“Il tempo è circolare. E la fisica quantistica prima o poi ce ne darà la prova”. Parola del grande scrittore bulgaro

«Il racconto del passato è molto più interessante di quello sul futuro: più vivo e più pieno di storie». Georgi Gospodinov spiega così il fascino della nostalgia. Gospodinov è nato 53 anni fa a Jambol, piccola città a sud est della Bulgaria. Con “Fisica della malinconia” ha vinto numerosi premi (a riprova di quanto fosse troppo perentoria l’affermazione di Eugenio Montale per cui non si potrebbe essere un grande poeta bulgaro) e ora con il romanzo “Cronorifugio” si è aggiudicato il Premio Strega europeo. In Italia è pubblicato da Voland. In “Cronorifugio” parla di un’Europa dove la popolazione di ciascun Paese sceglie il decennio del Novecento in cui vivere: il trionfo della nostalgia.

Corpo massiccio, viso simpatico e frequenti risate, alla domanda su cosa sia la nostalgia Gospodinov risponde: «È stata definita come una malattia, ma nel contesto da cui vengo io la nostalgia è quella dei posti che non hai mai visto e delle cose che non ti sono mai accadute ma che percepisci come intimamente tuoi. I miei nonni, un pastore e una casalinga, non hanno mai viaggiato, ma hanno sempre avuto nostalgia di città come Roma o Parigi. Quando per la prima volta sono andato a Parigi guardavo Notre-Dame con i loro occhi. Conoscevo già quel posto dai loro racconti. Le racconto una storia stupida. Per noi, Parigi era una statuetta della Tour Eiffel con il termometro dentro, che qualcuno portò da un viaggio. E così raccontavamo una barzelletta su un bulgaro che va a Parigi e gira attorno alla Torre nella vana ricerca del termometro». Si fa serio: «In questo tipo di nostalgia e malinconia c’è qualcosa di Cechov, di “Tre sorelle”, dove si dice: “A Mosca, a Mosca”. Si tratta sempre di un luogo dei sogni dove non sei mai stato e sai che non ci andrai».

Quando sente dire che chiunque abbia letto da ragazzo i libri di Balzac o Hugo (i ragazzi del Novecento li leggevano), o visto film della Nouvelle Vague dove Anna Karina o Jean Seberg passeggiano per le strade di Parigi, una volta in quella città si sente a casa, risponde: «Certo. I libri producono memoria. Pure il cinema lo fa. È questa la forza dell’arte, produrre memoria anche intima, seppur non vissuta in prima persona, e quindi nostalgia».

E allora, parliamo del Tempo, non quello meteorologico ma quello che scandisce e misura le ore e i giorni della vita. Azzardiamo l’ipotesi per cui il tempo dell’Europa del centro è diverso da quello occidentale, perché si tratta di luoghi abitati da gente che, una volta, viveva tempi diversi: gli ebrei quello di Gerusalemme (in Polonia i bambini ebrei festeggiavano l’inizio della primavera nei boschi, immersi nella neve di febbraio), i musulmani (numerosi in Bulgaria) quello della Mecca, gli ortodossi il calendario giuliano, i cattolici quello gregoriano. Il tempo di quei luoghi non è mai stato unico e lineare quindi. Gospodinov riflette: «È vero». Ride: «Ha detto tempo non lineare, circolare? Nel mio libro, gli scandinavi scelgono di vivere negli anni Settanta. Ed ecco, che oggi, gli Abba, sono tornati con un nuovo disco». E poi: «Ho una teoria che riguarda il mio Paese. Il comunismo bulgaro mancava di avvenimenti importanti. Non abbiamo avuto né la rivoluzione ungherese del 1956, né la contestazione giovanile alla campagna antisemita polacca del 1968, né la Primavera di Praga e l’invasione della Cecoslovacchia. Ma nessuno vuole sentirsi dire che la sua biografia sia mancante di eventi significativi. Per questo abbiamo bisogno di mescolare storie, tempi e inventarci tutto».

Restano gli oggetti, che Gospodinov nei suoi libri descrive con precisione. Abbiamo nostalgia degli oggetti o dell’atmosfera che gli oggetti creano? «Gli oggetti sono le Madeleine di Proust. Sono il dispositivo che sprigiona la memoria. Mentre scrivevo “Cronorifugio” ho letto molti testi di neuroscienze e su Alzheimer. È stato provato che le persone che soffrono di perdita della memoria, nel momento che vedono gli oggetti o sentono un odore del passato, riescono ad accedere ai loro ricordi. Quindi gli oggetti non sono feticcio, ma la chiave della scatola in cui è rinchiusa la memoria. Raccontare il passato è più interessante che narrare il futuro».

La cosa ha delle implicazioni politiche notevoli, perché se il passato è più attraente del futuro allora hanno ragione i populisti con la loro esaltazione dei bei tempi che furono, e torto la sinistra che si considerava sempre l’agente del Futuro nel Presente. Meglio la Luna del Passato del Sol dell’Avvenire? Gospodinov ammette che la destra è più brava della sinistra a raccontare storie, ma preferisce restare sul terreno dell’esperienza esistenziale individuale: «Sono le storie a crearci, siamo fatti di storie. Siamo ciò che ci hanno raccontato i nostri genitori. Mentre scrivevo il mio libro ho incontrato figli e figlie di persone che sono state ad Auschwitz. La storia più triste è quella di una donna a cui hanno raccontato la vicenda di sua madre nel lager quando aveva ormai 15 anni. Questa donna mi ha detto: già da piccola senza sapere niente avevo un inspiegabile terrore dei treni».

La memoria passa anche per il corpo e senza le parole. Amos Oz raccontava che un giorno svegliatosi riconobbe nella sua mano la mano del padre e diceva che siamo tutti incinti dei nostri genitori. «Da quando avevo cinque anni sbucciavo le mele facendo una serpentina. Un gesto che ripetevano identico mio padre, mio nonno, il padre di mio nonno. Memoria è anche questa». Ma esiste la nostalgia del futuro? «Pure il futuro cambia e viene declinato al passato. Quello degli anni Settanta non era uguale a quello degli anni Novanta, per esempio». Obiezione: diceva Bauman che il futuro non esiste, è solo la nostra immaginazione: Risposta: «Ciò nonostante influisce su di noi, come la Luna sulle maree». A Torino, parlando alla Scuola Holden, ha citato il libro dell’Apocalisse. «Perché si parla della fine del mondo come la fine del Tempo e non dello spazio. È solo la chiusura di un cerchio. Sono convinto che un giorno la fisica quantistica ci darà la prova che il Tempo è circolare».

Gli ricordiamo il libro di Umberto Eco, “A passo di Gambero” del 2006. Diceva Eco che più andiamo avanti con le tecnologie più abbiamo bisogno degli strumenti del passato. «Abbiamo voglia di rallentare, di sostituire la velocità di Internet con la lentezza della letteratura. I beduini quando attraversano il deserto si fermano molto più spesso di quanto sia necessario ai cammelli per bere e riposare. E quando chiedono loro perché, rispondono: diamo il tempo alle nostre anime di raggiungerci. La letteratura e le arti sono queste fermate». L’ultima domanda è su Ulisse, eroe presente in molti suoi libri. Perché rifiuta l’immortalità? Sceglie di essere mortale per la nostalgia di Itaca e di Penelope? «Me lo sono sempre chiesto. Perché lascia bellissime donne e torna dalla moglie? Forse si rende conto di quanto sia preziosa la mortalità, perché solo ciò che muore è stato prima vivo. In “Cronorifugio”, mi domando cosa succederebbe se Ulisse, dopo essere tornato a casa, perdesse la memoria e non riconoscesse la moglie. Partirebbe alla ricerca di Itaca. Il cerchio si chiuderebbe». La nostalgia vince perché senza non c’è vita.