Intervista
Ken Loach: «La classe operaia lotta per difendere diritti che appartengono all’umanità intera»
Nei suoi film, il regista britannico si concentra spesso sugli ultimi e sui lavoratori. Che, se sapranno essere uniti, potranno prendere potere. E presidieranno conquiste universali. Anche dagli attacchi di politici inadeguati: «La cosa strana è che oggi il più radicale del pianeta è il Papa»
Nessuno più di lui è convinto che la classe operaia alla fine trionferà. Ken Loach, 87 anni, ha dedicato tutta la sua carriera a raccontarne le vicissitudini, finendo per intrecciarle con i grandi temi dell’attualità. Come la precarizzazione del lavoro in “Sorry, we missed you” e l’immigrazione nel nuovo film “The Old Oak”, in questi giorni al cinema. Assieme al fedele sceneggiatore Paul Laverty si è chiesto come si sviluppi il razzismo nei confronti di chi ha già perso tutto in guerra, come i rifugiati siriani. Una storia di convivenza forzata e di solidarietà, al contempo drammatica, commovente e colma di speranza. Perché, dice il cineasta britannico a L’Espresso, «può sembrare un momento buio, ma è sempre buio prima dell’alba»
“The Old Oak” è il nome di un pub inglese che diventa territorio conteso tra la società dei minatori in difficoltà, dopo 30 anni di declino, e l’arrivo dei rifugiati siriani. Che cosa la spinge a focalizzarsi da sempre sugli ultimi e sugli emarginati?
«È una decisione politica: loro sono ciò che resta della classe operaia, che per me è sempre stata la più interessante da raccontare. La voglia di fare valere i loro diritti, il desiderio di riscatto dalla povertà in cui si trovano a vivere, loro malgrado, l’abilità a fare squadra con il vicino anche in situazioni drammatiche: tutto questo mi ha sempre affascinato. Perché portare sullo schermo il mondo dei lavoratori significa raccontare la loro lotta, che poi è la lotta di tutta l’umanità per sopravvivere».
In che senso?
«Noi siamo loro, loro sono noi. La loro battaglia quotidiana è sempre la nostra, anche quando non sembra, anche quando l’alta borghesia si limita a lavarsi la coscienza organizzando gala di raccolta fondi o pasti di Natale solidali, per poi tornare alla propria luccicante vita sicura e garantita. Che ne sanno queste persone di che cosa significhi combattere ogni giorno contro tutto e tutti per farcela? E soprattutto, dove sono i politici che dovrebbero tutelare i diritti degli ultimi? Che fine hanno fatto in Italia, in Gran Bretagna, nel mondo?».
Non individua nessun politico oggi che sostenga veramente la causa degli ultimi?
«L’unico mi sembra papa Francesco. Fa ridere che il politico più radicale del pianeta sia un Papa, non trova? Eppure non mi viene il nome di nessun leader dell’Occidente che sia radicale quanto lui, cosa che non è mai successa prima».
A proposito di politici e di diritti dei lavoratori, in Italia è stata appena messa in discussione e limitata la libertà di scioperare.
«Ogni limite imposto è la prova della disperazione della politica. Hanno paura che i lavoratori, uniti, prendano il potere. Anche in Gran Bretagna dicono che i settori essenziali devono continuare a funzionare, quindi chi è impiegato negli ospedali, nei trasporti o il personale dei vigili del fuoco non può scioperare. Ma il diritto a scioperare è fondamentale: non puoi essere costretto da nessuno a essere sfruttato. L’attacco della politica al mondo sindacale dovrebbe generare, come conseguenza, una compattezza assoluta tra tutti i leader sindacali, uniti a tutela dei lavoratori e dei loro scioperi più che legittimi».
Nel suo film affronta il tema, tutto attuale, dell’odio dilagante verso i rifugiati, i migranti, coloro che arrivano nelle nostre società e provano a integrarsi.
«È un odio inventato a tavolino, a scopi propagandistici, dai governi per disgregare la nostra unità. Si tratta di persone che lavorano e che hanno rischiato tutto per arrivare nei nostri Paesi; sono state torturate, private degli affetti e delle loro case, hanno subìto tanto. E una volta arrivate qui sono costrette a subire anche le nostre xenofobie, gli attacchi di rabbia, quando avrebbero solo bisogno di sostegno, integrazione, protezione. La propaganda politica di destra ha saputo trasformare una domanda, “perché vengono da noi?”, in “cacciamoli, non li vogliamo qui”. È un problema enorme che vede Paesi come l’Italia e la Grecia lasciati da soli e che affonda le sue radici nelle disastrose guerre d’intervento per procura da parte dell’Occidente. Da parte di leader che dovrebbero essere rinchiusi anziché fare interviste fingendosi grandi statisti, come Tony Blair e George W. Bush».
Due anni fa è stato cacciato dal Partito laburista, fu tacciato anche di antisemitismo. Qual è la sua posizione in merito alla guerra in corso in Medio Oriente?
«La premessa è che la difesa dei diritti umani vale nei confronti di chiunque. La barbarie degli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso è un crimine di guerra, ma non si può ignorare l’oppressione pluridecennale che il popolo palestinese ha subìto da parte di Israele. Quanto al conflitto, è responsabilità dell’Onu intervenire: ha mandato forze di mantenimento della pace in altre aree del mondo, perché adesso non può difendere i diritti umani dei palestinesi?».
Per tornare al suo film, colpisce che la rappresentante della comunità dei rifugiati che dà inizio al processo di integrazione e convivenza con la comunità inglese sia una donna, Yara. Perché nei suoi film le donne sono sempre centrali? Penso anche a “Io, Daniel Blake” per cui vinse la Palma d’Oro a Cannes.
«Non lo faccio per sostenere l’inclusione delle donne nei film, ma per essere onesto e fedele alla realtà dei fatti: nei grandi scioperi della storia, come quello dei minatori che racconto in “The Old Oak”, le donne sono state fondamentali. Portavano avanti le proteste, organizzavano la distribuzione del cibo, tenevano discorsi pubblici, lottavano per l’emancipazione. Le abbiamo viste tutti, in ogni Paese, e le vediamo ancora oggi. Chi non mette le donne al centro del racconto vuole ignorarle di proposito».