È una delle spezie più care e amate al mondo è usata soprattutto per i dolci. Ma non solo

Un intreccio di storia e leggenda ammanta l’arrivo in Europa della preziosa vaniglia. Si narra che l’imperatore azteco Montezuma offrì a Cortés, a capo dei conquistadores spagnoli, la bevanda locale a base di cacao, addolcita con miele e dal sontuoso profumo. La ricetta del “cibo degli Dei”, gelosamente custodita dai mexicas per secoli, fu depredata dagli spagnoli i quali, individuato l’aroma segreto, presero ad importare la vaniglia in patria suscitando gli entusiasmi della nobiltà cinquecentesca del Vecchio Mondo che cominciò ad usarla per aromatizzare drink esotici.

 

La spezia si ricava attraverso un complicato processo di fermentazione e lavorazione dalle capsule nere della vanilla planifolia, l’unica orchidacea fra più di 2000 a dare frutti commestibili, maestosa pianta rampicante dai fiori verde-giallastro e dai frutti (le famose stecche) lunghi e stretti contenenti vanillina, la sostanza aromatizzante.

 

Originaria del Messico, l’unico territorio in cui è presente il suo insetto impollinatore, ancora oggi la coltivazione in molte regioni tropicali umide è possibile solo grazie all’impollinazione manuale. Tre sono le tipologie di vaniglia più diffuse: la Bourbon, considerata la migliore, anche in virtù del tasso di vanillina più alto in natura (il Madagascar ne è fra i maggiori produttori mondiali e Presidio Slow Food è la specie coltivata nella lussureggiante Riserva della Biosfera Mananara Nord); la Tahiti, coltivata per lo più a Papua Nuova Guinea e di produzione limitata (pertanto molto costosa) e la Pompona, originaria del Centro America.

 

Seconda spezia più cara al mondo per i costi di lavorazione (3 kg di vaniglia dopo l’essicazione si riducono a circa 1 kg) da millenni è usata nelle preparazioni dolciarie, per profumare lo zucchero, esaltare il cioccolato o enfatizzare il gusto di creme e gelati; nella cucina tradizionale orientale e africana è molto comune per insaporire piatti a base di pollame, gamberi e vegetali. In occidente, l’uso in piatti salati fu vincente nel connubio con il latte; ricette risalenti al ‘700 (quando le ghiacciaie erano una rarità) prevedono la cottura di arrosti di maiale o pesci non più freschissimi nel latte vanigliato: la spezia aveva il potere di calmierare il gusto pungente delle carni troppo fermentate e del pesce un po’ passato. Oggi viene apprezzata perfino nella mantecatura di risotti ai formaggi o ai crostacei e i più audaci azzarderanno un tocco di vaniglia anche (udite, udite!) sullo spaghetto al pomodoro. Apoteosi del connubio dolce/salato, è il fior di sale all’aroma di vaniglia: perfetto sulle carni di suino, sul pesce bianco e sui frutti di mare, smorza delicatamente l’amarognolo di alcuni vegetali come broccoli o asparagi.

 

DOLCE
I dolcificanti naturali. Per chi avesse problemi - salutistici o ideologici - con lo zucchero classico (barbabietola o canna) ci sono alternative naturali buone e in alcuni casi buonissime. Parliamo dello sfaccettato universo dei mieli, degli zuccheri alternativi (d’uva, di cocco), passando per gli sciroppi (d’agave, di acero).

 

E AMARO
Le stecche di vaniglia. Ovviamente quando si utilizzano a scopo ornamentale. Alla fine non sono altro che un rametto e se le abbiamo svuotate molto meglio ridare loro vita utilizzandole per continuare una leggera aromatizzazione a scatole di biscotti, zuccheri o liquori casalinghi. Così anche il costo si ammortizza.