Uno scritto davvero poco noto del grande semiologo comparso nell'opera divulgativa in 15 volumi nel 1959
La caccia alla volpe. Un’immagine tipica di molte stampe è proprio di una cavalcata di dame e gentiluomini in giubba rossa che inseguono la volpe, preceduti da una muta di cani, in mezzo a praterie verdissime e a ciuffi di alberi dalle più morbide tonalità di verde. Nata in Inghilterra la caccia alla volpe è l’espressione più singolare di una classe aristocratica di gran prestigio, ha tutti i magnifici pregi e tutti i desolanti difetti di un certo modo di concepire la vita. La caccia alla volpe è innanzitutto una parata, un’occasione variopinta d’incontro ad alto livello, una cavalcata coreografica; il gusto della caccia cade in secondo piano, anzi l’aspetto cruento di questo sport manca del tutto.
L’uomo nella caccia alla volpe non uccide l’animale, ma lascia la penosa incombenza ai cani, come nel Medio Evo i signori delegavano l’incarico di uccidere al falcone. In questo risolvere la caccia in atto di stile evitando ogni eccesso sconveniente sta la suprema eleganza e l’imperdonabile estetismo della caccia alla volpe. Un gentleman, volendo menzionare il colmo della volgarità, dirà: “quell’uomo sarebbe capace di sparare ad una volpe”. Proprio per questo la caccia alla volpe è detta brevemente hunting, la caccia, e se si vuole indicare l’atto volgare di far fuoco sopra una selvaggina, bisognerà specificare dicendo shooting, dal verbo to shoot, sparare.
(
Umberto Eco, Usi e costumi, in Il Milione, vol. II, pag. 551, De Agostini,1959)