Federico Ferrari è psicoterapeuta e co-fondatore della società di psicoterapia per lo studio delle identità sessuali. Ha scritto un saggio “Curare i gay?” (Cortina Editore), in cui si evidenziano l’inconsistenza, l’inefficacia e la dannosità delle pseudo-terapie che vorrebbero curare l’omosessualità.
Quando sono spuntati i gruppi di apostolato cattolico?
«Dopo la cancellazione dell’omosessualità dai manuali di psicopatologia nel 1973 molte associazioni fondamentaliste si sono sostituite alla scienza nel proporne una “cura”. La cattolica Courage è degli anni Ottanta. Reclamano il diritto di chi soffre per un'indesiderata attrazione per lo stesso sesso condividendo l’idea che sia un peccato e una deviazione dal progetto di Dio, che avrebbe creato tutti eterosessuali».
Perché la “cura” di Courage non ha senso dal punto di vista scientifico?
«Prendono persone sane e le trattano come malate. Promettono di “cambiarle”, ma la cura consiste nell'evitare “le tentazioni”, forzandosi in relazioni eterosessuali, senza poter mai cancellare i desideri verso il proprio sesso. Sono dannose e anche l’ordine degli psicologi le ha condannate».
Come pensa lo psicologo americano Joseph Nicolosi di curare l’omosessualità con le sue terapie riparative?
«L’omosessualità sarebbe un'incompiuta identificazione con il maschile o il femminile causata da una “ferita psichica”, riparando la quale l'individuo tornerebbe a identificarsi pienamente e ad essere eterosessuale. L'omosessualità non esisterebbe in sé, ma solo come deficit. Concepiscono erroneamente come unico scopo della sessualità la procreazione».
Castità e “riparazione” vanno a braccetto?
«Non necessariamente. La castità può essere legata all'idea di un valore positivo dell'astinenza a prescindere dall'orientamento sessuale. Quando invece diventa un modo di reprimere una parte di sé creduta indegna, allora diventa auto-punizione e denigrazione di sé».
Perché le persone ci credono?
«Spesso chi richiede questi interventi parte da un profondo senso di inadeguatezza. Pensa che la sua stessa capacità di amare e desiderare sia “rotta” e di non poter per questo essere amato dalla sua comunità di cui ha bisogno e a cui si affida. Può persino scambiare le tensioni con la propria famiglia che non lo accetta con il “disagio familiare” che questi gruppi dicono sia la causa della sua omosessualità, convincendosi ancor più delle loro teorie».
Che danni producono?
«Un danno prima di tutto esistenziale: tramandano l’invalidazione di persone cresciute già sentendosi sbagliate, spingendole a far dipendere il proprio valore da un'eterosessualità che non arriva mai. Ripetendo costantemente come i loro sentimenti siano segno di devianza, incoraggiandole nella costruzione di un “falso sé”, l'auto-convinzione di essere eterosessuali a prescindere dai sentimenti reali. E poi un danno clinico: un tunnel di perenne disagio dei propri sentimenti che sfocia spesso in sintomi ansioso-depressivi e talvolta nella disperazione che può portare al suicidio».