Visitatori raddoppiati. Incassi record. E da marzo il prezzo del biglietto d’ingresso passerà da 20 a 25 euro. Parla l’uomo alla guida delle Gallerie. Che, tra testimonial e social, ha trasformato un baluardo di classicità in un luogo che piace ai più giovani

Quattro milioni di visitatori nel 2022, più del doppio dell’anno prima. E il record di sempre per gli incassi: quasi 35 milioni di euro, con un mese di gennaio a confermare il trend: 282 mila visitatori, il 110 in più dell’anno scorso, il 28 per cento in più persino dell’anno top, il 2019.

Le Gallerie degli Uffizi continuano a crescere. Grazie a nuovi allestimenti, restauri di opere, donazioni, acquisizioni, premi, mostre anche all’estero. Una sapiente programmazione che fa dialogare il contemporaneo col passato. E una comunicazione efficacissima. Che, puntando sui testimonial giusti e su una capillare presenza sui social network, fa gongolare di soddisfazione il direttore Eike Schmidt. Il vero artefice dell’incontro tra sacralità dei classici e cultura pop. «Ho solo tolto un po’ di polvere», dice lui: «per far risaltare ciò che conta davvero».

 

Lei è al vertice degli Uffizi dal 2015. Oggi è alla fine del secondo mandato. È contento di quello che ha fatto?
«Sono estremamente soddisfatto di quello che tutti insieme siamo riusciti a fare. Però non è tempo di fermarci, anzi con molti progetti siamo proprio in mezzo, e altri sono all’orizzonte. Certo, se guardiamo agli ultimi sette anni non si può che essere soddisfatti, ma non si dorme sugli allori».

Scelga qualcosa di cui va più fiero.
«Il fatto che adesso il museo sia pieno di bambini e di ragazzi. Ci sono studenti che si incontrano regolarmente qui, si danno appuntamento per un caffè e ammirano le opere. Siamo un luogo d’incontro per i giovani, prima non era così: gli Uffizi erano un posto per il turismo di massa e c’era pochissimo collegamento con i fiorentini e i toscani. Oggi la situazione è cambiata».

Grazie a che cosa?
«Delle programmazioni sui social. Delle lezioni del mercoledì. Del fatto che ora facciamo la maggior parte delle mostre di inverno, quando ci sono meno gruppi… Tutte queste cose fanno sì che le persone ritornino. I giovani preparano la visita e la approfondiscono dopo, e questo è bellissimo».

Lei da bambino andava ai musei?
«Credo che la passione per l’arte sia soprattutto merito di mia nonna, che è stata la prima persona a portarmi in un museo. Un museo americano, nel corso di un viaggio negli Stati Uniti con lei e poi in Germania, in Francia. Mia nonna è stata anche la prima a portarmi a Firenze, con mio fratello».

Quanti anni aveva?
«Dodici anni, credo. Ci ha portati al Museo di San Marco spiegandoci che Firenze e i Medici non si possono capire se non si inizia da lì. E io oggi penso esattamente la stessa cosa: se qualcuno mi chiede da dove cominciare una visita a Firenze non dico dagli Uffizi, non dico dal Giardino di Boboli, dico da San Marco. Da lì prende le mosse la storia del mecenatismo dei Medici».

Aveva competenze artistiche sua nonna?
«No. Solo una grande passione per il bello. Da giovane aveva anche vissuto in Toscana, precisamente a Fiesole».

L’operazione che ha compiuto agli Uffizi è chiara e lei auspica che favorisca crossover simili altrove: promuovere la bellezza in modo meno tradizionale. Lo ha fatto valorizzando sui social l’immagine di visitatori famosi, da Chiara Ferragni a Elon Musk. Stringendo accordi con Lucca Comics, mettendo in connessione opere del museo con l’arte contemporanea. Tutto merito suo? Da chi si fa affiancare?
«L’idea di fare ciò è mia, ma non sarei mai in grado di realizzare un video per TikTok. Per rispondere al gusto dei sedicenni di oggi sono necessarie altre competenze. Io guardo, approvo, contiamo anche su una sorta di informale gruppo beta fatto di figli, nipoti, stagisti, che valutano con noi, approvano o bocciano spietatamente. A volte andiamo a cercare gli artisti-testimonial del museo, altre volte è casuale. Di recente è arrivata Dua Lipa, che ha un forte ascendente sui ragazzi, e ha dimostrato anche enorme energia: è venuta dopo un concerto di 5 ore fino a notte e prima di un’altra esibizione, ma era attentissima alle opere: non è venuta solo per fare foto, ma per apprezzare i capolavori».

Con il video da un milione di like dedicato alla visita di Dua Lipa, le Gallerie sono diventate il primo museo d’Italia per follower e il terzo al mondo su TikTok. Ma sono misurabili gli effetti trainanti di questi personaggi sulle visite?
«Sono misurabili facilmente attraverso l’incremento dei biglietti nei giorni successivi. La visita di Chiara Ferragni nel fine settimana dopo è valsa il 27 per cento in più di giovani visitatori. Ci sono effetti anche a lungo termine, per esempio dopo l’arrivo di personaggi della moda più facilmente si vedono giovani vestiti come a una sfilata: inizialmente vengono per farsi una foto, poi rimangono incantati».

Da marzo il prezzo del biglietto d’ingresso passerà da 20 a 25 euro. Un aumento sostenuto dal ministro della Cultura Sangiuliano: «Se una cosa ha un suo valore storico, artistico e culturale, deve essere pagata», ha detto.
«Cultura e bellezza hanno un costo, sono d’accordo. L’idea principale che abbiamo introdotto agli Uffizi è la flessibilizzazione del prezzo del biglietto, non solo l’aumento. Il prezzo tiene conto della richiesta e della capacità di offerta. In alta stagione, nei fine settimana, è impossibile soddisfare tutta la richiesta, perché bisogna anche proteggere la qualità della visita, a parte questioni di sicurezza. Quindi è necessario usare il prezzo come strumento».

Regolatore?
«Motivazionale. Non è una barriera proibitiva, qualcuno può valutare di entrare prima delle 9, e pagare 6 euro in meno».

Qual è il numero massimo di accessi?
«Possiamo avere 900 visitatori contemporaneamente all’interno delle Gallerie. Con un’apertura alle 8,15 fino alle 18,30, significano 10 mila visitatori in un giorno pieno. Se venissero più persone tra le 8,30-9 potremmo arrivare a 11-12mila. D’estate, quando abbiamo a disposizione le ore serali di apertura, ci sono regolarmente 12-13mila visitatori. Io sarei favorevole ad aprire anche il lunedì pomeriggio e in alta stagione fino alle 9 di sera. Dopo quell’ora, ci sono solo io. E Vittorio Sgarbi».

A proposito del sottosegretario, sono ricominciate le polemiche sul contenere i direttori stranieri ai vertici dei musei. Le hanno fatto male le critiche, alla nomina?
«Le critiche in genere mi danno energia perché mi costringono a reagire e a migliorare. Ma in quel caso non valevano niente. Bisogna dire che non ci sono meno direttori italiani all’estero di quanti siano gli stranieri qui. Per anni l’università italiana ha separato la storia dell’arte dal management, ma questa è una visione superata. E se nella generazione tra i 35 e i 40 anni forse è ancora raro che le due conoscenze si sommino, in futuro il problema non si porrà più. Il vero tema resta la fuga dei cervelli: come riavere gli italiani di successo all’estero e metterli in posti chiave in Italia».

Si augura di restare direttore?
«È presto anche per pensarci. Certo, quando Sgarbi ha proposto di introdurre una limitazione ai due mandati, alcuni mi hanno telefonato per sentire se fossi disponibile ad andare altrove. A tutti ho detto che è troppo presto».

Si parla tanto di Nft: chimera, bolla già finita? O investimento su cui scommettere?
«Mi appassiona la sperimentazione con le nuove tecnologie. Ma la bolla degli Nft come li abbiamo visti finora è passata. Non è escluso che dopo l’inverno crittografico ci sia una nuova primavera: ma sarà di sicuro molto diversa dalla precedente».

E dell’intelligenza artificiale applicata all’arte, al di là delle enormi implicazioni legali, cosa pensa?
«Che ciò che la tecnologia offre sia ancora insufficiente. Mentre la generazione linguistica di testi è un vero progresso, la generazione visiva o l’ibridizzazione di opere è totalmente priva di senso di composizione, di equilibrio: non ci siamo. E sono convinto che non farà concorrenza ai nostri musei: la gente vorrà vedere sempre i capolavori fisici, come dimostra il fatto che le opere più presenti nella sfera digitale siano anche quelle più cercate dal vivo».

Nel 2019 lanciò una formidabile campagna per restituire a Firenze “Il vaso dei fiori” di Jan Van Huysum, rubato dai nazisti. Cosa le piacerebbe riportare a casa?
«Ci sono due opere di grande importanza che mancano all’appello. Una è una testa di fauno attribuita a Michelangelo, l’altra è una Madonna di Pierino da Vinci, opere rubate dal Castello di Poppi e di cui si sono perse le tracce. Ogni tanto nei decenni qualche ipotesi è venuta fuori, poi la speranza è sfumata. In questo momento non possiamo dire di avere una traccia calda per trovarle. Ma la speranza resta e c’è l’impegno e la collaborazione con un’eccellenza di cui l’Italia deve veramente essere gelosa: il Comando per la tutela del patrimonio dei Carabinieri, con il quale c’è una collaborazione quotidiana».

Non può dirci di più per non inquinare le indagini?
«Questa è una cosa che non bisogna fare mai».