Filtri e app dettano canoni falsi e conformisti, che non ammettono imperfezioni. E per i più giovani lo specchio è lo sguardo dei social. Mentre la chirurgia estetica conosce un boom senza precedenti

Un selfie non è mai una posa a perdere. Non ci si fotografa mai tristi, in disordine, non filtrati. È la regola per pesare nell’impero del piacere. Un impero che tutti abitiamo e che ha inevitabilmente finito per modellare il concetto stesso di bellezza.

Gli studiosi da tempo osservano il fenomeno che ha raggiunto il suo apice durante la pandemia tra riunioni online via Zoom, videochiamate e dirette Instagram, l’immagine dei nostri corpi è diventata un riflesso costante, lo specchio è lo sguardo degli altri. La spia è anche l’aumento delle procedure mediche cosmetiche e degli interventi di chirurgia plastica, che hanno registrato un trend in crescita costante nel mondo e anche in Italia. Utilizzando i dati forniti dall’International Society of Aesthetic Plastic Surgery (ISAPS) nell’anno 2021, si evidenzia che il nostro è il quinto Paese al mondo per numero di procedure di chirurgia estetica.

Negli Stati Uniti si parla di “Zoom-boom”, dal nome della popolare app di videocall. Direttamente legato alla voglia di vedersi più belli di fronte allo schermo: «Quasi 700mila sono le prestazioni mediche in Italia. Il totale delle procedure non chirurgiche è 385mila, quelle chirurgiche sono 238mila», spiega a L’Espresso il professor Francesco Stagno d’Alcontres, presidente della Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva-rigenerativa ed estetica (SICPRE): «Si interviene su testa e viso, in chirurgia palpebrale e blefaroplastica e per il miglioramento delle labbra. La rinoplastica è il terzo intervento più richiesto dai giovani».

Sono proprio i ragazzi e le ragazze i nuovi pazienti che si sottopongono a interventi di chirurgia estetica, quelli della Generazione Z (nati tra il 1995 e il 2010). Se un tempo le pazienti entravano nello studio medico con in mano le foto delle top model, oggi la richiesta si allinea allo spirito del tempo: per le ragazze il riferimento è spesso quella che gli americani chiamano “rich girl face” (faccia da ragazza ricca), ben promossa dalla famiglia Kardashian come Kim e Kyle Jenner, zigomi pronunciati e labbra gonfie. Ma spesso, come racconta il presidente del Sicpre, moltissimi giovani si presentano dal chirurgo con un selfie a cui hanno applicato filtri di bellezza. I filtri dei social diventano il modo in cui vediamo noi stessi o il modo in cui vogliamo vederci.

Una vera e propria ossessione per la perfezione che ci porta a vedere imperfezioni anche dove non ci sono e che, nelle situazioni più gravi, può portare a un disturbo: la dismorfofobia o dismorfismo corporeo, catalogato dal manuale DSM-5 tra i disturbi ossessivo-compulsivi. «Una patologia sempre più diffusa», conferma Stagno d’Alcontre: «Non ci si accontenta mai. Perciò è importante che lo specialista sappia dire di no e porre un freno. Ci sono ragazze che non hanno bisogno di aumentare il volume delle labbra a 24 anni e invece le vogliono ingrandire con acido ialuronico in maniera eccessiva, fino a raggiungere misure irragionevoli. L’eccesso è quello che preoccupa, soprattutto nelle giovanissime».

Il selfie è stato catalogato dall’Apa (Associazione Americana di Psichiatria) come nuovo disturbo mentale. L’Apa ha considerato la dipendenza da selfie come una conseguenza della dismorfofobia (paura di essere brutto o deforme): due terzi dei pazienti che soffrono di dismorfofobia coltivano regolarmente la pratica del selfie.

 

In Italia non abbiamo ancora ricerche specifiche sul tema ma possiamo guardare agli studi anglosassoni in materia: nel 2020, l’associazione inglese “Girlguiding” ha condotto un sondaggio proprio sull’uso dei “filtri di bellezza”, rilevando che il 34 per cento delle utenti intervistate tra gli 11 e i 21 anni non posta mai immagini di sé senza ricorrere a questi strumenti di alterazione artificiale. Mentre la rivista “MIT Technology Review” del Massachusetts Institute of Tecnology ha pubblicato uno studio sull’impatto dei filtri facciali su giovani e giovanissimi.

Claire Pescott, ricercatrice dell’Università del Galles, ha studiato il comportamento dei preadolescenti sui social media. Nei focus group, ha osservato una differenza di genere quando si tratta di filtri: i ragazzi li definiscono divertenti. Le ragazze li vedono come uno strumento per sentirsi più belle: «Dicevano tutte cose del tipo: “Ho messo questo filtro perché ho una pelle perfetta. Mi toglie cicatrici e macchie”. In realtà, si trattava di bambine di 10 e 11 anni. Alla domanda sulle caratteristiche perfette di un volto Instagram hanno risposto: naso piccolo, occhi grandi, pelle liscia, labbra carnose».

Come racconta Veronica, 19 anni: «Quando uso un filtro è perché ci sono cose di me che voglio cambiare. Se non mi sono truccata o penso di non essere al massimo, il “filtro bellezza” ti permette di correggere alcune parti di te». Veronica ha iniziato a usare i filtri per modificare le proprie foto quando aveva 14 anni. Le conseguenze sono serie. La funzione social non rischia di filtrare solo una foto, ma inghiotte la percezione della realtà, fino a farla perdere. Specie nella fase delicata della scoperta di sé.

«A partire dal mito, il narcisismo dovrebbe coltivare la nostra unicità. Oggi molti adolescenti sembrano coltivare la loro replicabilità, il conformarsi a una regola dell’immagine per essere accettati, che è comunque è un tema tipico dell’adolescenza», racconta a L’Espresso lo psicoanalista e psichiatra Vittorio Lingiardi, autore di “Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo” (Einaudi): «La credenza alla base dei selfie non è “mi vedo dunque sono”, ma “sarò visto dunque sono”. La tragedia dei selfie è di ritrarsi e ritoccarsi per riprodursi in migliaia di sé, da far rimbalzare sui social. Il bisogno di riconoscimento: per molti è proprio fame. Non di guardarsi, ma di essere guardati da migliaia di occhi. Dietro ogni fenomeno narcisistico c’è la speranza di essere notati, forse per essere amati. Dalla società, ma anche dalla famiglia. Molti adolescenti catturati dalle dinamiche narcisistiche portano sulle spalle il peso delle aspettative genitoriali. La tirannia narcisistica dell’essere notati ci costringe a comportarci come fossimo aquile. Per la paura di essere scambiati per passeri».

Esistiamo solo se sognati, diceva Danilo Dolci. La Generazione Z, tra selfie e video, chiede di meno: solo se filtrati.