Al Museo archeologico di Napoli va in scena l’epoca più fiorente di Istanbul. Ultimo baluardo dell’impero romano

Ponte strategico fra Oriente e Occidente, l’antica Anatolia, oggi Turchia, ha visto fiorire e decadere civiltà diverse sul suo territorio, dal regno ittita alla leggendaria Troia. Erano però tutte greche le principali città sulla costa, quando Alessandro Magno le liberò dal giogo persiano. Ed era greca Bisanzio, affacciata sul Bosforo, dove Costantino “il Grande” trasferì la sua residenza nel 330.

Da lui prese il nome di Costantinopoli, sebbene, con i suoi sette colli e con un Senato, alla denominazione ufficiale di Nuova Roma rispondessero i fatti; il latino restava la lingua amministrativa e militare, mentre il Cristianesimo si diffondeva sempre di più, fino a diventare, sotto Teodosio, religione di Stato. Stava cambiando il mondo.

L’impero fu suddiviso in seguito tra Oriente e Occidente, ma la sede del massimo potere rimase Costantinopoli, che continuò ad arricchirsi di monumenti, chiese e palazzi. Lì risiedeva l’imperatore d’Oriente, rimasto solo nella nuova capitale a reggere lo scettro della romanità dopo che il “barbaro” Odoacre depose l’ultimo regnante occidentale nel 476. Dunque, fu impero romano (e “romei” erano detti gli abitanti) lo Stato che per tanti secoli ne proseguì l’esistenza, fino alla conquista turca del 1453. Eppure, a cominciare dal Seicento fu definito “bizantino” dal più antico nome di Costantinopoli, per la prevalenza della lingua greca e l’assetto teocratico dell’impero. A questo lungo tratto di storia è dedicata una mostra a Napoli, nel Museo archeologico nazionale (Mann): “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario”.

Promossa da Paolo Giulierini, direttore del museo, curata scientificamente dall’archeologo Federico Marazzi e organizzata da Villaggio Globale International, la mostra entra, attraverso quindici sezioni e quasi 500 reperti, in ogni aspetto di quanto si irradiò dal Bosforo in Italia e nel Mediterraneo: amministrazione, esercito, espressioni artistiche, vita di corte, monetazione, commercio (dal 21 dicembre 2022 al 13 febbraio 2023, guida breve e catalogo Electa).

Ma perché il racconto è stato allestito proprio a Napoli, luogo più legato ai regni angioino, aragonese, delle due Sicilie? «Riguarda un aspetto importante e poco conosciuto della storia di questa città», spiega Marazzi, docente all’Università Suor Orsola Benincasa, partner dell’evento: «Napoli, come ducato all’interno dell’impero, conobbe per secoli autonomia e prosperità; inoltre, il suo porto ben attrezzato offriva maggiore sicurezza ai vivaci traffici commerciali con il cuore dell’impero e il mondo islamico. La sezione d’apertura della mostra è riservata proprio alla Campania e a Napoli, vero Stargate verso l’Oriente».

Se “bizantino” e “bizantinismo” sono rimasti termini relativi a norme cavillose, discorsi tanto retorici quanto difficili da comprendere, non rimangono dubbi sul nome dell’imperatore che fece raggiungere il massimo splendore al regno: Giustiniano (527-565). Promotore del codice che riordinava, adattandole ai tempi nuovi, le leggi romane (Codex Iuris civilis), ricostruì la famosa chiesa di Santa Sofia (ora moschea); con i suoi eserciti riuscì a conquistare i territori italici sotto il dominio gotico e gran parte del Mediterraneo, mentre continuò — come i predecessori – a essere arbitro di contese religiose, quale garante dell’ordine costituito. Di più: sentiva la sua figura pervasa da una missione ultraterrena, interprete di una sinergia tra imperatore e divinità. E di questa collaborazione Santa Sofia era l’esempio più fulgido. Talmente maestosa, rilucente d’oro nei mosaici, ricca di colonne e ornamenti di vari colori da lasciare abbagliato chi vi entrava.

La liturgia aveva il suo peso: il complicato cerimoniale tra suoni, canti, gesti, profumi intensi rendeva il culto un grande spettacolo. La stessa Costantinopoli si offriva agli occhi dei sudditi e dei visitatori alla stregua di un palcoscenico, con processioni e sfilate interminabili all’insegna del fasto lungo la via Mesa, larga 25 metri e fiancheggiata da portici. Arrivava fino al Gran Palazzo, sede principale dei sovrani, adiacente all’Ippodromo, il più importante luogo di raduno della città dove l’imperatore appariva dall’alto di una loggia.

Nella rassegna napoletana una statua in marmo (dalla Centrale Montemartini di Roma) rappresenta un giovane magistrato: nella mano destra stringe una specie di fazzoletto che serviva, agitandolo, a dare inizio alle corse equestri. Era il momento più atteso dalle migliaia di persone stipate sulle gradinate e, anche se la scultura si riferisce al Circo Massimo, lo stesso rituale doveva svolgersi a Costantinopoli.

All’interno del percorso espositivo, ingrandimenti dei reperti più minuti e gigantografie di personaggi reali fanno da sfondo alle vetrine e potremo vedere Giustiniano, con sua moglie Teodora e alcuni dignitari, come appaiono nei mosaici della basilica di San Vitale a Ravenna. Colpiscono i gioielli che li ornano: per l’imperatrice, una corona-turbante di pietre preziose, perle à gogo, pendenti che terminano con diamanti. Ma l’imperatore non è da meno, sfoggiando la ricca corona e la vistosa spilla che trattiene il mantello su una spalla.

Sono molte le donne di potere che caratterizzarono i secoli bizantini, iniziando da Elena, madre di Costantino, poi le regnanti: Irene alla fine dell’VIII secolo, unica ad assumere il titolo imperiale al maschile (basileus), che pose fine alla guerra con gli arabi, e Zoe, che salì e scese più volte dal trono tre secoli più tardi; ma la moglie di Giustiniano rimane la più famosa (da non perdere la biografia “Teodora. Ascesa di un’imperatrice” di Paolo Cesaretti, Bolis Edizioni) perché è stata la prima a incidere nella storia del suo tempo e per la vita dissoluta condotta prima del matrimonio, raccontata dallo storico Procopio di Cesarea.

A Napoli si vedranno altri gioielli, indicativi del lusso delle dinastie che si sono avvicendate, accompagnati da vasi invetriati, croci con gemme, le stesse monete auree che ritraggono i sovrani. Due posti a sé spettano ai sigilli e ai testi scritti. In particolare, va segnalato l’evangelario greco in caratteri d’oro che faceva parte della biblioteca di Lorenzo il Magnifico.

L’erezione di chiese e monasteri è stata considerevole ovunque, anche per l’impulso di donne aristocratiche, e pertanto a prevalere nella mostra sono mosaici, ornamenti architettonici, icone, affreschi religiosi provenienti da 57 musei, in gran parte greci. Ma per illustrare il mondo cristiano-bizantino in alcune postazioni scorreranno immagini di manufatti e luoghi significativi.

In tutta Italia, da Venezia a Cagliari, dalla Puglia alla Sicilia, passando per Roma, si trovano edifici di culto e fortificazioni. Custode di particolari bellezze è la Calabria che per cinque secoli fu un concentrato d’Oriente e di grecità. Sono lì a documentarlo i resti del castello di Santo Niceto, la Cattolica di Stilo, chiesa a croce greca su pianta quadrata con le sue cinque cupole intatte; e ben conservati sono anche il battistero di Santa Severina, il complesso monastico basiliano di Santa Maria del Patire a Rossano, città che conserva il Codice purpureo, patrimonio Unesco: 188 fogli miniati di pergamena rossa con i vangeli di Marco e Matteo, risalenti al VI secolo. «La rassegna che sta per iniziare si presenta come specchio di una comunicazione culturale, religiosa, amministrativa durata secoli tra le diverse sponde del Mediterraneo e, grazie a un impero che ha tenuto insieme popoli profondamente diversi fra loro, si offre come occasione per riflettere in chiave di conciliazione internazionale tra luoghi, oggi contrapposti, permeati di questa eredità», sottolinea il direttore Giulierini.

Pure Istanbul, l’attuale Nuova Roma, conserva testimonianze e ha inviato un bellissimo video con la ricostruzione virtuale di Costantinopoli al suo apogeo. Il silenzio delle immagini è interrotto dal rumore dell’acqua che zampilla in fontane e terme, scende lungo ninfei, scorre negli acquedotti. Sembra una musica leggera, senza tempo.