Relazioni incrociate, ibride, fatte di sesso e amicizia, senza inizi né finali. Intimorito dalla stabilità di coppia, l’eros imbocca strade alternative. E chiede parole diverse. Indagine d’autore

Parlaci d’amore, Mariù. Ricordaci come si fa. E non tirar fuori le solite meraviglie di Romeo e Giulietta, o il Cantico dei cantici, e le canzoni di Brel e Aznavour.

 

Pasolini lo ha chiesto in “Comizi d’amore” - il documentario del ’65 - agli italiani in giro per il Paese: cos’è per te l’amore? Tra colpi di tosse, mugugni e risatine, il quadro emerso era vario e sfaccettato, dal conformismo alla paura, al moralismo (beh, era in auge il delitto d’onore, e il divorzio ancora lontano). Ma un dato certo, inconfutabile, c’era: la parola amore sino a ieri evocava, con placido e angusto automatismo, soltanto l’amore di coppia.

 

Se vedi alla voce amore, oggi c’è spazio per molto di più: amore amicale e amore del pianeta, per il mare e per gli animali, amore come energia, flusso vitale e circolare, espanso. Poliamore. La grande filosofa Maria Zambrano lo dice con la sua innocente chiarezza: è l’eros, principio femminile, che tiene in orbita la terra e la nostra essenza.

 

L’amore è scoppiato, dunque. Nel senso che è uscito dalla coppia, come rivela nei profili delle dating app la frequentissima dicitura “ethical non-monogamy”, riferita a una relazione poliamorosa basata su “correttezza e trasparenza”. Un bisogno d’amore intimorito dalla coppia stabile, che spesso si riversa e esprime in altre narrazioni, più fluide e meno responsabilizzanti.

 

D’altro canto non siamo noi stessi narrazione, scrittura della nostra vita? E non sperimentiamo nuove modalità di racconto anche nella forma-romanzo, allargando i punti di vista, dilatando spazi e contaminando i piani di scrittura, tra visione e azione? Destrutturiamo la forma, nel romanzo come nelle nostre biografie, perché è caduto il senso lineare e progressivo degli eventi, e la dimensione analogica e monocentrica è stata soppiantata da quella simultanea, policentrica e digressiva.

 

Storie parallele, storie interrotte, storie via chat (e chi l’ha detto che le parole non producono realtà? Il virtuale ha perso da tempo ogni virtualità, è una delle varie, incessanti forme di produzione di realtà e di fatti). Storie incrociate e ibride, fatte di sesso e amicizia, condivise e senza dualità, spalmate e riprese nel tempo, senza inizi rituali né finali netti, aperte e smarginate, porose. Le parole per dirlo sono tante e sempre inadeguate. Amore esclusivo devoto ossessivo, fedele sacrificale aperto, intermittente ondivago, rivelato tradito o sconfessato - sembra la lingua della fede. Amore diffuso policentrico ricostruito, e ancora franato sospeso destrutturato, o inquinato e polverizzato, periferico e ghettizzato - e sembra lessico di urbanisti.

 

La scrittrice Nadia Terranova

 

Tanti modi per dirlo quanti quelli per sognarlo, viverlo, chiuderlo e continuare a cercarlo, perché a dispetto di tutto, dell’aumento dei divorzi (epilogo nel 48 per cento dei matrimoni, dati Istat) e del chiassoso egocentrismo social, cerchiamo e aspettiamo e misuriamo l’amore, quello che resta e quello che manca, precario o definitivo, avventuroso o solido, braccandolo nel buio delle chat o nei vicoli delle app, maledicendo ed esultando come gli amanti folli e sospirosi (loro però tra mercati e portoni) della mitica canzone “Oh que sera” di Chico Buarque. Nei giorni del disincanto - questi - ci manca l’amore, e goffamente mascheriamo il vuoto con l’esercizio del pensiero cinico. Diversifichiamo il nostro bisogno e le risposte, ma cerchiamo amore, tenerezza, garbo, sostegno, quiete e pienezza. Equilibrio, passione, desiderio.

 

«Gli amanti si perdono, ma l’amore resta», diceva Dylan Thomas. E non basta più la coppia a contenerlo ed esprimerlo. Amore e relazione non sono la stessa cosa, e l’una non è lo specchio dell’altro, come ripetono psicoterapeuti e i manuali self help in crescita sugli scaffali, perché può esserci amore dentro un rapporto mal funzionante, come un rapporto armonico senza amore.

 

In Italia ci sono in media 267 richieste di separazioni al giorno (indagine Moneyfarm- Smileeconomy). Dunque ogni cinque minuti si scioglie una coppia, come le estrazioni-lotto in diretta. (C’è comunque di peggio. Ogni cinque minuti vengono tagliati 10.200 alberi della foresta pluviale, 1.500.000 animali vengono uccisi per diventare cibo e 60.000 kg di plastica finiscono nell’oceano).

 

Se la coppia e la famiglia appaiono, sempre più, strutture inadeguate a fronteggiare l’amore, troppo fragili e chiuse di fronte agli stimoli e accelerazioni che ci invitano a sperimentare nuove forme di noi, e a rinnovare il desiderio, invece la domanda d’amore resta viva in ogni fascia d’età, dall’adolescenza alla tarda maturità, laddove ha il suono del risarcimento o della libertà - e ne è una prova l’aumento delle separazioni dopo i sessant’anni, triplicate nell’ultimo decennio (dati Istat).

 

Amore che vieni, amore che vai - cantava quel grande esegeta dell’amore, Fabrizio de Andrè. E infieriva a dirne la caducità assoluta, metamorfica: Io t’ho amato sempre, non ti ho amato mai. Ma la grande novità in Italia, in realtà, era stata “Tema”, la singolare canzone de I Giganti, che si sporgevano sulla crisi - atterriti dalla nuova libertà delle donne - già un anno prima del Sessantotto.

 

La scrittrice Igiaba Scego

 

Cosa pensi dell’amor?, chiedeva il primo. E giù gli altri a cantare, spersi e nostalgici, languorosi. Ho girato la stessa domanda (però senza musica, purtroppo) ad alcune scrittrici e scrittori.

 

Nadia Terranova, ad esempio non ha dubbi: «Per me l’amore è una fragilità forte. È sentirsi nude ma non scoperte: un lusso, una libertà, un dono inaspettato, una conquista. Se ti amo non ti tradisco, non ti inganno, non ti abbandono: è la parola esaustiva per eccellenza, non ha bisogno di altre parole accanto. Ed è questo che di lei può fare paura».

 

Sandra Petrignani invece distingue: «Se penso all’Amore con la A maiuscola, lo definisco come generosità, comprensione, altruismo. Se invece parliamo di amore romantico, allora temo sia tutto il contrario. Perché quando ci si innamora si diventa egoisti, possessivi, gelosi, esclusivisti, Ma naturalmente questo è molto eccitante».

 

Una follia con una logica stringente e irrefutabile, paradossale ma necessaria, è ciò che vede Anna Giurickovic Dato: «L’amore è recita dell’inconscio, proiezione dell’infondato, coazione a ripetere sempre lo stesso infortunio, aspirazione al reale sotto l’egida del presunto, zelo del folle, criterio del demente, il motivetto che intona chi non conosce le parole, ombra del vero, candore dell’equivoco, vento che rade al suolo, urto, furia, eppure unico terreno su cui può nascere un fiore».

 

La scrittrice Sandra Petrigna

 

Con il suo talento della prassi, lo teorizzava Natalia Ginzburg nelle “Piccole virtù”: l’amore è l’incontro, occasionale e fatale, di due universi non comunicanti tra i quali può sollevarsi un ponte. Ma anche il ponte con la “persona giusta”, dice in sostanza, non finisci mai di rifinirlo e rabberciarlo, sapendo che ciò che distingue è più di ciò che accomuna, e c’è amore anche dentro le abitudini.

 

Amore dunque come rifugio, negoziazione, patto? Non è d’accordo lo scrittore magistrato Eduardo Savarese, che descrive l’amore come un universo organico e sacro: «L’amore mi circola nel sangue come una proteina, mi scorre dentro nell’atto di respirare, controlla le mie percezioni dal cervello alla coscienza. Incarnato in me, paradossalmente spreca ingenti risorse per vite che non sono la mia. Lancio di baci nel vuoto, che esige la fede sorprendente dei piccoli».

 

Parlare d’amore, anche nel caos dell’egosistema, del narcisismo c(l)inico di cui siamo affetti, ha questo di bello: ci fa sentire meglio, migliori. Perché l’amore, anche per essere negato o vilipeso, chiede una lingua altra, di poesia o disperazione, oltre il contingente. È stato Roland Barthes, grandissimo esploratore della topografia d’amore, fra segni e sogni, a dirlo per primo, e per di più negli anni ’70 quando il tema era visto dagli intellettuali con derisione e supponenza, e relegato negli spazi rosa di riviste femminili, canzoni e chiacchiericcio. L’amore è una lingua, col suo vocabolario e la sua sintassi, dalle prime epistole alla chat. Con la sua retorica e le sue lusinghe, i suoi eccessi e la reticenza.

 

«Il linguaggio è una pelle io sfrego il mio linguaggio contro l’altro. È come se avessi le parole a mo’ di dita, o delle dita sulla punta delle mie parole. Il mio linguaggio freme di desiderio», scrive Barthes. E forse la colpa è dei poeti se l’idea dell’amore romantico ha fatto tanti proseliti e seminato, nei secoli, tanto danno fra le donne, inducendole a una visione fantastica e infantile del rapporto di coppia, entro cui in nome dell’amore esclusivo e passionale persino gelosia, controllo e possesso sono accolti come prove di amore. Problema emergente fra le giovanissime, sempre più succubi di questa visione, denuncia l’Osservatorio Nazionale Adolescenza (AdoleScienza.it).

 

La scrittrice Ilaria Gaspari

 

A dar retta ai poeti, da che esiste la letteratura, l’amore è un’estasi di cui si può solo godere - commenta Rosario Castelli, docente di Letteratura italiana nel Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania - senza illudersi di penetrarne la ragione, “perché appressando sé al suo desire”, diceva Dante, “nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non può ire”. E questo perché, da che mondo è mondo, l’unica cosa che sappiamo è il nostro non saperne niente, ostinandoci nel commovente e disperato tentativo di capirne qualcosa, fino a romperci la testa». Ci hanno provato a spiegarlo, dal primo tramonto esploso in cielo, anche i filosofi. Ce lo ricorda Ilaria Gaspari, filosofa e scrittrice: «Spinoza definisce l’amore una gioia, in concomitanza con l’idea di una causa esterna. Qui si concilia bene lo slancio, cioè il passaggio a un’intensità più forte dell’esistere, con il suo innesco. Perché amiamo solo quando vediamo la persona amata nella sua interezza”. Ma amore quale, e dove, quando?

 

La scrittrice marocchina Fatema Mernissi racconta in un suo libro le “51 parole dell’amore”, dall’Islam del medioevo al digitale, e lo ricorda Igiaba Scego: «La parola tradizionale dell’amore è Hubb, ma la lingua araba contempla tantissimi termini per evocare l’amore, quello di coppia e quello fraterno, tenero o feroce, di cura o passionale, sensuale o spirituale. Per l’umanità o la poesia. È sempre e comunque amore, non inferiore a quello di coppia, perché posso amare un albero come un popolo, una lingua o una civiltà, un cane e un gatto, ed è sempre amore, un sentimento universale e plurale, molto più esteso e vario e rigenerante rispetto all’unico modello di amore trasmesso e celebrato».