Abbattuto il divieto, restano gli ostacoli concreti: le regioni procedono in ordine sparso, le donazioni sono scarse e gli interventi pochissimi. Così alcuni ospedali si sono messi a importare gameti e, al contrario, chi vuole un figlio ha ricominciato ad espatriare
Ci sono le battaglie di principio. E poi c’è la realtà. Avevamo gioito per la sentenza della Corte costituzionale, che il 9 aprile scorso ha
cancellato il divieto di fecondazione eterologa in Italia. Oggi siamo impantanati: ostacoli, cavilli burocratici, caos normativo, Regioni che sulla sanità procedono in ordine sparso. E un impedimento sopra tutti:
non ci sono i donatori di ovociti e spermatozoi. Risultato: dopo un iniziale rallentamento della “migrazione procreativa” verso paesi più attrezzati del nostro, ora le coppie italiane riprendono la via della
Spagna, della Grecia, della Svizzera in cerca di una gravidanza.
IL DOSSIER Nascere ai tempi del medtechE, visto che ora l’eterologa è legale, c’è anche chi decide di saltare il fosso: anziché aspettare le coppie italiane, i signori del business mondiale della fertilità vengono a pescare i pazienti/clienti là dove sono.
Succede a Milano, per esempio, dove ha appena aperto i battenti una filiale dell’
Institut Marquès di Barcellona dove è finalmente possibile, a caro prezzo, tutto quello che dovrebbe essere possibile anche negli ospedali italiani. E non è: a quasi un anno dalla pronuncia della Consulta le coppie che sono riuscite ad ottenere questa prestazione senza volare nei centri esteri si contano sulle dita di una mano.
Commenta e raccontaci la tua esperienzaÈ successo all’Ospedale Careggi di Firenze (che però ha
una lista d’attesa di oltre 1800 coppie), in un centro romano, in uno veneto. Niente, se si dà un’occhiata alle stime del bisogno.
Le riassume
Andrea Borini, presidente della Sifes (Società Italiana Fertilità e Sterilità): «Se si stima che il 15 per cento della popolazione in età fertile abbia problemi a concepire, e che di questi il 10 abbia bisogno della fecondazione eterologa, possiamo immaginare che almeno settemila coppie resteranno, per il momento, a bocca asciutta, o torneranno a bussare alle porte dei centri esteri: i quali ci confermano quanto la richiesta dal nostro paese sia tornata ai livelli di qualche anno fa». Secondo l’ultimo rapporto dell’
Osservatorio sul Turismo procreativo, nel 2010 sarebbero stati tra i 3500 e i 4500 italiani a decidere di affrontare un viaggio alla ricerca di un figlio. È verosimile che i numeri non siano cambiati di molto.
DOVE L'ETEROLOGA È A CARICO DEL SSNIl caos normativo è la cornice, ma il vero impedimento è la mancanza di donatori. Soprattutto, donatrici. È vero, lo scorso dicembre, nel maxiemendamento alla Legge di stabilità, è stato istituito il
Registro nazionale dei donatori, per garantire la tracciabilità dei gameti. Ma finora di volontari se n’è visti pochi. In primo luogo, perché
non è previsto alcun rimborso per le donne che scelgono di sottoporsi alla lunga e faticosa stimolazione ormonale che serve alla produzione di ovociti.
La legge vieta il pagamento di organi, gameti, cellule. Ma non solo. Rispetto ad altri paesi, in Italia la selezione dei potenziali donatori è resa più difficile da alcuni criteri contenuti proprio nelle Linee guida approvate dalla Conferenza delle Regioni il 4 settembre scorso. Una serie di paletti che di fatto rallentano, se non bloccano, la ricerca di candidati.
Il primo riguarda la
donazione di ovociti. Le donne non solo dovranno sottoporsi alle cure necessarie per produrre ovociti utili per il prelievo a totale titolo gratuito, ma dovranno anche fare un tampone che certifichi l’assenza di infezioni vaginali come Candida o Chlamydia.
Un percorso che nessun altro paese europeo prevede, così come non lo prevedono le tecniche di fecondazione omologa. I sanitari assicurano che non ha alcun fondamento scientifico, visto che l’eventuale presenza di infezioni non rende più rischioso il prelievo, né il trasferimento in utero degli ovociti fecondati. E a molti viene il sospetto che
si vogliano disincentivare le donazioni rendendole un vero e proprio percorso a ostacoli.
Leggi Gli articoli de l'Espresso sull'eterologaIl secondo paletto riguarda invece la donazione di
seme: il Documento prodotto dalle Regioni prevede che i volontari maschi debbano garantire una concentrazione di spermatozoi nell’eiaculato assai superiore a quella stabilita come normale dall’
Organizzazione Mondiale della Sanità. Un seme da superman, insomma. «Una richiesta», continua Borini: «Che certamente taglierà fuori molti potenziali donatori, non ultimi i partner maschili delle coppie che giungono ai centri di Pma, e che sono certamente più sensibili alla cultura del dono».
Per non perdere nemmeno una possibile donazione è nata
Aidagg, l’associazione che raccoglie in un database tutte le richieste dei volontari. «In un mese», dice la segretaria
Silvia Consolo: «Abbiamo ricevuto una quarantina di richieste, quasi tutte da parte di giovani uomini che vogliono donare il seme». Due sole le donne, però.
Così succede che
molti centri, anche pubblici, stringono accordi con biobanche estere per importare i gameti da quei paesi in cui la cultura della donazione è più diffusa, o che mettono meno paletti tra le ruote degli aspiranti donatori. Il Careggi di Firenze, per esempio, ha appena annunciato una collaborazione con la Cryos International e la Nordic Cryobank danesi, e le spagnole Imer e Ovobank.
A Padova, la
Biotech Pma non fa mistero di far arrivare i gameti dalla Spagna. Ma non è un’operazione semplice perché l’Europa delle autorizzazioni sanitarie è una Babele. E nella vita delle coppie si insinua il burocratese: “livello autorizzativo”.
Se un centro italiano vuole importare gameti può farlo solo da un paese che ha un centro di livello autorizzativo pari al nostro, che è il
Centro Nazionale dei Trapianti (Cnt). «Ma in paesi come la Grecia o la Spagna (fatta eccezione per la Catalogna) non esiste un ente di pari grado, e i centri hanno un’autorizzazione sanitaria di tipo nazionale del tutto sufficiente a garantire la sicurezza delle procedure», spiega Claudia Livi, direttore scientifico del Demetra di Firenze.
Non per l’occhiuto Cnt che ha rapidamente fatto sapere ai centri italiani che importare dalla Spagna o dalla Grecia, come da tutti gli altri paesi “non conformi” non si può fare. Nessuno ha capito bene se il Cnt sta difendendo la salute delle coppie.
Ma uno come Antonino Guglielmino, direttore del centro Umr di Catania non ci sta: «
Noi non accettiamo intimidazioni: la Regione Sicilia ci ha riconosciuto la possibilità di importare gameti, e noi continueremo a lavorare come abbiamo sempre fatto». Se è la sicurezza che sta a cuore al Cnt, conclude da Firenze Claudia Livi, non si capisce come mai negli anni passati si siano lasciate andare le coppie all’estero, in centri non verificati. E come mai si preferisca vederle partire di nuovo per chi sa dove.