovare un finanziamento comune che non vada a pesare sui singoli debiti nazionali. Tra i governi di questi paesi, si prenda il recente intervento di Iglesias al Parlamento spagnolo, è forte la consapevolezza della necessità di affrontare la crisi tramite una soluzione comune che non ricalchi le ricette fallimentari del recente passato. Potrebbero dunque unirsi e fare, insieme, quello che non riesce all’Unione nel suo congiunto. Non si tratta di “Unione mediterranea” ma di Unione degli ambiziosi.  

L’Italia, svolgendo un’adeguata iniziativa politica e diplomatica, potrebbe quindi sondare la disponibilità degli stati favorevoli ad avanzare autonomamente verso una maggiore integrazione. Questo significherebbe creare un fondo comune da cui emettere titoli di debito finalizzati alla rinascita, una sorta di Istituto per la Ricostruzione Europea. Lo stesso sarebbe capace di emettere eurobond a basso tasso di interesse – in buona parte acquistabili dalla BCE – così da non gravare direttamente sul debito nazionale. E potrebbe, finalmente, sviluppare le linee guida di una politica industriale comune, a partire dalla necessità di una riconversione ecologica del sistema produttivo.

Si tratterebbe di creare un coordinamento permanente tra alcuni stati che li porti anche ad esprimere sistematicamente una posizione unica all’interno delle istituzioni europee. Così si cambierebbero anche gli equilibri all’interno dell’Eurogruppo e del Consiglio europeo, dando una scossa allo stesso fallimentare impianto intergovernativo. Pensiamo, a esempio, alla questione irrisolta dei paradisi fiscali o alla sostanziale impotenza dell’Unione a fronte dell’annosa deriva autoritaria in Ungheria e Polonia, di cui diversi governi sono stati silenziosi e interessati complici.

Tutto questo avverrebbe con la massima apertura nei confronti degli altri stati membri di orientamento democratico e all’interno dell’Unione europea stessa, quindi senza rifiutare a priori un’eventuale attivazione degli strumenti comuni che saranno definiti per l’area euro.

Una tale iniziativa potrebbe essere intrapresa tempestivamente qualora le trattative in corso portassero, come è probabile che sia, verso l’ennesimo inadeguato compromesso tra i bottegai nazionali. Si tratterebbe in tal caso di una soluzione che rafforzerebbe e non indebolirebbe l’Ue, dando vita a una punta avanzata dell’integrazione e a un primo nocciolo di una vera federazione europea.

Abbiamo bisogno di quello che è mancato nell’ultimo decennio: un’iniziativa coraggiosa che porti l’integrazione europea su un’altra rotta. I veti incrociati che paralizzano l’Unione attuale sono il virus che uccide l’ideale di un’Europa unita. È giunta l’ora di fare vivere tale ideale. Di unire l’Europa, a partire da chi ci sta. Lasciando gli altri, finalmente, liberi di inseguire.