Oramai dalle nostre parti funziona così: o replichi di sana pianta un titolo meraviglioso pensando che basti tradurlo con facce nostrane invecchiate come capita (e su “Noi”, trasposizione di “This is Us” le parole spese sono persino troppe) oppure punti sull’usato sicuro.
Ti viene una buona idea, realizzi un film che funziona, capace persino di dire qualcosa. Poi lasci passare qualche anno, riprendi in mano la stessa medesima storia, la infiocchetti con tracce di modernità e la sbrodoli in una serie tv per otto, lunghissimi episodi. Poi strano, ti stupisci se il risultato è scarso.
L'avevamo appena subìto con l'ostinazione seriale di Gabriele Muccino e il suo “A casa tutti bene”, quando ecco che arriva Ferzan Ozpetek, stessa modalità al risparmio, un aggiornamento del cast neanche fosse un algoritmo, identici dialoghi, scene topiche, bicchiere rotto compreso, e le novelle “Fate Ignoranti” su Disney + sono servite su un piattino di latta.
L'operazione è perdente in partenza ma non tanto per i suoi difetti, tra occhi sgranati, sospiri continui e case smodate in cui nessuno lavora per mantenerle. Quanto perché si fatica ad accettare l'idea che un regista come Ozpetek non abbia avuto l'irrefrenabile desiderio di creare in tema di diritti civili un pensiero inedito e contemporaneo. Un po' come una resa incondizionata al fatto che si possa vivere di rendita all'infinito senza sforzi e che lasciarsi prendere la mano dalla pigrizia ideativa possa essere comunque considerato un plauso.
Quando uscì nelle sale il film con Stefano Accorsi e Margherita Buy fu una sorta di benefica sberla da grande schermo, capace di scuotere gli osteggiatori compulsivi alla libertà altrui. Si parlava in maniera del tutto inedita di comunità gay, di transessualità, di Aids facendo ruotare la coralità interpretativa, in cui perfino Gabriel Garko risultava credibile, intorno a una magnifica storia, di morte, di accettazione, di amore.
Nella serie tv, al netto di alcune presenze di merito (Ambra Angiolini e Carla Signoris su tutte) la novità più incisiva è la riduzione dello schermo. Per il resto rimane ben poco, se non la dilatazione fine a se stessa di un racconto già detto. Come se a distanza di vent'anni, non ci fosse la necessità di srotolare una nuova bandiera contro l'omofobia imperante e bastasse dare una spolverata a quella vecchia lasciata a riposo in un angolo del terrazzo. Peccato, perché di nuove fate di questi tempi senza magia ne avremmo avuto tutti un gran bisogno.