“Anora” mischia favola, azione e critica sociale. Solo un regista di polso come Baker poteva vincere la sfida. Con la complicità di un cast d’eccezione

Metti Cenerentola a Coney Island, tra luna park e lungomare rutilanti di tristezza. Dalle un lavoro realistico e fiabesco, le fiabe sono sempre crudeli, così questa Cenerentola si spoglia e si struscia ai clienti. Per finire trova un principe azzurro contemporaneo. Un ragazzino russo che è la vitalità, l’immaturità, l’irresponsabilità in persona, ed è figlio di un oligarca. Un fantamultimiliardario che sembra un elfo ma vive in una nuvola di onnipotenza, fa sesso come un coniglio, beve, fuma, fa le capriole, gioca ai videogame, offre crack alla domestica, insomma ha tutti i vizi possibili ed è pronto a pagare qualsiasi cifra per qualsiasi cosa. Dunque si incapriccia, a modo suo, di quella escort di origini uzbeke che mastica anche un po’ di russo, Anora. E la porta a vivere nella sua fantamegavilla affacciata sulla baia.

 

Palma d’oro a Cannes, il film di Sean Baker parte così, con la folle storia di Vanya e Anora, per poi galoppare su un copione forse rodato ma nutrito di una dose di divertimento, intelligenza, sottotesti, che catapulta Baker nel club oggi assai ristretto dei registi capaci di divertire, emozionare e far pensare. Questione di casting, certo, Mikey Madison e Mark Ejdel’štejn, la tostissima Anora e lo scellerato Vanya, sono fantastici anche se l’asso nella manica è Jurij Borisov cioè Igor, una delle guardie del corpo di Vanya, che entra in scena molto in sordina nella seconda parte del film (qualcuno lo ricorderà nel magnifico “Scompartimento n. 6”, del finlandese Juho Kuosmanen). Di casting ma anche di rapporto col mondo perché Baker, sulla scia del miglior cinema indipendente, sa sempre di cosa parla (la sceneggiatura deve molto al memoir di una vera sex worker). E malgrado gli accenti fiabeschi, specie sul lato russo, non smette di ricordarci che il denaro è tutto, l’amore confina col potere e il potere, oggi più che mai, allontana ogni giorno di più chi sta sopra da chi sta sotto.

 

Magari non bisogna enfatizzare il lato sociale, “Anora” resta una commedia d’azione scatenata come le sapeva fare solo Jonathan Demme, ricca di scene e figure memorabili per inventiva, sentimento, capacità di incarnare la nostra epoca. Anche quando corpi e volti dicono il contrario delle parole, pensiamo al bellissimo sottofinale nella villa di Vanya. Amoralità e salti temporali a parte, qua e là si pensa anche a “Pulp Fiction” (Palma d’oro 1994, guardacaso). Un “Pulp Fiction” aggiornato all’era degli smartphone e del MeToo, se riuscite a immaginarlo. Costato per giunta solo 6 milioni di dollari.