Numeri, regole, conti, difficili equilibri. Ad Alma, la Scuola internazionale di cucina italiana a Colorno, in provincia di Parma, nulla è lasciato all'improvvisazione

Hai 3 minuti, se ti va bene, per giocarti il lavoro. 180 secondi, non uno di più: il tempo massimo di attenzione che le persone dedicano a un menu. Se fai il ristoratore, non ne puoi sprecare mezzo. «È lo strumento di vendita più potente di un ristorante. Si guadagna solo da quello che c’è scritto lì, quindi bisogna costruirlo bene. Deve servire a due cose: far felice il cliente e far guadagnare l’impresa. Un menu efficace si progetta». Colorno, provincia di Parma, scuola internazionale di cucina italiana Alma. Parlano a una voce, Alessandro Fadda e Antonio Cassano, titolari di un corso inedito e unico in Italia, in Restaurant Revenue Management: insegna a gestire un ristorante perché faccia guadagnare. Non è scontato, i dati Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) dicono che c’è crisi. L’anno scorso 9.688 imprese hanno avviato l’attività, 20.384 l’hanno cessata. Per una che apre, due chiudono. Non è sempre stato così: per anni i margini sono stati talmente alti che riuscivano a guadagnarci anche persone senza particolare competenza economica. «C’era meno concorrenza, il sistema fiscale era meno aggressivo - diciamo pure che c’era più evasione. Ora tutto è cambiato, e la metà di queste imprese non supera i 5 anni. Molti però si improvvisano (nel settore bar-ristorazione si può partire anche con poco capitale), tanti si lasciano suggestionare dagli show alla Masterchef e sognano di mettere in piedi “un’attività di qualità con solo 15 posti a sedere”. Ma con questi numeri, anche se fai il pieno tutte le sere, non stai in piedi», avverte Fadda. I numeri invece contano, molto. «Strumenti di misurazione preziosi sono costo del cibo, costo del lavoro, scontrino medio. Ma pesano anche: indice d’occupazione di tavoli e sedie, durata media del pasto, quanto tempo prima rispetto alla prenotazione arriva il cliente, quanto performano i singoli camerieri - oggi i palmari dicono quanto ciascuno consente di fatturare. Se uno è molto sotto la media bisogna capire perché e formarlo meglio», spiega Cassano, che introduce “lo” strumento principe per manager di ristoranti: il RevPASH. Acronimo di Revenue Per Available Seat Hour.

 

In sostanza: dato il totale di posti a sedere e il totale di ore di apertura, posso calcolare quanto ogni sedia fattura all’ora. E prendere decisioni: prezzi dinamici, promozioni, stimoli per migliorare. I prezzi dinamici sono una lezione appresa da altri ambiti, come la vendita di voli e notti in hotel. Una camera o un biglietto aereo possono costare, a seconda di clienti e giorni, cifre diverse. Un po’ come dal parrucchiere: in alcuni giorni il servizio costa anche il 20 per cento di meno. «Ma al ristorante come si rende accettabile che la stessa cosa sia venduta a prezzi diversi? Applicando barriere tariffarie corrette. Il tavolo migliore è equo che costi di più, lo sconto agli studenti è considerato equo. Ogni cliente dovrebbe avere il suo prezzo perché c’è chi è disponibile a pagare 1, chi 2: l’obiettivo è che ognuno trovi la sua soddisfazione». Non conta solo la dinamica dei prezzi, ma anche la loro psicologia. Si torna alla progettazione dei menu. A quei 180 secondi cruciali. Tempo di una silenziosa sfida: tra chi cerca la maggiore soddisfazione possibile dall’esperienza, e chi dal profitto, ma vuole tenersi il cliente. «Più ricerche mostrano che se sul menu il prezzo non è indicato col simbolo della valuta (l’euro), senza saperlo il cliente è disposto a spendere il 10 per cento in più. È lo stesso principio per cui nei casinò non si usano soldi ma fiches. Anche l’incolonnamento dei prezzi rende guardinghi, perché spinge a fare somme: meglio che ogni prezzo sia messo alla fine della descrizione del piatto. Sbagliato mettere sul menu i prezzi a valore crescente: spinge a rifiutare la portata più cara. Bene rendere più evidente, con la grafica, il piatto che dà i margini migliori».

 

Utilissimo da sapere sia per gli imprenditori, ristoratori, consulenti che frequenteranno il corso, intensivo e verticale (6 giorni tra teoria e pratica), che per noi che al ristorante ci andiamo come clienti. E che, inconsapevolmente, tendiamo a scegliere i piatti meglio descritti, perché ci invogliano più di quelli descritti brevemente: il 50 per cento in più. Non sappiamo nemmeno che un menu efficace prevede in media 7 piatti per categoria (primi, secondi, dessert): minimo 5, massimo 9 scelte - oltre ci perdiamo. Il ristoratore, invece, rischia di perderci se non cura il ritmo del pasto. «Soprattutto in un ristorante affollato, già diminuire di pochi minuti la permanenza delle persone cambia il risultato economico», avvertono Fadda e Cassano: «Certo, bisogna sempre tener presente la cultura dei clienti: gli asiatici vogliono pasti veloci, gli americani medi, gli europei più lunghi. Tutti detestano i tempi morti. Al ristorante in 2-3 minuti bisogna portare il menu al cliente, altrimenti si sente trascurato, e il conto appena lo chiede: altrimenti lui si infastidisce, tu non stai fatturando. La standardizzazione rende tutto efficiente e proficuo». Lo fanno anche ottimizzazione degli spazi e gestione delle prenotazioni. «Se i tuoi clienti sono principalmente coppie non ha senso avere tutti tavoli da 4», interviene Cassano. «Le prenotazioni aiutano i ristoratori, nonostante clienti che non si presentano, o arrivano in ritardo, o prenotano per 7 ma arrivano in 4. Gli strumenti anti “no show” esistono: basta un messaggio per ricordare la prenotazione e per quante persone».