Anne Carson e Jon Fosse. Bernard-Henri Lévy e Michael Cunningham. La manifestazione celebra i suoi 25 anni con decine di appuntamenti. In nome del dialogo fra arti, scienze, sport, cultura

La rosa dipinta dal maestro Franco Battiato “arrossisce con grazia” nella rielaborazione che il grafico e architetto Franco Achilli ne fa, anche quest’anno, per il venticinquesimo anniversario di La Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi.

 

Rispecchia così, nel suo accennato rossore, il tema della timidezza e dei suoi contrari, scelto per un’edizione speciale della rassegna che promuove il dialogo fra le arti, le scienze, lo sport e la cultura tutta. Già dalla prima edizione la rosa - che diventa protagonista di una delle nove mostre della rassegna, a Livigno dal 28 luglio - ne è sempre stata il simbolo, un «contenitore eclettico, composto da diverse parti, petali, spine, foglie e stelo, ma molto preciso», scrive Achilli sui suoi social. Proprio come La Milanesiana che in sé racchiude letteratura, musica e cinema, ma anche teatro, filosofia, diritto, economia.

 

Inaugurata lo scorso 20 maggio a Milano, la venticinquesima edizione, che conta oltre duecento ospiti nazionali e internazionali, si è aperta con Anne Carson e la sua “Autobiografia del rosso” e ha già raggiunto e oltrepassato la metà dei suoi oltre settanta eventi, in ventisei luoghi differenti, fra città (solo una non italiana, St. Moritz in Svizzera) e borghi della Penisola. Nel lungo viaggio che si concluderà il 9 agosto, La Milanesiana ha fatto della scoperta della bellezza diffusa uno degli obiettivi principali della sua natura itinerante, insieme all’idea di voler rivolgere lo sguardo sempre oltre, verso le connessioni che genera il dialogo fra diverse discipline.

 

«Il venticinquesimo anniversario è importante per noi, per la manifestazione, ma poi ogni edizione è come se fosse la prima», afferma l’ideatrice e direttrice Elisabetta Sgarbi. «Ci deve essere la stessa passione e lo stesso senso di meraviglia e la stessa voglia di scoprire le cose». Dopo aver attraversato la prima metà della rassegna «il bilancio è molto positivo e il pubblico sempre molto numeroso e molto attento.

 

Ci sono stati incontri con i grandi nomi della letteratura, come Anne Carson e il Premio Nobel Jon Fosse e un incontro-dialogo, forse irripetibile, tra due maestri del cinema come Edgar Reitz (di cui La nave di Teseo ha di recente pubblicato l’autobiografia “Il tempo del cinema, il tempo della vita”, ndr) e Aleksander Sokurov”. La Milanesiana ha inoltre reso “un grande omaggio a Enrico Ghezzi, inventore di Blob, ma in qualità di artista”, con la proiezione de “Gli ultimi giorni dell’umanità”, il film di oltre tre ore di Ghezzi e Alessandro Gagliardo».

 

Il programma, che prevede circa due eventi al giorno, riserva come ogni anno grande spazio al teatro, contesto ideale in cui esprimere anche i contrari della timidezza, l’istrionismo e l’estroversione che emergono per complementarietà dal tema, come afferma Sgarbi. Dopo aver ospitato fra gli altri, Antonio Rezza, Geppi Cucciari, Massimo Lopez e Tullio Solenghi, il 20 luglio La Milanesiana porta sul palco del Piccolo Teatro Giorgio Strehler “Il sogno di una cosa”, adattamento del primo romanzo di Pier Paolo Pasolini, di e con Elio Germano e Teho Teardo.

 

Ancor prima, il 18 e il 19 luglio, il festival ospita il premio Pulitzer Michael Cunningham, protagonista di un doppio appuntamento, prima a Busseto (in Emilia Romagna) e poi a Merano (in Alto Adige). «Uno dei personaggi principali del nuovo romanzo di Cunningham, “Day”, è Robbie, timido a tal punto da inventarsi un avatar che sembra più reale di lui. Un romanzo molto bello, premiato con il Von Rezzori. E Michael dialogherà con Marc Ribot, uno dei grandi sperimentatori musicali dei nostri tempi», prosegue Sgarbi a proposito del legame fra Cunningham e il tema annuale della rassegna.

 

«La timidezza è una qualità con cui fare i conti. Quando non è paralizzante, crea una sospensione tra il voler dire o voler agire e il dire o l’agire effettivamente. In quella sospensione può nascere qualcosa di buono e bello».

 

La timidezza come «modo di guardare il mondo, considerando anche i mondi degli altri» è infatti ciò che guida e unisce il programma de La Milanesiana, che sceglie proprio queste parole per presentarsi e autodefinirsi. «La timidezza è soprattutto ascolto, e ama la pace, termine che davamo per scontato, ma che ora assomiglia a una chimera».

 

È anche per questo che Elisabetta Sgarbi spiega così la scelta di concludere la rassegna con una coppia di eventi dal valore anche simbolico: «La Milanesiana sarà chiusa da due incontri. A Milano il 31 luglio, con una grande scrittrice palestinese, Adania Shibli, che sarà con Vincenzo Latronico. Ad Adania, a ottobre, alla Buchmesse, fu impedito di ritirare un premio e di tenere il suo discorso, a seguito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre. E leggerà alla Milanesiana quel discorso. La chiusura del 9 agosto sarà affidata a Bernard-Henri Lévy (filosofo, ndr), che ha scritto un libro sulla solitudine di Israele. Senza pretesa di esaurire un tema così complesso, volevo, nel programma, dare il senso della tragedia che questo conflitto rappresenta».