Arabopolis
Segui Burgundio per scoprire l'avventuroso mondo dei traduttori medievali in viaggio tra continenti, lingue e religioni
Scienza, filosofia e diritto devono molto a un giurista del Dodicesimo secolo. Cristina D'Ancona ci guida alla riscoperta della generazione che ha fondato la cultura moderna. Riscoprendo le radici greche e arabe con l'aiuto degli ebrei. Dalla newsletter de L'Espresso sulla galassia culturale araboislamica
Che i copisti medievali siano stati fondamentali per la cultura moderna lo sappiamo tutti. Quanto siano importanti le traduzioni che avvenivano nello stesso periodo, invece, è ancora da scoprire. Un’occasione è il “percorso burgundiano” organizzato dall’università di Pisa nel convento delle Benedettine, che resterà aperto fino al 15 gennaio. Un omaggio a un grande studioso che ha lasciato una traccia fondamentale nella storia della cultura: Burgundio da Pisa (1110-1193), giurista e traduttore, concittadino più anziano del più famoso Fibonacci che fiorisce poco più tardi (muore dopo il 1241) ma gode dello stesso clima di apertura verso le lingue e le culture del Mediterraneo. Compreso l’arabo che, ricordiamolo, nel Duecento rispetto a Pisa riguardava più l’Occidente, cioè parte della penisola iberica, che l’Oriente, perché Costantinopoli non era ancora caduta in mano ai turchi. Di Burgundio e del mondo affascinante delle traduzioni medievali abbiamo parlato con Cristina D’Ancona, docente di Storia della filosofia medievale e direttrice del Centro di studi interuniversitario GrAL (Greco Arabo Latino).
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Visto che siamo nella newsletter Arabopolis partiamo dal legame di Burgundio con il mondo arabo. Lui non traduceva dall’arabo ma dal greco, o sbaglio? Quindi è un legame indiretto…
«In effetti Burgundio direttamente non c'entra con le traduzioni dall'arabo. C'entra nel contesto della storia del movimento di traduzione alla quale è dedicato il lavoro del centro Gral, che in questa occasione precisa, visto che siamo nel ‘23 e ricorrono 830 anni dalla sua morte, ospita una celebrazione della figura di Burgundio. Noi ci occupiamo di traduzioni di testi in epoca premoderna, testi filosofici e scientifici, dal greco in tutte le lingue; e poi anche dall'arabo in latino e così via. È una storia complessa che copre molti secoli e all'interno della quale una grande parte è rappresentata appunto dalle traduzioni dall'arabo».
Ufficialmente, il greco antico “torna” nell’Europa rinascimentale nel 1397 con l’insegnamento del greco a Firenze con Manuele Crisolora. Burgundio però lo conosceva anche prima…
«Gli specialisti si dividono tra chi pensa che lui abbia imparato i rudimenti del greco a Pisa e chi invece pensa che lo abbia imparato a Costantinopoli. Quel che è certo è che lui essendo “iudex”, quindi un giurista, molto probabilmente aveva avuto bisogno di impratichirsi del greco già nella sua formazione a Pisa per leggere i passi greci del Digesto (la raccolta di leggi voluta dall’imperatore Giustiniano, scritta in latino e in greco n.d.r.). È un po’ quello che è successo, nello stesso secolo di Burgundio, intorno al 1140, a Gerardo da Cremona, grandissimo traduttore dall’arabo. Gerardo, di formazione astronomo, è partito da Cremona per Toledo, ed è molto probabile che l’arabo lo abbia imparato lì, più facilmente che a Cremona…»
Ma Burgundio perché è così importante, perché va riscoperto?
«È importante per la trasmissione del sapere perché ha tradotto cose fondamentale in tre ambiti, che sono le tre branche delle facoltà universitarie del secolo successivo: la teologia il diritto e la medicina. Cominciamo dalla medicina: Burgundio ha tradotto Galeno a piene mani. Ora, la conoscenza di Galeno ha una prima fase con la scuola Salernitana, nel secolo nono, quando si traduce dall'arabo e ci si basa su compendi di medicina basati solo in parte su Galeno. Però poi quando Burgundio traduce Galeno direttamente dal greco, pone le basi per l’insegnamento della medicina in latino che è alla base delle grandi università di medicina, come Montpellier e Bologna. Ancora più importante è la sua opera dal punto di vista della formazione della cultura teologica del tredicesimo secolo: semplificando un po’, possiamo dire che Burgundio, traducendo dal greco Giovanni Crisostomo e Giovanni Damasceno, ha messo a disposizione della cultura teologica latina la patristica greca. Dobbiamo pensare che nel medioevo lo studio universitario della teologia aveva una progressione fissa, che partiva dalle sentenze di Pier Lombardo, un erudito che aveva raccolto le opinioni dei Padri della Chiesa su tutti gli argomenti fondamentali della teologia cristiana: ma Pier Lombardo non avrebbe potuto farlo includendo l'opinione dei padri della Chiesa greca se non avesse avuto a disposizione le traduzioni di Burgundio. Che poi ha tradotto a piene mani anche Aristotele: in particolare le opere di logica che formavano il tronco comune degli studi universitari dell’epoca».
Un uomo di studio che però viaggia anche moltissimo: sul sarcofago che lo ricorda si legge: «O tu che leggi questa lapide, se brami di essere lodato come Burgundio, / segui il suo esempio e valica l’alto mare»…
«Burgundio si trova a Costantinopoli insieme ad altri italiani, Giacomo Veneto e Mosè da Bergamo, sono presenti a una disputa diciamo di ordine teologico che si tiene a Costantinopoli e in cui si affrontano le questioni fondamentali che dividono la chiesa d'oriente della Chiesa d'occidente, riguardo alla Trinità e a Maria. Lui va lì proprio per partecipare alla disputa, però poi sia lui che Giacomo Veneto si mettono a tradurre massicciamente Aristotele. Siamo più o meno intorno alla metà del secolo: e contemporaneamente, ma su tutto un'altro scacchiere, cominciano le grandi traduzioni dall'arabo con Gerardo da Cremona e altri che confluiscono verso Toledo. Dall’Europa continentale, dal nord dell'Italia ma anche dalle isole britanniche, dalla Germania o dalla Carinzia è tutto un viaggio di gente che va a Toledo in cerca di opere scientifiche da tradurre dall’arabo. Toledo è ridiventata cristiana nel 1086, c'è di nuovo un vescovo, e soprattutto lì affluiscono dal sud della Spagna molti ebrei cacciati dal rigorismo del nuovo regime che si è instaurato, il regime almoravide. Prima gli almoravidi e poi gli almohadi interrompono quella che era la l'abitudine alla convivenza delle tre componenti che caratterizzava i regni arabi autonomi, che erano piccole città-stato, un po’ come le corti rinascimentali, dove ognuno faceva quel che voleva e tra le religioni c’era la “conviventia”. Con gli almoravidi già sono guai, con gli almohadi guai ancora peggiori e quindi gli ebrei fuggono dal sud musulmano verso il nord cristiano. E lì a Toledo, con una sorta di ombrello protettivo garantito dall'arcivescovo, iniziano traduzioni che spesso sono fatte a quattro mani: sono chiamate traduzioni a due interpreti».
Cosa significa?
«Diciamo che la “lingua di scambio” è il mozarabo, che mette in comunicazione chi legge l’arabo e chi conosce il latino. Il dotto ebreo legge una frase in arabo, la traduce a voce in volgare, e il chierico la scrive in latino. Solo alcuni imparano l'arabo sul posto e traducono direttamente. Tipicamente le traduzioni a due interpreti riguardano Avicenna. Ma questo è un altro canale con il quale, nella seconda metà del dodicesimo secolo, arriva nella cultura europea l’Aristotele non logico, il cosiddetto “Aristotele naturale” che poi è la Aristotele della metafisica, del “De anima”. Le questioni aristoteliche su cui nel secolo successivo si dibatterà ferocemente - il mondo è eterno? Dio si occupa di noi? l'anima è immortale? - circolano perché c'è questo doppio canale di traduzione: dal greco con Giacomo Veneto e Burgundio, e dall'arabo: sono due canali che scorrono più o meno in parallelo, più o meno nella seconda metà del dodicesimo secolo».
In cosa consiste il percorso per riscoprire Burgundio?
«Diciamo che la riscoperta di Burgundio, come ha spiegato il nostro rettore Riccardo Zucchi che è un “medico umanista”, è legata all'interesse dell'università di Pisa non solo per la figura specifica di Burgundio ma anche per il clima culturale che ha permesso l'apparire di quell'altra straordinaria figura che è Fibonacci. Abbiamo organizzato un convegno su “Viaggiare e tradurre nel medioevo” perché Pisa ha sempre avuto una predisposizione ai rapporti con l'oriente e con l'occidente, intendendo per occidente l'occidente musulmano (la Spagna medievale n.d.r.). Che Fibonacci sia di importanza fondamentale per la scienza moderna ormai lo sanno tutti. Ma Burgundi è stato fondamentale nella grande storia delle traduzioni che hanno trasformato l'immagine del cosmo da antico a medievale predisponendo la nascita della moderna scienza del cosmo. Perché senza medioevo non si va da nessuna parte: il medioevo è l'età delle traduzioni, è il medioevo che crea le condizioni per la riflessione sul cosmo e sui suoi principi che noi chiamiamo scienza moderna. Chi studia lo sa, ma fuori si continua a parlare di mentalità medievale come se fosse arretrata…»
Beh, fossimo arretrati come i medievali saremmo un passo avanti…
«Eh sì, pensi solo ai viaggi che affrontavano, con i mezzi del tempo e andando incontro al nulla. Erano pellegrini del sapere… Pensi a questo Gerardo che parte da Cremona per andare in un posto dove non conosce nessuno, e nemmeno la lingua: ma parte perché cerca una copia dell'Almagesto, cioè la versione araba della “megiste suntaxis”, l’opera astronomica di Tolomeo. Quindi parte, arriva lì, studia la lingua e traduce dall’arabo in latino quell’opera così tecnica. C’era uno spirito d'avventura che noi ce lo sogniamo. È fenomenale vedere cosa queste persone affrontavano per lo scanzonato desiderio di sapere che caratterizza quell'epoca che noi consideriamo invece buia: perché facciamo confusione, la confondiamo con epoche molto posteriori, la caccia alle streghe e altre cose che vengono molto dopo. Ma scusi se divago…».
Ma no, le divagazioni sono il sale delle interviste… Ma tornando al percorso burgundiano, in cosa consiste?
«È alle benedettine, un convento molto grande e bello che si trova sulla riva dell’Arno proprio vicino alla chiesa di San Paolo in Ripa d’Arno, recentemente restaurata, dove è sepolto Burgundio. È sepolto in un sarcofago romano: Pisa si caratterizza per il reimpiego dei sarcofagi antichi per seppellire le personalità importanti, come ha studiato molto bene Salvatore Settis. Molti di questi sarcofagi sono al camposanto monumentale ma uno è stato usato per questo personaggio di cui i contemporanei hanno subito cantato le lodi, in una lunga lapide che un opuscolo destinato ai visitatori racconta nei dettagli. Burgundio viene definito “Dottor dei dottori”, “gemma preziosa dei maestri”, colui che “insegnò tanto le regole necessarie ai poeti, quanto l’arte dei medici" e che seppe “tutto quello che è umano, o che spetta alla terra, o che si trova sotto il sole, o che è possibile a sapersi”. Si fa una visita guidata alla tomba, guidati da un ricercatore di storia dell'arte medievale e dell'università di Pisa, Valerio Ascani, e poi si segue il percorso vero e proprio, con una serie di pannelli in cui è spiegato e ricostruito il posto di Burgundio all'interno del movimento di traduzioni medievali che va dal nono al tredicesimo secolo».
Questa iniziativa è promossa dal Gral, che lei dirige: di cosa si tratta?
«Gral è l’acronimo di un centro di ricerca interuniversitario che raggruppa due università italiane,. Pisa e Padova, e una di Parigi. È stato fondato nel 2006 e svolge un'attività di ricerca sulla trasmissione delle idee filosofiche e scientifiche attraverso la trasmissione dei testi. Ogni anno il Gral riunisce dei dottorandi di ricerca con degli specialisti di una o dell'altra opera: il nostro primo incontro è stato dedicato al corpus aristotelico, poi abbiamo parlato del corpus platonico, poi di singole opere: il Timeo, mettendo a confronto le traduzioni greche, arabe e latine; il “De Caelo” di Aristotele, con traduzioni greche arabe latine; poi l'Etica Nicomachea… Ogni volta approfondiamo la storia della traduzione e della ricezione di ciascuno di questi testi. I dottorandi vengono da tutta Italia, spesso anche dalla nostra sede consociata di Parigi, e da quest'anno anche dalla università di Fes in Marocco: è molto importante che questa grande università marocchina si apra alla cultura greco-latina. Abbiamo fatto una convenzione proprio per promuovere la circolazione del sapere, che per noi è molto importante. Per offrire ai colleghi del Marocco la possibilità di formare a loro volta i loro professori di liceo in modo che l’idea della circolazione del sapere diventi una nozione condivisa. Noi abbiamo la fortuna di avere qui un lettore di lingua araba che è un'eccellente specialista di queste materie e i nostri studenti imparano bene l'arabo: è importante che gli studenti marocchini siano messi in condizione di imparare bene il greco e il latino. Secondo me questa è la chiave: per elitario che possa sembrare questo progetto, è importante che funzioni, se vogliamo evitare tanti guai… Bisogna che i professori di liceo abbiano questa osmosi per poi passarla ai ragazzi».
Quest’anno che opera approfondite?
«Quest’anno studiamo un testo importantissimo, il “De Mundo” pseudo-aristotelico: un testo molto antico, che è stato attribuito ad Aristotele ma sicuramente non è suo, dove la dottrina cosmologica di Aristotele diventa una lettera per insegnare le meraviglie dell’universo ad Alessandro Magno. È un testo in greco che è stato tradotto in latino in epoca molto antica, da Apuleio, e poi in siriaco nel quinto secolo, in armeno nel sesto o settimo, e ci sono tre traduzioni in arabo. Insomma ha circolato dappertutto. È un esempio tipico di quella forma letteraria che si chiamava “specula principis”, in cui il filosofo istruisce il sovrano. Aristotele rimprovera Alessandro che è meravigliato dalle bellezze delle città dell’India: e non ti meravigli delle bellezze del Cosmo, di questo edificio perfetto fatto non da mano d'uomo ma da un potere che non si vede e che pure tiene tutto insieme? È insomma un’opera che riprende una cosmologia grossomodo aristotelica ma la declina in chiave monoteista molto esplicita. Proprio questo spiega che abbia avuto molta fortuna sia col mondo arabo che col mondo cristiano islamico cristiano. Gran parte dell'idea di un Aristotele monoteista, che è stata una convinzione fondamentale per la nascita della filosofia araba, nasce proprio dal “De Mundo”».