L’anticipazione
Senza la verità sul caso Moro rimane la finzione
Sulla vicenda permangono aspetti oscuri che il potere non ha alcuna voglia di approfondire. E invece l’"affaire" ha ispirato a Marco Bellocchio capolavori del cinema e delle serie tv
Anticipiamo un brano del libro di Stefania Limiti, “Quel che resta del caso Moro”, Interlinea, 160 pagine, 14 euro, in uscita in questi giorni
Dopo quasi cinquant’anni, il terzo millennio già avviato, la nostra storia collettiva sembra aver archiviato l’uccisione di Aldo Moro senza averla conosciuta fino in fondo. Continuiamo a pensare a quei giorni attraverso una trama cinematografica che soddisfa la nostra immaginazione ma non la storia.
Lo sguardo inquieto di Gian Maria Volonté; gli occhi stanchi di Roberto Herlitzka; l’espressione dolente di Fabrizio Gifuni: il ricordo di Aldo Moro vive nella rappresentazione intensa e struggente dei tre attori. Così intensa che il loro volto, di ciascuno di loro, si confonde con quello dell’uomo che venne ucciso dalle Brigate rosse nel maggio del 1978. Quelle maschere restano forse l’eredità emotivamente più coinvolgente di un caso che ha minato le fondamenta della Repubblica – senza che di questo si sia mai davvero preso atto. La classe dirigente ha preferito di gran lunga dimenticare: in fin dei conti non ci si poteva aspettare altro dopo l’atto di negazione con cui i suoi colleghi, e molti assieme a loro, avevano detto ad Aldo Moro: «Non sei più tu». Gli fecero sapere di non riconoscere lui nelle sue parole scritte, respingendolo così dentro la stanza di una delle sue prigioni, sempre più lontana, irraggiungibile. Un atto politico definitivo giunto prima che venisse decisa la fine dell’ostaggio, capitolo zeppo di dubbi più che di certezze.
Non è strano dunque che la generalità dei pensieri, il sentire comune di quell’evento, siano oggi legati ai volti di tre attori più che a sintesi razionali delle diverse fonti conoscitive. Il delitto Moro è diventato una trama letteraria più che una storia fatta di uomini e donne in carne e ossa – la storia è fatta di carne umana, diceva Marc Bloch, il più grande storico del Novecento. O una trama cinematografica, un insieme di sequenze fissate nella sfera pubblica, coinvolgenti, emozionanti, ma non perciò meno immobili.
Nel 2022 è arrivato un eccezionale documento artistico a riproporre al Paese la storia del delitto Moro. “Esterno notte” è un film seducente di un maestro del cinema, Marco Bellocchio, che aveva già maneggiato il caso Moro (“Buongiorno, notte”, 2003) volendo qui parlare di sé e del suo tempo, piuttosto che di Moro. Scelse allora di ragionare con gli occhi di Freud, secondo cui la letteratura e l’arte possono servire, attraverso le emozioni che suscitano, «ad affrancare l’anima sofferente dalla pressione del senso di colpa», come sembra alludere il finale controfattuale di “Buongiorno, notte” (Moro si libera). Anche se nelle sue corde non c’è l’opera pop di un Sorrentino che ha raccontato grottescamente il potere (“Il Divo”), il regista piacentino è tornato a riflettere su quegli eventi con la sua opera cinematografica e televisiva, potente per la straordinaria capacità evocativa, con uno sguardo diverso: meno intimista, anche se penetrante, attento all’insieme dei protagonisti e al significato politico. Riproponendo il caso Moro anche con una sequenza di eventi in parte già esclusi dal cerchio dei fatti reali, un peccato veniale per un maestro del cinema. Nondimeno, esso rimanda a qualcosa di più grave: la vittoria di un potere che non ha voluto raccontare il caso Moro. A noi le emozioni, a loro la verità. Troppo poco per una storia che ha ridefinito il tempo nel quale viviamo.