Un libro, a metà tra il romanzo storico e il memoir, ricostruisce "gli anni perduti" del Bardo. Un tempo di vagabondaggio con una compagnia teatrale fondamentale nella costruzione della sua identità e poetica

Sette anni. È il vuoto nella biografia di William Shakespeare che nessun ricercatore è mai riuscito veramente a colmare: che cosa fece il drammaturgo più grande di tutti tra il 1585 e il 1592, quando aveva tra i 21 e i 28 anni? 

A quegli “anni perduti” Stéphanie Hochet, scrittrice parigina già in passato pubblicata da Voland (“Sangue nero”, “Un romanzo inglese”, “Pacifico”), dedica “William”, un’avventura letteraria e storica originale, che si intreccia ai suoi stessi ricordi. Ma se il romanzo ben riesce, nella sua costruzione in atti, quando a parlare è il Bardo in persona, meno convince nel continuo rinvio alle inaspettate affinità del memoir di Hochet.

La scrittrice immagina Shakespeare ventenne con un destino d’uomo già ben tracciato: è sposato ad Anne Hathaway, più grande di lui, è padre di tre bambini. Ne sente l’inquietudine, nella casa a Stratford-upon-Avon. L’attrazione per i viaggiatori. Il sogno di recitare, che lo acciuffa e non lo abbandona più al punto da farlo unire, inaspettatamente, a un gruppo di attori.

Perché a volte per realizzare il proprio progetto è necessario sparire, dissolversi, non lasciare traccia. 

Gli “evaporati” li chiamano in Giappone: migliaia di uomini e donne che ogni anno, “come gocce di pioggia e vapore nel sole, senza una spiegazione rompono con la vita passata e non è detto che vogliano cominciarne una nuova”. 

La tesi del libro è che Shakespeare, schiacciato dai giudizi del padre (come accade a Kafka, che ne scrive in “Lettera al padre”), dallo sguardo della moglie e dalle tante responsabilità, sparisca per istinto di sopravvivenza, in un fondamentale apprendistato con la compagnia dei Queen Elizabeth’s Men. Recita, conosce passioni forti, attraversa luoghi, s’imbatte in una galleria sconfinata di personalità e temperamenti che tanto lo influenzeranno, inclusi Richard Burbage e Christopher Marlowe. La sera si isola e scrive: i Sonetti, gli abbozzi di personaggi, come Riccardo III o Amleto, che lo renderanno eterno. Libero di essere sé stesso. Di tornare a casa e di riprendere ancora la strada per Londra. In grado di sentire, finalmente, ciò che senza strappi gli sarebbe stato negato.

 

William

Stéphanie Hochet

Voland, pp. 144, euro 18