Dalle indagini e dai racconti dei testimoni emergono una serie di reti criminali che fanno affari sulla pelle di chi cerca di arrivare in Italia, spesso con la complicità dei militari. Ecco i nomi e le persone dietro questo business

L’Happy hour della Cupola che gestisce il traffico di migranti va in scena ogni fine settimana in un coffee shop del quartiere Hal Andalus di Tripoli. Tra una partita di biliardo e un aperitivo, i boss dello smuggling decidono il destino di migliaia di persone, pronte a riversarsi sulle coste della Sicilia.

E’ la ricostruzione di un gruppo di migranti raccolta dall’Espresso. Quei ragazzi hanno vissuto per mesi a Tripoli, nelle baracche in riva al mare messe a disposizione dai capi dell’organizzazione. Il loro racconto coincide con i dati investigativi dei pm di Palermo Gery Ferrara e Claudio Camilleri, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Scalia.

L’indagine ha smantellato uno dei gruppo legati al network multinazionale composto da etiopi, eritrei, libici e sudanesi. Per la Procura di Palermo ci sarebbero altre reti attive e la conferma arriva dai continui sbarchi sulle coste siciliane.

Grazie alle intercettazioni compiute sulle utenze di Medhanie Yehdego – ritenuto responsabile nel solo 2014 di almeno 7.000 sbarchi – è possibile ricostruire alleanze e regole della Cupola che gestisce il traffico di migranti. E se i testimoni ascoltati dall’Espresso parlano di un boss chiamato “Doctor Alì”, quel nome appare già nelle carte giudiziarie: la sua voce è stata tracciata via etere, proprio per i suoi contatti con Medhaine.

Alì è un trafficante libico, attento a tenere in ordine i conti. Dalla lettura dei dialoghi tra Alì e il trafficante eritreo si capisce che qualcosa non va. Il “doctor” si lamenta di non avere ricevuto la sua parte di compensi e minaccia Medhaine : ”se non avrò i miei soldi, saprò cosa fare”. Sempre al telefono, Alì rimprovera Medhaine di rovinare il mercato: “prima prendevi 1.000 dollari a persona e adesso ne chiedi soltanto 400”.

Il libico fissa il compenso per i suoi servizi: per ogni migrante che passa dal suo territorio dovrà ricevere 400 dollari. E’ la regola del business: la “domanda” di viaggi cresce, ma le tariffe non si devono abbassare. Per il bene dell’organizzazione è meglio trovare un’intesa e Medhaine ha ottimi argomenti per convincere i responsabili delle diverse fazioni della “Cupola” che controlla il traffico di migranti dalle coste del Nord Africa.

Medhaine è un bravo negoziatore, Alì viene rassicurato, avrà delle auto per gestire lo spostamento dei migranti in Libia – mezzi che il capo dei trafficanti ha acquistato a Dubai – e per ogni “cliente” otterrà un compenso di 300 dollari, un po’ meno di quanto preteso, ma quanto basta per trovare un accordo tra le diverse fazioni dei trafficanti.

Medhaine si paragona a Gheddafi per la sue capacità di leadership. E’ orgoglioso degli uomini che compongono la sua organizzazione, li ha scelti uno per uno e al vertice del suo gruppo criminale, proprio come faceva il colonnello deposto nel 2011, ha piazzato soltanto parenti e fedelissimi.

Ma nonostante queste precauzioni, vivere e lavorare a Tripoli di questi tempi è sempre un’incognita, con un buon carico di stress per il capo del network. Se da un lato il trafficante eritreo può contare su una rete di complicità con le forze di polizia locali, dall’altro si rende conto di essere l’unico “smuggler” che lavora in città e questa situazione, alla fine, potrebbe rivelarsi una trappola.

Sono le confidenze del trafficante di esseri umani, ascoltate in presa diretta dalle orecchie elettroniche piazzate dagli investigatori del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato. Parlando con uno dei suoi soldati, Medhaine spiega che “i due magazzini dei miei colleghi si trovano uno a Tripoli l'altro in spiaggia. Sono tutte e due delle caserme. I colleghi sono tutti soldati ed hanno molte conoscenze”.

Forse anche il “Dottor Alì” è un militare libico. Così è descritto nel racconto dei migranti: ”Indossava una divisa verde, con delle coccarde blu e delle stellette”. Il rapporto con i militari libici è fondamentale per la tenuta del sistema: i barconi di Medhaine sono stati fermati in mare due volte dalle navi dei militari e sono stati lasciati andare via pagando. Una volta un barcone si è guastato in mare ed è stato soccorso proprio dai militari. Lo scafo è stato accompagnato fino alle acque internazionali.

L’alleanza con i militari libici ha anche dei risvolti negativi. Medhane comprende che quel patto è un filo sottile, ed è un po' preoccupato. Ormai a Tripoli lavora solo lui e questo privilegio potrebbe far scattare la rivalsa degli altri “colleghi” o esporlo a ritorsioni o ricatti da parte di quelle forze militari che ad oggi sostengono le sue attività.

Quindi, spiega il capo dei trafficanti “gli altri potrebbero avere dei brutti pensieri”. Ha paura e pensa di lasciare il paese. Per questo, parlando con i suoi collaboratori, immagina di trasferire parte delle sue attività sulle coste egiziane – al telefono sostiene di aver organizzato già dei viaggi di migranti da quel Paese – e ammette di essere stanco di questo lavoro. Pensa di mollare, non subito però. Lo farà soltanto alla fine della stagione 2015. Poi, Medhaine immagina di ritirarsi dagli affari e – da buon cristiano qual si ritiene – aggiunge che “appena lascerà di lavorare creerà dei problemi tra quelli che continueranno a fare questo lavoro per far si che tutto finisca”.

Intanto continua ad accumulare denaro. Per ottenerne sempre di più , il suo staff ha messo a punto un sistema di catalogazione e riconoscimento alfanumerico per i migranti. Quei codici servono a spostare come pacchetti centinaia di persone alla volta e fare in modo che le quote del “mercato” vengano distribuite in modo equo tra tutti gli operatori. I migranti si comprano e si vendono anche a seconda della disponibilità delle barche.

Grazie a questo sistema, la Cupola può arrivare dappertutto e bucare non soltanto le frontiere dei paesi europei, ma anche quelle degli Stati Uniti, con clienti da portare a destinazione grazie a documenti e permessi falsi da ottenere al confine con il Messico.

Per Medhaine e i suoi complici il premio è un fatturato milionario, stimato in oltre 30 milioni di euro al mese. Dove finiscono quei soldi? Medhaine ne ha accumulati così tanti da poter immaginare di di ritirarsi dagli affari. Il suo emigrare in Svezia, dove vivono la moglie e la figlia.

Prima, però, da bravo manager, il boss eritreo ha bisogno di un luogo sicuro per proteggere il suo tesoro. Con il metodo dei trasferimenti moneygram o con il sistema “hawala”, il gruppo di Medhaine riceve fondi da tutti i continenti.

Le tracce di queste operazioni finanziarie portano anche in America, Inghilterra, Germania, Norvegia e Israele. “Come posso gestire i miei soldi ?”chiede il trafficante a un suo complice e domanda anche se una volta arrivato in Svezia potrà avere problemi per il suo passato. Gli verrà suggerito di aprire un conto a Dubai da lì fare rientrare i soldi in Europa e di non preoccuparsi del governo svedese .Per Medhaine c’è un solo monito: “non mettere piede in Italia – avverte un suo collaboratore al telefono – lì le forze dell’ordine sono cattive e ti arrestano”.

Ha collaborato Marina Pupella