In Italia non si sta scavando solo il tunnel della Val di Susa, spesso al centro delle attenzioni per le proteste. Tra l'Austria e il nostro Paese è infatti in costruzione un altro traforo, con poche contestazioni da parte dei cittadini. Ecco perché

Una trentina di persone o poco più. Sabato 5 luglio, quando il premier Matteo Renzi è salito a Mules per visitare il cantiere del nuovo tunnel ferroviario del Brennero, i No Tav altoatesini accorsi per far sentire la loro voce erano poco più numerosi dei carabinieri chiamati a sorvegliarli.

Nessuna manifestazione di massa, nessuna opera di sabotaggio di quelle evocate dallo scrittore Erri De Luca per l’altro grande tunnel in costruzione, in Val di Susa. In questo villaggio di montagna, meno di un paese, più di una frazione, dove solo pochi intenditori escono dall’autostrada A22 per inerpicarsi sugli alpeggi e visitare i castelli che punteggiano la valle, c’è il cuore del cantiere più grande d’Europa, in cui lavorano 24 ore al giorno oltre 150 tra tecnici e operai.

Mentre il traforo piemontese continua a calamitare accuse e malcontento, a Mules i lavori vanno avanti senza intoppi, protetti da un cordone di consenso che nessuna protesta, nemmeno la più motivata, riesce a scalfire. Quando il buco di 55 chilometri sarà terminato, passerà da qui la linea ad alta velocità Monaco-Verona, snodo del cosiddetto “Corridoio 5” da Helsinki a La Valletta, futuro asse verticale dell’Europa unita.

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Il progetto prevede che si parta da Fortezza, piccola stazione tra Brunico e Vipiteno, si passi per Mules e poi, scava scava, si arrivi a Innsbruck. Una volta giunti nel capoluogo del Tirolo austriaco, i treni potranno scegliere se andare dritto, entrando in città, oppure svoltare a destra, imboccando una seconda galleria di nove chilometri che già c’è e che si fonderà con il nuovo tunnel, dando vita a un unico colosso di 64 chilometri, il più grande del mondo. Tempo di percorrenza previsto da Fortezza a Innsbruck: meno di venti minuti, un terzo del tragitto attuale.

Perché tutto questo sia possibile, però, occorre prima completare l’opera. Che significa non solo fare un grande buco, ma dare vita a un reticolo di gallerie di oltre 230 chilometri, contando un traforo per senso di marcia, cunicoli di sicurezza e collegamenti d’accesso vari.

ALL’ITALIA COSTERÀ PIÙ DELL’AUSTRIA
A finanziare l’enorme cantiere, che costerà 8,85 miliardi di euro solo per quel che riguarda la realizzazione del tunnel principale, sono Unione Europea, Italia e Austria, che metteranno mano al portafogli in parti simili. Bruxelles sosterrà una percentuale del progetto che va dal 30 al 40 per cento, mentre i governi dei due Paesi interessati si divideranno il resto.

A gestire i lavori è la BBT, una società interamente pubblica divisa a metà tra Austria e Italia: in un caso il referente unico è la ÖBB (Österreichische Bundesbahnen, leggasi le ferrovie austriache), nell’altro invece è la TFB (Tunnel Ferroviario del Brennero Holding), a sua volta partecipata dalla Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) e da tre province, Bolzano, Trento e Verona. «L’Ue partecipa sia alla realizzazione dei lavori veri e propri, in una quota pari al 30 per cento, sia alla spesa relativa agli studi e alle opere propedeutiche, dove il contributo sale al 50 per cento», spiegano alla BBT. A oggi l’Unione ha assegnato al progetto della galleria di base finanziamenti complessivi per 518,6 milioni, da spendere entro il 2015. Ora si aspettano ulteriori bandi per la tranche dell’opera che verrà realizzata nei cinque anni successivi.
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Se si allarga lo sguardo all’intera linea, Austria e Italia devono però affrontare un impegno di entità ben diversa tra loro. Mentre Vienna ha finora messo sul piatto 1,7 miliardi, al governo di Roma tocca un onere più pesante, perché dal 2025 in poi - ossia da quando la nuova linea Tav sarà operativa - anche i binari tra Fortezza e Verona dovranno essere in grado di accogliere i moderni treni ad alta velocità. Ragion per cui il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) lo scorso 18 febbraio ha dato il via libera ad un impegno complessivo di spesa di 4,8 miliardi di euro.

A queste cifre vanno aggiunti i soldi promessi dalla società che gestisce l’autostrada A22 del Brennero, che ha iniziato a accantonare risorse per la nuova linea veloce fin dal 1998, e che oggi può mettere sul tavolo un fondo da 550 milioni. Quattrini che ancora non sono stati versati alla BBT perché legati al rinnovo della concessione autostradale, che si discute proprio in queste settimane con il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi. Un aspetto non secondario della questione, come si vedrà più avanti.

Se l’operazione andasse a buon fine, dunque, si avrebbe l’inedita situazione di un’autostrada che finanzia la costruzione di una ferrovia destinata - almeno sulla carta - a toglierle traffico e guadagni. «Non deve sorprendere il fatto che la A22 finanzi un’opera sua diretta concorrente», spiega Walter Pardatscher, amministratore delegato della Modena-Brennero, secondo il quale «la decisione si spiega in primo luogo con il fatto che siamo per l’85 per cento un ente pubblico partecipato dalle province toccate dalla nuova Tav, e in secondo luogo con il fatto che la nostra infrastruttura è praticamente satura e non potrà tollerare, di qui a un prossimo futuro, il verosimile aumento di traffico».

IMPREGILO PIGLIATUTTO
I lavori per il tunnel, sotto l’egida della società italo-austriaca, stanno procedendo dunque a spron battuto. Tra cunicoli di accesso e le prime tratte della galleria, a oggi sono stati scavati circa circa 30 chilometri, il 13 per cento del totale. I tecnici si stanno occupando al momento del punto più delicato dell’intera costruzione, l’attraversamento sotterraneo del fiume Isarco. L’appalto relativo a questo scavo è finora il più consistente fra quelli assegnati sul territorio italiano, con una base d’asta pari a 360 milioni. Se lo è aggiudicato con un’offerta da 300 milioni la Salini-Impregilo, un’impresa che in raggruppamento con l’austriaca Strabag ha già ottenuto il principale lotto oltre-frontiera, da Tulfes a Pfons, per un valore di 380 milioni di euro e 38 chilometri di gallerie.

Da questi enormi cantieri, però, non si ode un fiato. Niente rumore, perché si lavora dentro le montagne, e poche proteste, come mostrato dallo sparuto presidio organizzato nel giorno della visita di Renzi, impegnato più a scattare selfie con gli operai che a rispondere alle critiche dei contrari. Sul perché il dissenso attorno all’opera sia così contenuto si può discutere molto o molto poco: il lavoro di BBT per far digerire l’opera alle comunità locali è certosino. Periodicamente la società organizza visite guidate per turisti e scolaresche ai cantieri.
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Oltre a questo, è stato approvato un piano di compensazioni da circa 50 milioni, che finanzieranno infrastrutture locali e opere accessorie, dal nuovo campo da calcio di Fortezza alle barriere anti-rumore alle opere di mitigazione: «Prima di iniziare a scavare», spiegano alla BBT, «abbiamo incontrato cittadini e amministratori, ascoltandone richieste e perplessità. E dove possibile ci siamo mossi per limitare l’impatto ambientale, tutelando il patrimonio idrico, paesaggistico e faunistico. Per le aree più sensibili, l’impatto sull’ambiente viene costantemente monitorato da specifici addetti». Anche il presidente della Provincia di Bolzano, Arno Kompatscher, ha dato il placet: «È la ferrovia stessa a essere un’opera compensativa, perché una volta completata ci libererà dal traffico che ci soffoca e danneggia la nostra valle», spiega a “l’Espresso”.

DOVE ANDRANNO I CAMIONISTI
Eppure, a dispetto della compattezza dei favorevoli, critici e contrari non mancano neppure qui. La loro protesta è più silenziosa dei colleghi della Val di Susa, ma le argomentazioni sono non meno polemiche. Riccardo Dello Sbarba, esponente dei Verdi al consiglio provinciale di Bolzano, prova a spiegare cosa ha reso così potabile l’opera ai cittadini delle valli: «La BBT, occorre dargliene atto, ha mostrato capacità d’ascolto o addirittura di accoglienza verso alcune richieste portate dal territorio, così da contenere ogni forma di malcontento. In secondo luogo, a differenza che in Val di Susa, qui il traffico c’è davvero ed è fitto, continuo, rumoroso e inquinante: un problema vero che nessuno nega, ma che purtroppo non sarà nemmeno scalfito dalla creazione del tunnel».

Ecco dunque la prima, e più corposa ragione dei No BBT: la galleria non serve. «È vero che il valico del Brennero», dice Dello Sbarba «è il più trafficato dell’arco alpino, nessuno lo nega. Ma tutto il via vai è, almeno per un terzo, costituito da traffico deviato: visto che i pedaggi autostradali costano meno in Italia che in Austria, molti camion preferiscono passare dall’Alto Adige piuttosto che fare tragitti più diretti. Se davvero si volessero ridurre i camion, subito e non nel 2025, sarebbe sufficiente equiparare le tariffe, e i tir non avrebbero più nessuna convenienza a passare dal Brennero».

L’esponente ambientalista ne fa un problema anche di prospettiva: «Questa distorsione resterà anche quando l’opera sarà completata: perché le merci dovrebbero passare su rotaia se costa meno andare su gomma? A tunnel fatto la cosa non cambierà: non lo diciamo noi, ma uno studio dell’università di Innsbruck, reso pubblico dal deputato Cinque Stelle Riccardo Fraccaro: una volta terminata, la galleria riuscirà a assorbire solo il previsto aumento del traffico, ma il livello di oggi resterà intatto».
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Oltre a questo aspetto, c’è un’altra nota dolente: i costi effettivi dell’opera. Lo spiega Carlo Campedelli, portavoce dei No BBT: «Se il tunnel da solo non potrà influire sulla riduzione del traffico, potrebbero cadere le basi del progetto, spingendo Bruxelles a sfilarsi dalla partita e lasciando Italia e Austria con il cerino in mano. In secondo luogo, secondo le stime della Corte dei Conti austriaca, il tunnel potrebbe costare 24 miliardi, invece dei circa 9 messi a preventivo, che significa circa 400 milioni al chilometro. Se così fosse, diventeremmo titolari dell’opera ferroviaria più costosa e meno utile del mondo, rischiando di non avere più la montagna, ma i camion ancora in giro».

Se i contrari avessero ragione, dunque, la soluzione potrebbe passare da una vera rivoluzione delle tariffe, che davvero svuoti l’A22 del traffico merci, dirottandolo il più possibile sui treni. Una questione caldissima, proprio ora che la società autostradale sta ridiscutendo con il ministro Lupi concessione e tariffe. E può contare su un’arma di pressione non da poco: i 550 milioni di euro accantonati per realizzare gli scavi.