L’Ungheria del demagogo Viktor Orbán e la Lombardia dei leghisti al potere. Il paese che alza i muri contro i migranti e blocca le frontiere e la regione più ricca d'Italia che attraverso leggi e regolamenti mette in pratica lo slogan “Padroni a casa nostra”.
Qui i muri sono barriere normative per imporre divieti: leggi anti moschee, penalizzazione degli enti locali e degli albergatori che accolgono i profughi, test d’italiano per alunni stranieri, mozioni per bloccare i testi "gender" nelle scuole, leggi discriminatorie per l’alloggio popolare.
E poi sindaci zelanti che si sostituiscono allo Stato per bloccare l’arrivo di profughi (a Soncino, Cremona) e amministrazioni che non vogliono squadre di richiedenti asilo che giocano a calcio (a Mortara, nella provincia di Pavia).
Tutto questo sotto il cielo della Lombardia, dove legiferare serve più per mostrare la differenza con Roma e accontentare il proprio elettorato che per avere risultati concreti.
Maurizio Ambrosini, sociologo della Università Statale di Milano ed esperto di migrazioni nel suo libro Non passa lo straniero? (Cittadella editrice) racconta la voglia di legiferare ad ogni costo: «La produzione delle istituzione lombarde è notevole: ordinanze per le moschee, divieto di usare altre lingue, rimozione di luminarie natalizie, bonus solo per gli italiani, stop ai venditori di kebab. Cosa ci sta dietro? Quando si hanno meno risorse si investe in politiche simboliche che non costano niente, ma servono a definire l’identità politica con la retorica. Da anni la comunicazione è diventata ricerca del consenso. E il consenso si ottiene con le politiche di esclusione che marcano i confini dell’appartenenza legittima. L’obiettivo è rassicurare i cittadini autoctoni, attivamente difesi “dall’invasione dello spazio urbano” e fare l’elenco dei comportamenti pericolosi, come ad esempio chi indossa un velo. In questo modo si incentiva la domanda di protezione. E con il sindaco-sceriffo la nozione di sicurezza è stata dilatata a dismisura».
Spesso l’efficacia è modesta: molte leggi ed ordinanze cadono sotto l’opposizione dell’Unar (l’Ufficio antidiscriminazioni razziali della presidenza del Consiglio), Prefetti, Tribunali o il Governo che ha impugnato la legge anti-moschee varata in primavera dalla giunta di Maroni (nuove norme urbanistiche più stringenti sull’apertura di nuovi luoghi di culto), finita davanti alla Corte costituzionale.
Il danno maggiore è quello culturale: l’idea della separazione tra "noi" e "loro" rimane marcata. E la bocciatura dei procedimenti diventa un ulteriore motivo per alimentare lo scontro tra difensori del territorio e i mondialisti. Con questo refrain: “Ci impongono la globalizzazione e l’accoglienza dei rifugiati”.
«Lo scontro è profondo ed ideologico - conclude Ambrosini -la gente che la Lega vorrebbe difendere ha la vita sconvolta dai burocrati che arrivano da Bruxelles via Roma. E le sensate bocciature rafforzano il vittimismo e il cliché populista».
NO, LO STRANIERO NO
Il bersaglio preferito della maggioranza con il fazzoletto verde sono gli stranieri, i clandestini, i profughi. Il governatore Roberto Maroni e la sua squadra di assessori non si tirano indietro quando c’è da sparare contro i migranti.
Lo scorso giugno è stato Bobo in persona ad elevarsi a difensore della Padania contro la presunta invasione: «Scrivo una lettera ai prefetti diffidandoli dal portare in Lombardia nuovi clandestini. E poi anche ai sindaci dicendo loro di rifiutarsi di prenderli. Ai sindaci che dovessero accoglierli ridurremo i trasferimenti regionali come disincentivo alla gestione delle risorse. Poi chi lo fa violando la legge, violando le disposizioni che io ho dato, subirà questa conseguenza».
Dimenticando che è stato l’ex ministro dell’Interno del governo Berlusconi a creare il sistema di accoglienza e a firmare gli accordi di Dublino che impongono ai migranti di rimanere nel primo paese di arrivo in Europa.
La pasdaran dell’accoglienza zero è l’assessore alla sicurezza, protezione civile e immigrazione Simona Bordonali, che partecipa spesso alle manifestazioni anti-profughi, da Lecco a Brescia. Le sue parole d’ordine: «Vanno tutti rimpatriati perché non ci sono persone che scappano dalla guerra, non c’è alcun profugo, sono tutti migranti economici, ossia clandestini».
Tutte d’istinto le dichiarazioni della responsabile all’immigrazione: «Chi utilizza in modo improprio le strutture della Regione Lombardia o da noi finanziate si vedrà tagliare i contributi e sarà penalizzato nei bandi. È successo ad albergatori, gestori di ostelli, di parchi regionali e ora agiremo nello stesso modo anche nei confronti delle fondazioni, come la Annibale Maggi di Seniga (Brescia), che intendono ospitare immigrati negli alloggi realizzati per gli anziani».
Dalle parole ai fatti ecco il taglio è arrivato. Approvati una settimana fa i nuovi criteri di ripartizione dei finanziamenti ai parchi regionali. Al Parco bergamasco dei Colli arriveranno 90 mila euro in meno per tre anni per "punirlo" di aver concesso ad agosto ospitalità, per la seconda estate consecutiva, a un gruppo di profughi in una struttura che fa parte del parco.
Tra i criteri di assegnazione dei finanziamenti ai parchi regionali nell’ambito del programma ambientale di manutenzione straordinaria è stata infatti inserita una nota in cui si precisa come si sia ritenuto «di non ammettere ai contributi quei parchi che abbiano sottratto i beni gestiti a un utilizzo confacente alle finalità individuate dallo statuto, facendo diventare prassi consolidata usi quali la messa a disposizione dei beni del parco per rispondere alla crescente pressione migratoria».
«I parchi ricevono fondi dalla Regione per fare i parchi e non altro. Tutto ciò che esula da queste funzioni non può essere ammesso», ha spiegato l’assessore all’ambiente, Claudia Terzi:«Se i Comuni vogliono ospitare i clandestini, lo facciano nelle loro strutture e non in quelle che sono anche della Regione».
Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori si smarca e parla apertamente di "vergogna": «Tutta l'Europa civile è impegnata nel difficile compito di accogliere mentre la Lombardia non solo è del tutto assente, ma si schiera contro gli amministratori che hanno fatto il loro dovere».
LA FAMIGLIA E LA TEORIA GENDER
Altro pallino di Maroni&co è la difesa della famiglia e la messa al bando delle (inesistenti) teorie gender nei libri di scuola.
Dopo il convegno omofobo dello scorso febbraio il Pirellone fa il bis il 17 ottobre con un convegno “In difesa della famiglia naturale e contro la teoria gender”. Il concetto di fondo è imbarazzante: l’omosessualità è una malattia e la famiglia è sotto attacco per i piccoli impercettibili passi in avanti nella lotta all’omofobia e dei tentativi di parificare le coppie omosessuali a quelle etero.
«Regione Lombardia è in prima linea per la tutela dei valori cardine della nostra società e della tradizione» dice l’assessore alle Culture, la leghista Cristina Cappellini: «Valori in difesa dei quali vorremmo vedere prese di posizioni molto più forti da parte delle nostre istituzioni religiose. L’istituto famigliare è messo a repentaglio da politiche economiche penalizzanti e da ideologie distruttive».
Per ribadire la paura di contaminazione della cultura gender è stata votata martedì 6 ottobre al parlamentino lombardo una mozione della pattuglia leghista per «contrastare la diffusione nelle scuole lombarde».
Vale la pena leggere qualche passaggio: «Ritenuto che suddetta teoria ha la tendenza a diventare sinonimo di educazione alla genitalità e alla masturbazione precoce fin dall’età infantile, negli Stati che hanno visto l’applicazione si è riscontrato un aumento delle gravidanze e degli aborti adolescenziali, degli abusi sessuali, della dipendenza da pornografia. Si impegna la giunta perché vengano ritirati dalle scuole i libri e il materiale informativo che promuove la teoria del gender».
Senza battere ciglio tutto il centrodestra ha votato per bloccare una teoria che esiste solo nelle paure dei guardiani dei valori ultracattolici.