L'ingegnere, figura centrale nell'inchiesta 'Sistema', aveva un conto alla Hsbc di Ginevra, la banca di Swissleaks. Al telefono confessava che “nei Paesi dove ci sono le regole si sta peggio”

Soldi in Svizzera e incarichi pubblici in Italia. Giulio Burchi, uno degli uomini chiave della maxi inchiesta “Sistema” sulla spartizione dei grandi appalti, aveva un conto alla Banca Hsbc di Ginevra, quella della lista Falciani. Un mese fa l'Espresso aveva pubblicato il suo nome nell'inchiesta SwissLeaks, frutto dei documenti raccolti da Hervé Falciani. Nel 2008 il deposito di Burchi alla Hsbc ammontava a 179.494 dollari. In quegli anni, l'ingegnere di origini emiliane si era già ritagliato un ruolo importante al vertice di grandi aziende pubbliche: fino al giugno del 2007 lo troviamo alla presidenza di Italferr, la società di ingegneria controllata al 100 per cento dalle Ferrovie dello Stato. Risalgono a pochi mesi prima, nel 2006, le sue dimissioni dalla Metropolitana Milanese di cui era amministratore delegato.

I pm fiorentini che indagano sugli appalti delle grandi opere italiane contestano a Burchi il reato di traffico di influenze illecite. Il manager avrebbe stipulato un contratto di collaborazione con l'imprenditore Stefano Perotti, per la direzione dei lavori nell'ammodernamento di un tratto dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria (per un compenso di 50 mila euro l'anno per quattro anni), ma senza che fosse stata effettuata alcuna reale attività, secondo l'accusa. Burchi, 64 anni, è un professionista di grande esperienza. Negli anni ha collezionato decine di incarichi e, a quanto pare, si era fatto un'idea precisa di come funziona il sistema. «Forse si sta bene solo in questo Paese qua – racconta al telefono intercettato dagli investigatori - perché nei Paesi dove ci sono le regole secondo me si sta molto peggio. I soldi che ho guadagnato a stare in questo Paese deregolarizzato, non li avrei mai guadagnati in Inghilterra e America».

E' ancora Burchi a spiegare, a sua insaputa, ai magistrati fiorentini le distorsioni del sistema delle assegnazioni. Nelle intercettazioni telefoniche agli atti dell'inchiesta, l'ex numero uno della Metropolitana Milanese da un lato si lamenta dello strapotere di Ercole Incalza al ministero delle Infrastrutture, dall'altro racconta l'irresistibile ascesa di Perotti, che riceve un fiume di commesse pubbliche, grazie al suo rapporto con Incalza.

Ben consapevole dei rapporti di forza, Burchi, parlando al telefono, svela le sue intenzioni. E cioè mettersi in società con Perotti perché, dice, ha «nella pancia tre o quattro miliardi di direzioni lavori e progettazione c'ha zero». Quest'ultima era proprio la specialità di Burchi, che si candidava a «a fare un consorzio» con il protetto di Incalza. Il manager quindi, sperava di sfruttare la scia di Perotti per incrementare il suo personale portafoglio lavori.

Un portafoglio già molto ricco, a dire il vero. A parte gli incarichi nei cantieri, il manager con gli anni è diventato una sorta di uomo ovunque delle autostrade del Nord, in particolare nelle società targate Banca Intesa e gruppo Gavio. Per esempio Serenissima, A4 holding, Autostrade Lombarde, Autocamionale della Cisa. Un network in continuo movimento, tra holding finanziarie e una girandola di soci pubblici, dagli enti locali alle camere di commercio. Cambiano gli azionisti, ma Burchi resta sempre in prima linea, anche perché, a quanto pare, gode della fiducia dei vertici di Intesa, che è anche il grande finanziatore del sistema.