Chissà a quanti di voi sarà successo: restare bloccati in aeroporto per un volo cancellato. E magari rimanere lì per ore con gli altri “compagni di viaggio” senza riuscire a partire, senza poter rientrare a casa né tornare indietro, sospesi in un viaggio un po’ surreale che può condurre nei luoghi più inaspettati, nascosti nella nostra memoria o fantasia. E se tra questi passeggeri ci fosse anche Ulisse? L’eroe omerico bloccato in aeroporto, pensateci. Impaziente di tornare nella sua adorata Itaca, perde la strada di casa e ripercorre con l’immaginazione le sue mille avventure, i suoi incontri con le Sirene, la maga Circe, Calipso e Polifemo... Proprio in una sala d'attesa dell’aeroporto, Giuliano Peparini (regista, coreografo, ballerino, direttore artistico del talent show “Amici” di Maria De Filippi) sceglie di ambientare la sua Odissea, abitata da un centinaio di performer che danzano con le loro valigie alternandosi a racconti, acrobazie, coreografie che sono quadri viventi con la musica del gruppo canadese di ispirazione folk-rock Reuben and the Dark sullo sfondo. È “Ulisse, l’ultima Odissea”, la nuova produzione della Fondazione Inda che chiude la stagione delle rappresentazioni classiche di quest’anno al Teatro Greco di Siracusa (fino al 2 luglio), prima di spostarsi a Pompei (Pompeii Theatrum Mundi, Teatro Grande, 15 e 16 luglio), Ostia antica (Teatro Romano, 5 e 6 agosto) e Milano (Teatro Arcimboldi, 26 novembre). Uno spettacolo decisamente contemporaneo, che parla dell’uomo moderno, del suo disorientamento, di un esule che chiede accoglienza, come i tanti migranti che attraversano i nostri mari, in cerca di una casa, di un approdo che possa dare loro una speranza di vita, una possibilità per un futuro da costruire.
«Ho pensato a un aeroporto perché non volevo uno spazio troppo legato alla storia, ma un luogo che parlasse anche di noi», racconta Peparini: «Anche a me è capitato di restare bloccato in aeroporto senza poter far nulla e ricordo che mi è sembrato, appunto, di vivere un’odissea. Volevo creare qualcosa di diverso, rispettando però il testo originale». Il libretto dell’opera è del grecista Francesco Morosi. Il suo racconto termina con Ulisse che intravede un approdo in lontananza, mentre ascolta un canto dall’altoparlante.
Lì finisce il suo viaggio. Non c’è il ritorno a Itaca, non ci sono Telemaco, né Penelope. C’è solo l'aeroporto che è un po’ come la corte dei Feaci, una sosta momentanea in cui però può accadere di tutto, perfino di prolungare la notte perché il racconto non finisca mai. «Il Ciclope crudele, le Sirene che ammaliano, la maga Circe, il cavallo di Troia, la discesa nell’Ade, i Lotofagi, Scilla e Cariddi, il Sole Iperione: sono storie e personaggi che appassionano chiunque li incontri», sottolinea il regista: «Il piacere del racconto è uno dei pilastri dell’Odissea, un poema che ha creato l’immaginario di un’intera civiltà».
In teatro Ulisse lo abbiamo visto in mezzo agli stranieri, tra i richiedenti asilo dell’Emilia Romagna (“Un’Odissea in Valsamoggia” del Teatro delle Ariette), o ridotto a calzolaio viandante (“Nel tempo degli Dei - Il calzolaio di Ulisse” di Marco Paolini e Francesco Niccolini con la regia di Gabriele Vacis), oppure in spiaggia tra gli ombrelloni come nel nuovissimo “LidOdissea” della compagnia Berardi-Casolari (prima nazionale il 29 luglio all’OperaEstate Festival di Bassano del Grappa). Qui Ulisse è un clochard che intrattiene i cento viaggiatori con i suoi racconti ed è pur sempre uno straniero che cerca un riparo, come gli immigrati di oggi. Ecco perché questa Odissea parla di noi, del nostro Mediterraneo, della nostra storia.
«I viaggiatori in scena sono smarriti, impotenti di fronte a ciò che accade, come noi spettatori bombardati dalle informazioni che ci arrivano ogni giorno ma incapaci di fare altro, come singoli individui, di fronte alle tragedie del mare» prosegue Peparini. Ma bisogna essere accoglienti, questo ci dice Omero. D’altra parte per gli antichi Greci l’ospitalità era sacra, si temeva che dietro le sembianze umane potesse celarsi una divinità. Ma mostrarsi ospitali era anche un gesto di solidarietà. «Tutti accolgono Ulisse, tranne Polifemo. Ciò che può fare il ciclope per aiutarlo è mangiarlo per ultimo. Quindi chi non accoglie è un mostro». D’altra parte l’Odissea può essere considerato proprio il poema dell’ospitalità, basti pensare anche solo alle parole pronunciate da Nausicaa: “Ma costui è un infelice, qui arrivato ramingo, che ora ha bisogno di cure: mendicanti e stranieri sono mandati da Zeus. Il dono sia piccolo e caro”.
«Quando ero ragazzo non amavo particolarmente l'Odissea, ecco perché vorrei parlare soprattutto ai giovani», prosegue Peparini: «Dalla mia esperienza televisiva ho imparato a dialogare con loro, a conoscerli meglio». E i giovani sono anche in scena, sono gli allievi dell’Accademia d’Arte del dramma antico di Siracusa, che danzano, recitano, danno vita a questo racconto avventuroso con Giuseppe Sartori (nei panni di Odisseo), che torna in Sicilia dopo il successo delle ultime stagioni nel ruolo di Oreste e di Edipo, e tanti altri attori fra cui Massimo Cimaglia (Polifemo), Giulia Fiume (Calipso), Giovanna Di Rauso (Circe) e gli acrobati del Cirque du Soleil. I ragazzi, tra l’altro, saranno al centro anche dei prossimi progetti di Giuliano Peparini, che in autunno darà il via, a Roma, a un’Accademia aperta ai nostri talenti artistici. «Sarà un progetto ambizioso - ci anticipa – con corsi dedicati a varie discipline, dalla danza alla regia, per dare la possibilità ai ragazzi di scegliere la materia per la quale sono più portati. Intanto, mi godo questo momento: andare in scena al Teatro Greco di Siracusa è un sogno».