Chiassoso e allegro il primo, diretto da Tim Burton. Personale e trattenuto il secondo, di Valerio Mastandrea. La Mostra mette a confronto due modi molto diversi di fare cinema fantastico

Due film sull'aldilà per aprire la Mostra del Cinema. Il primo è americano dunque allegro, chiassoso, macabro, indiavolato, super spettacolare anche se un po' a singhiozzo, pieno di grandi nomi e di strizzate d'occhio, di scene musicali e di effetti speciali. Il secondo è italiano quindi trattenuto, personale, orgogliosamente provinciale (nel senso migliore della parola), più attento ai sentimenti che allo spettacolo (ma pieno di sorprendenti idee di regia), con un punto di vista forte sull'aldiqua anche se finge di raccontare l'aldilà. O meglio la “Twilight Zone”, quella specie di limbo in cui i personaggi proseguono la loro vita di tutti i giorni anche se sono senza corpo, senza peso, senza angosce terrene. Ma non senza sentimenti.

 

Il primo, “Beetlejuice Beetlejuice” di Tim Burton, che ha inaugurato la Mostra fuori concorso, è letteralmente un numero 2, cioè il sequel del film di Tim Burton del 1993, con gli stessi protagonisti di allora (Michael Keaton, Winona Ryder) e molte new entry (Monica Bellucci, Jenna Ortega, Catherine O'Hara, Danny De Vito, Willem Dafoe). Il secondo, “Nonostante” di Valerio Mastandrea, che ha aperto la sezione Orizzonti, è invece in tutto e per tutto un numero Zero. Cioè un film che non somiglia a niente se non al suo autore-attore, anche se naturalmente pesca in un “realismo magico” molto battuto dal cinema di ogni epoca. E usa un pugno di ottimi attori italiani e una star latinoamericana (Mastandrea, Laura Morante, Lino Musella, Giorgio Stefanini, Barbara Ronchi, l'argentina Dolores Fonzi) per portarci in uno strano mondo parallelo. Quasi uguale al nostro, anche se siamo quasi sempre dentro un grande ospedale moderno o nelle sue vicinanze, ma capace di rivelare molti aspetti della nostra vita a cui spesso non facciamo caso.

 

Come se la strada del realismo, nel senso più ampio della parola, passasse ormai attraverso i codici del fantastico. E questi personaggi sospesi tra l'aldiqua e l'aldilà, capaci di amare e soffrire ma forse non di ricordare, alludessero a qualcosa di molto contemporaneo che non avevamo ancora visto declinato in questa chiave. Magari non tutto è ugualmente riuscito, certe scommesse sono davvero azzardate, certe scene sono più ispirate di altre (che bello il vento che si scatena quando qualcuno passa davvero dall'altra parte), ma “Nonostante” è un film che rischia, cerca, inventa, insinua, cavalcando anche dissonanze e stridori. Con intuizioni spesso notevoli (quelle periferie così anonime, così rassegnate), stoccate al mondo dei cosiddetti vivi (la battaglia medievale, una spremuta di identità perdute). E una dedica finale al padre dell'autore che spiega perché il cinema si può fare anche così, coniugando le ragioni più personali con la voglia di comunicarle al pubblico più ampio possibile.

 

Mentre “Beetlejuice Beetlejuice” con tutto il suo divertimento, il genio di Tim Burton, la complicità di attori meravigliosi (Danny De Vito “liofilizzato” dalla succhia-anime Monica Bellucci, Willem Dafoe finto detective ed ex-attore frustrato), le musiche sempre trascinanti di Danny Elfman, non si scolla mai davvero di dosso un vago odore di formula, di numero 2, di grandissimo mestiere, di confezione smagliante ma piena di zeppe e di cuciture, come i suoi cadaveri tenuti insieme dalle graffette (irresistibile la scena in cui la cattivissima Monica Bellucci, smembrata, si “rimonta” grazie a una cucitrice). Poi il primo magari lo vedranno in pochi, il secondo in tutto il mondo, ma questo è un altro discorso.