Nuove famiglie, il rapporto coi figli, i conflitti internazionali tra i temi più ricorrenti nei film in arrivo alla kermesse in Laguna. Con 21 titoli in concorso e più di 30 fuori, ecco cosa tenere d'occhio nella rassegna che sta per iniziare

Potrà sembrare strano o sconveniente, ma per capire cosa riserva la Mostra del Cinema di Venezia spesso conviene partire dal Fuori Concorso. È questo contenitore, che ogni anno si allunga e si gonfia oltre i limiti della fisica come i cartoons di una volta, a nascondere la chiave della selezione. I film che non si potevano rifiutare. Quelli che è meglio proteggere da mancati riconoscimenti. Gli autori che avendo già vinto un Leone d’oro non sarebbe elegante rimettere in gara, come il filippino Lav Diaz, celebre per le durate monstre, quest’anno al Lido con i 250 minuti di “Phantosmia” (ma se vale questo criterio ci si chiede perché “Joker: folie à deux”, sequel del leone 2019, sia invece in concorso). Eccetera.

 

Da “Beetlejuice Beetlejuice” di Tim Burton, in apertura, a “L’orto americano” di Pupi Avati in chiusura (anni ’40, paranormale, bianco e nero “à la Hitchcock”), fuori concorso sfilano infatti più di 30 titoli, inclusi un corto di Bellocchio (“Se posso permettermi - Capitolo II”) e uno di Alice Rohrwacher e JR (“Allégorie citadine”); un Lelouch intitolato “Finalement” che echeggia il Jim Carrey di “Bugiardo bugiardo”; l’ultima follia di Takeshi Kitano, leone 1997, “Broken Rage”; un docu-monstre di D’Anolfi e Parenti, “Bestiari, erbari, lapidari”, 205 minuti; un docu-fiction dell’israeliano Amos Gitai, “Why War”; il film di Francesca Comencini sul suo rapporto col padre, “Il tempo che ci vuole”, candidato fin d’ora al premio ma-perché-non-era-in-concorso. Senza dimenticare le serie tv firmate da nomi come Cuarón (“Disclaimer”), Sorogoyen (“Los años nuevos”) o Joe Wright con “M - Il figlio del secolo”, dal bestseller internazionale di Antonio Scurati, con Luca Marinelli che reinventa Mussolini per platee globalizzate e forse vergini da cinegiornali Luce.

 

“Kjærlighet”, con la regia di Dag Johan Haugerud

 

Sesso, magie e videocall
A Venezia insomma non manca nulla a parte Netflix, che avendo cambiato timoniere salta un turno ma tornerà. Il resto è cinema a 360 gradi, giura Barbera. Grandi autori, grande spettacolo, nuove scoperte, oggetti bizzarri, il tutto zigzagando fra Hollywood e il resto del mondo. Con un ospite a sorpresa - il sesso - centrale in vari titoli in Concorso fra cui “Queer” di Guadagnino con il marmoreo Daniel Craig, ex-007, nei panni di un tossico gay (il gioco sull’immagine del divo di turno è una delle valute più pregiate sul mercato); “Love”, del norvegese Dag Johan Haugerud, dove a condurre il gioco è una lei; o “Babygirl” dell’olandese Halina Reijn con Nicole Kidman, sesso, potere e ricatti in una grande azienda. Mentre in “Diva Futura” Giulia Steigerwalt rilegge la storia della pornoagenzia di Schicchi e Ilona Staller. Più sofisticato “Trois amies” di Emmanuel Mouret, erede di Rohmer e Marivaux con un tocco del miglior Woody Allen. Anche se la curiosità è tutta per la “Mistress Dispeller” della cinese Elizabeth Lo (Orizzonti), una professionista specializzata nel convincere le amanti di uomini sposati a mollare l’osso. E le immagini più crude, assicura Barbera, vengono da ”Disclaimer” di Cuarón. Che fin dal titolo sembra avvertirci: il punto non è il sesso, sempre più facile, ma la responsabilità, sempre più rara.

 

Bambini nel tempo
Non a caso forse fra i temi che rimbalzano con insistenza in ogni sezione ci sono i bambini, la cura, la filiazione, la trasmissione. Da Almodovar (“The Room Next Door”) ai fratelli Boukherma (“Leurs enfants après eux”), dalle sorelle Coulin di “Jouer avec le feu” (anche il ricorrere di coppie di registi consanguinei fa pensare), tutti in Concorso, a “Mon inséparable” di Anne-Sophie Bailly, Orizzonti. Ma ci sono bambini rapiti in “Pooja, Sir” del nepalese Deepak Rauniyar; figli maltrattati in “Familia” del talentuoso e non binario Francesco Costabile; cinquantenni indipendenti che si scoprono troppo legate ai figli della vicina in “L’attachement” di Carine Tardieu; bambini strappati ai genitori immigrati clandestini in “Separated” del grande documentarista statunitense Errol Morris. Come se in un mondo sempre più controllato e smaterializzato il rapporto con i figli fosse uno degli ultimi spazi di libertà rimasti, da difendere e inventare momento per momento. Ed ecco adozioni avventurose in “Vakhim” di Francesca Pirani così come in “Victoria” di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, altra coppia di registi. Senza dimenticare la piccola 13enne ribelle di “Manas”, della brasiliana Marianna Brennand, che dal cuore dell’Amazzonia tenta disperatamente di trovare la propria strada; o l’adolescente incinta nel dominicano “Sugar Island” di Johanné Gómez Terrero, entrambe alle Giornate, che quest’anno polverizzano ogni record di gender equality, con 17 registe su 28 titoli selezionati.

 

“Soudan, souviens-toi” della regista franco-tunisina Hind Meddebtra

 

Che fare quando il mondo è in fiamme?
Furioso ma un po’ sparpagliato anche il rombo che arriva dalle zone di guerra. Il lavoro più ambizioso sembra “Of Dogs and Men” dell'israeliano Dani Rosenberg, girato a ridosso del 7 ottobre con un’attrice mescolata agli abitanti del kibbutz Nir Oz, devastato dagli attentati di Hamas, produce tra gli altri l’italiana Donatella Palermo. Amos Gitai riparte dal dialogo del 1931 tra Freud e Jung (“Why War”); Göran Hugo Olsson interroga la presunta neutralità scandinava in “Israel Palestine on Swedish Tv 1968-1989”. Mentre sul fronte Ucraina, sempre Fuori Concorso, troviamo “Russians at War” di Anastasia Trofimova, regista moscovita ma produzione franco-canadese, un anno al fronte con una unità medica russa per smontare propaganda e luoghi comuni anche occidentali. E lo speculare “Songs of Slow Burning Earth” della documentarista ucraina Olha Zhurba. Curioso che nel Concorso ufficiale figurino solo la prima e la seconda guerra mondiale di Amelio (“Campo di battaglia”) e di Maura Delpero (“Vermiglio”), evidentemente mai come oggi la guerra non attira le grandi produzioni. Ma ci si può consolare con “Soudan, souviens-toi” della franco-tunisina Hind Meddeb (Giornate), lirica, straziante testimonianza raccolta tra i giovani e giovanissimi oppositori che dal 2019 hanno tentato con ogni mezzo, esclusa la violenza, di rovesciare il regime.

 

Se il passato non passa
Niente meglio del cinema, del resto, consente di leggere il presente attraverso il passato. Ed ecco “September 5” di Tim Fehlbaum che torna alla Olimpiadi di Monaco del 1972 dal punto di vista, rivelatore, di un team televisivo Usa che seguì in diretta la vicenda degli ostaggi israeliani. Ecco Walter Salles e la dittatura brasiliana anni ’70 (“I am still here”). O i suprematisti bianchi Usa che negli anni ’80 finanziavano i loro atti terroristici con rapine (“The Order” di Justin Kurzel). E i contadini inglesi del Cinquecento che fanno pagare la crisi economica ai nuovi arrivati (“Harvest” di Athina Rachel Tsangari), tutti in Concorso. Anche se nessuno di questi titoli, sbaglieremo, promette di essere una delle rivelazioni del Festival. Che invece assicura sorprese in tutte le sezioni.

 

Da tenere d’occhio
Ce la farà Pablo Larraìn a vincere il premio che merita da anni con “Maria” (Callas), nel cast Angelina Jolie, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher? L’argentino “Kill the Jockey”, di Luis Ortega, sarà davvero l’outsider che lascia il segno? E il nuovo “Joker” sarà un trionfo o una delusione? Tra gli italiani, oltre che per la Comencini il tam-tam batte per Maura Delpero (“Vermiglio”), per “Iddu” di Piazza e Grassadonia, lontanamente ispirato alla latitanza di Messina Denaro, per “La storia del Frank e della Nina” di Paola Randi (Orizzonti Extra), per la seconda regia di Valerio Mastandrea, che apre Orizzonti con “Nonostante”. Ma i beninformati dicono meraviglie anche di due film georgiani, “April” di Dea Kulumbegashvili, Concorso, e “The Antique” di Rusudan Glurjidze, Giornate, e dell’iraniano “Boomerang” di Shahab Fotouhi, un esordio sotto il segno di Truffaut (sempre alle Giornate). Che oltre ai film assicurano anche una raffica di incontri e discussioni, si spera appassionate, sul tappeto temi caldi come i diritti economici e legali dei cineasti under 35, l’intelligenza artificiale, il dialogo in Medio Oriente (con Tahar Ben Jelloun e Luciana Castellina). E le molte forme di censura presenti nel nostro cinema: di genere, di mercato, di cultura.