L’importanza dei punti di vista. Il valore della diversità. Il senso della giustizia dietro una risata. Scoperti grazie alla lettura del “Secondo libro” del ragioniere nazionale

Il libro che mi ha liberato è stato “Il Secondo tragico libro di Fantozzi” di Paolo Villaggio. L’ho trovato nella libreria della casa dei miei genitori. In edizione Rizzoli, tascabile. Avevo già visto il film e avevo riso di questo personaggio senza fortuna e senza grazia, circondato di bruttezza. Sono brutte anche le cose che ama. Sono brutte tutte le cose che ha fatto. Ridevo di Fantozzi e non con Fantozzi, per utilizzare il vecchio e veritiero adagio del professore de “L’attimo fuggente”, anche se a quel punto dell’adagio non sapevo ancora. A ogni modo, avevo preso il libro per ridere ancora alle spalle del ragioniere nazionale. Sulla copertina Ugo Fantozzi se ne stava in spiaggia con basco mutandone ascellare e bretelle. Fuori luogo, come al solito insomma. Questo accadeva nella seconda metà degli anni Ottanta, avevo dunque tra gli otto e i dieci anni. Lo scrivo non per fare il fenomeno, come si dice, ma perché i libri che ho letto quando non capivo proprio tutto, mi hanno insegnato molte cose. E Fantozzi è stato il primo di questi libri. Poi ho letto Virginia Woolf, Bret Easton Ellis, “Arcipelago Gulag”, “Le fiabe russe proibite”, e “La fisica per tutti” di Landau, tutti in quell’anno, con una misteriosa foga e un sicuro tutto nell’incomprensibilità. Ma la rivelazione è venuta dal secondo tragico libro. Per prima cosa non faceva solo ridere. Anzi. Mi faceva innervosire, Fantozzi subiva ingiustizie. Non mi piacevano le ingiustizie. E per seconda cosa, c’erano episodi tragici - Fantozzi che finalmente riesce a portare a cena la signorina Silviani, vanno in un ristorante giapponese, lei reca seco il cane, e i ristoratori lo cucinano e lo servono - che rivelavano la loro natura comica, sottolineando quanto il comico generato nello scontro tra due culture aiuti a riconoscere la diversità, o episodi comici – Fantozzi che entra con la radiolina nella sala dove la dirigenza obbliga i dipendenti a guardare “La corazzata Potemkin” (e a seguire dibattito) durante la partita della nazionale – che rivelano la loro natura tragica, perché è tragico che qualcuno stabilisca che cos’è cultura alta e cultura bassa, e soprattutto che concetti del genere – se esistono – siano uguali per tutto. Ecco, non che io abbia capito tutto questo alla fine degli anni Ottanta del Novecento, ma l’ho imparato, e spero di ricordarmi sempre che comico e tragico sono punti di vista, e che il comico è più responsabile.