Alla francese o all’inglese, spagnola o russa, lo scrigno di pasta ripieno è un classico. Che lega i banchetti rinascimentali al più rustico picnic

Immancabili nel cestino di vimini per un déjeuner sur l’herbe baciato dal sole estivo, magari declinate in monoporzioni o finger food, le torte salate mettono d’accordo i gusti di tutti. Tradizionalmente assimilate alla cucina di sussistenza, spesso elaborata per recuperare verdure altrimenti troppo amare o pezzi poco nobili di carne, il loro riscatto inizia quando diventano protagoniste degli scenografici banchetti dell’aristocrazia rinascimentale.

 

Dai ricettari dell’epoca s’intuisce che l’appagamento dei commensali era legato più alla vista che al palato: il ripieno, l’unica parte a finire nel piatto, sottostava alle elaborate architetture della pasta, spessa e immangiabile, che ricreava veri e propri scrigni dello “stupore” prodighi delle più incredibili sorprese, come uccelli che si libravano in volo al taglio della prima fetta. Grazie all’avvento degli stampi fu possibile tirare sfoglie sempre più sottili e gustose che, con la contestuale rimonta della dignità del ripieno, permisero a queste preparazioni di mutare destinazione d’uso mantenendo nel tempo il loro successo. Le diverse latitudini, poi, dettarono gli ingredienti del guscio e della farcitura, componendo una variegata “geografia delle torte rustiche”.

 

La più famosa è forse la quiche lorraine. Perfino il pluristellato chef Alain Ducasse ha omaggiato quest’icona della cucina francese con una rivisitazione fedele alla ricetta originale; si prepara con una base di pasta brisé riempita con crème fraîche, pancetta e un composto di uova e panna. Alla tradizione anglofona appartiene la shepherd’s pie, un pasticcio di carne d’agnello coperto da un ricco purè di patate che include piselli, carote e cipolle; in Galizia nasce la empanada gallega, simile a una focaccia, il cui ripieno classico è a base di tonno, verdure e un pizzico di paprika; la russa kulebjaka, tanto popolare che Auguste Escoffier, celebre chef francese, incluse la ricetta nella sua “Guida alla grande cucina”, è un’elaborata torta di sfoglia farcita in genere con pesce, uova sode, riso o grano saraceno, funghi, cipolle. Molte le varianti, di carne o vegetariane, perfino “elitarie” quando oltre allo storione viene unito il rarissimo vesiga (il midollo dello stesso pesce). In Italia la ricchissima varietà di ricette esprime l’incrocio di tradizioni, prodotti e ricette regionali che percorrono il paese in tutte le direzioni: dalla tiella di Gaeta fino alla torta pasqualina ligure passando per il casatiello napoletano e la torta al testo umbra, solo per citarne qualcuna. Un classico della schiscetta è l’erbazzone: la pasta è preparata con farina e strutto, il ripieno di coste o spinaci arricchito con lardo, cipollotti e Parmigiano, vero tripudio di sapori.

 

 

DOLCE
Il rito della vinaigrette sul cucchiaio. Vecchi ricordi di un servizio che prevedeva l’elaborazione espressa del condimento di insalate davanti all’ospite. Un cucchiaio nel quale inserire un pizzico di sale, una punta di aceto, la forchetta per emulsionare, una punta di senape, olio evo a filo et voilà. Gesto, suono e gusto.

 

E AMARO
I menù col QR Code. Un segnale per lasciarci alle spalle un periodo piuttosto oscuro in cui orari grotteschi, maschere, dispenser XXL et similia la facevano da padrone sarebbe anche quello di abolire le liste da vedere sul telefonino. Meglio tornare alla carta vecchio stile. Sana quanto basta.