Inchiesta

Così la politica Ue sulle armi ha aperto la porta agli attentati e dato gli strumenti ai terroristi

di European Investigative Collaborations (Eic)   18 marzo 2016

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Nonostante gli avvertimenti sui rischi per la sicurezza, la politica della libera circolazione delle merci ha facilitato la vendita di armi: 150 morti e 377 feriti il bilancio del 2015. L'inchiesta realizzata da un pool di giornali europei

È il 9 gennaio 2015, uno studente di 20 anni, Yohann Cohen, giace sul pavimento del supermercato kosher Hyper Cacher nel XX arrondissement di Parigi. Un uomo lo ha appena colpito alla testa e al torace con un fucile d'assalto. Yoran urla per il dolore. Il terrorista rivolgendosi agli altri ostaggi, chiede loro che cosa avrebbe dovuto fare di lui. "Non ucciderlo", gli rispondono. Troppo tardi.

Il terrorista islamico Amedy Coulibaly, eseguiva un ordine: uccidere gli ebrei che compravano cibi kosher alla vigilia del sabato. Fedele seguace dell’Is, Coulibaly aveva precedenti penali fin da giovane e, durante la sua permanenza in carcere, aveva risposto alla chiamata al jihad. In suo possesso sono stati trovati due fucili d'assalto Ceska VZ 58. Uno era un modello più corto, modificato per sparare a salve, e poi riattivato come arma letale: era questa la sua arma preferita.

Un fucile di questo tipo non avrebbe mai dovuto trovarsi sul mercato. Ma grazie a una scappatoia nella legislazione dell'Unione europea, è possibile acquistare legalmente armi a salve tramite i siti web del continente. Armi che possono essere facilmente convertite in strumenti letali ed essere così vendute a organizzazioni criminali, alcune delle quali sono collegate alle cellule terroristiche dell’Is.

Si tratta di armi che provengono da Paesi dell'ex blocco comunista. I Balcani e le nazioni dell'Europa orientale sono ancora un enorme fonte di armamenti di seconda mano per i terroristi e le reti criminali.

E’ un commercio fiorente, perché le armi arrivano nei paesi Ue da nuove aree di conflitto, come l'Ucraina o l’Iraq. E da zone calde come l’Egitto e la Tunisia.

Un gruppo internazionale di giornalisti, che fanno parte della nuova rete dell’Eic (European Investigative Collaborations), ha condotto un’inchiesta durata tre mesi per documentare come le armi siano arrivate ai terroristi dell'Is attraverso un sito web registrato in Slovacchia. E per spiegare in che modo l’incapacità di Bruxelles di imporre chiare direttive abbia facilitato la vendita di fucili e mitragliatori d'assalto.

Terrorismo domestico, armi domestiche
150 morti e 377 feriti: questo è il bilancio degli attacchi terroristici in Europa occidentale nel corso del 2015. Il calcolo comprende l’assalto alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e al supermercato Hyper Cacher.

Ci sono state inoltre la strage di novembre al Bataclan Club di Parigi e le sparatorie nelle strade vicine. A questi va aggiunto l’attacco, nel mese di febbraio, contro una sinagoga e un caffè culturale a Copenhagen. E va ricordato anche il fallito attentato sul treno ad alta velocità della compagnia Thalys da Amsterdam a Parigi, nel mese di agosto, che è stato sventato dai passeggeri.

In questo periodo, l'Unione Europea disponeva di tutti gli strumenti e le informazioni che in teoria avrebbe potuto impedire ai terroristi di entrare in possesso delle armi che hanno poi utilizzato. Le autorità comunitarie si sono però dimostrate incapaci di intervenire anche a causa della loro devozione assoluta al principio della libera circolazione delle merci.

Una storia di ritardi
Già nel 1991 l'Ue aveva cercato di regolare, per la prima volta, il commercio di armi su scala continentale. Venne così approvata la Direttiva sulle armi da fuoco, che riguardava principalmente il libero scambio sul mercato interno.

In quell’epoca, le armi a salve – note anche come armi di dissuasione – non erano nemmeno contemplate dalla legislazione perché non venivano considerate armi da fuoco.

Il 21 maggio 2008 la Commissione europea annunciò l'imposizione di una regolamentazione più severa in tutti gli Stati membri. L'obiettivo era quello di stabilire che se gli appassionati di armi vogliono appendere come decorazione per il salotto di casa un Kalashnikov fuori uso, resta però rigorosamente proibito riattivarlo con proiettili veri. Per questo tipo di armi, secondo la Direttiva 2008/51/EC, l'Unione europea prescriveva norme più rigorose. "La Commissione emanerà direttive comuni sulle norme e le tecniche di disattivazione, per assicurarsi che le armi da fuoco messe fuori uso restino inutilizzabili per sempre".

Mancavano però due elementi fondamentali: innanzitutto, un termine ultimo sull’entrata in vigore di queste norme in tutti gli Stati membri; in secondo luogo, le cosiddette armi di dissuasione - come quelle impiegate nelle sparatorie di Parigi – non erano contemplate nella direttiva. Queste ultime vengono di solito utilizzate sui set cinematografici, nelle parate o anche da persone che vogliono atteggiarsi a Rambo sul loro profilo Facebook. Questa categoria rappresenta una falla nella legislazione Ue. Non si tratta di armi da fuoco perché non sparano proiettili, né di armi disattivate, perché possono comunque esplodere dei colpi, seppure a salve.

La nuova direttiva nel 2008 prevedeva quindi norme più severe per le armi da guerra completamente disattivate, ma nessuna regolamentazione per le armi che possono sparare a salve. In effetti però, fino al 2015, le autorità comunitarie non sono neppure riuscite a imporre le normative più rigorose per le armi disattivate.

Nessun intervento sulle armi a salve
Nel 2010, la Commissione osservò che gli esperti, invitati dagli europarlamentari, avevano spiegato l'uso potenzialmente criminale di armi di dissuasione (o a salve) che potevano essere convertite in armi vere e proprie. ?Ma stabilì che i "casi segnalati" in cui armi di questo tipo sono state utilizzate "con l'intenzione di intimidire o inscenare una rapina" devono essere valutati tenendo presente che all'interno dell'Unione Europea circolano un "numero relativamente elevato" di armi di dissuasione, come pure di altre armi non letali come quelle ad aria compressa.

La Commissione ha quindi cercato soprattutto di salvaguardare il principio della libera circolazione delle merci in Europa, visto che la produzione e il commercio di armi costituiscono un’attività economica legittima di ampie dimensioni nel Vecchio Continente.

?Il documento di lavoro dell’Ue stabiliva infatti che "le norme nazionali che disciplinano la commercializzazione e l'uso di repliche [con molteplici riferimenti anche alle armi di dissuasione] devono rispettare il principio della libera circolazione delle merci (articoli 34-36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, TFUE)". ?L'articolo 34 vieta provvedimenti nazionali che possono o potrebbero, direttamente o indirettamente, ostacolare gli scambi all'interno dell'Unione.

?A questo proposito, i regolamenti di uno Stato membro che vietano l'importazione, la fabbricazione, la vendita o l'uso di repliche di armi da fuoco potrebbero "costituire un ostacolo agli scambi ai sensi dell'articolo 34 del TFUE". ?In questo stesso documento vengono però menzionate le preoccupazioni degli esperti circa la riattivazione e l'uso di queste armi letali. In pratica, un'arma proveniente dagli arsenali del vecchio blocco comunista viene "disattivata" da un armaiolo e messa fuori servizio per essere convertita in un’arma a salve, per poter poi essere rivenduta all'interno dell'Ue. In questo modo, l’arma diventa quindi "legittima". Il problema è che in un secondo tempo la stessa arma può entrare nei circuiti della criminalità dove viene modificata in modo che possa sparare proiettili veri.

Nel settembre del 2013 la Slovacchia ha lanciato un allarme, inviato a tutte le autorità di polizia europee, per far presente quanto sia facile trasformare armi di dissuasione in strumenti per uccidere. La Slovacchia era un paese con normative poco rigorose sulla trasformazione di armi a salve in armi in grado di uccidere. Le autorità di polizia erano perciò preoccupate e pubblicarono un poster con 16 foto, che illustrava in dettaglio come armi di dissuasione possono essere riattivate con lievi modifiche: quali, ad esempio, la rimozione di due aste di acciaio che bloccano la canna. In Slovacchia era facile comprare un'arma simile in qualsiasi negozio specializzato, l'unica condizione era quella di avere 18 anni e di poter esibire un documento d'identità.

Il poster mostrava una pistola che era stata trasformata in un’arma a salve da una fabbrica di armi slovacca chiamata KolArms e un Ceska VZ 58. Entrambe le armi erano state in seguito riattivate illegalmente.
Questo ed altri contributi da parte di esperti della materia sono stati ascoltati a Bruxelles.

Nell’ottobre del 2013, secondo quanto dichiarato dalla Commissione europea, l'uso di armi di dissuasione "illegalmente trasformate in armi letali" era segnalato in alcuni resoconti di polizia. Inoltre, sempre la Commissione, rendeva noto di essere venuta a conoscenza di "differenze molto importanti" fra i vari Stati membri "sulle norme di disattivazione" e si citavano anche omicidi commessi con armi simili. Dopo aver valutato il rapporto, alla fine del 2014, alle autorità di Bruxelles era però sfuggito un punto: le norme di disattivazione vengono applicate solo alle armi da fuoco che sono rese totalmente inutilizzabili. Così, ancora una volta, non si poteva applicare alle armi a salve. L'allarme lanciato dalla polizia slovacca si era perso nei corridoi dell’Ue. Ciò che non è chiaro è se ci fosse una consapevole intenzione di consentire questa scappatoia.

Nel maggio del 2014 si è svolta una riunione di esperti dell’Ue sul mercato nero delle armi, nel corso della quale un funzionario della Direzione generale per le imprese e l'industria ha dichiarato che, sulla questione dei provvedimenti che si dovrebbero prendere contro gli Stati membri che non attuano la direttiva dell’Ue del 2008, sono in corso alcune inchieste riguardanti le possibili inadempienze, ma finora nessuna azione concreta è stata intrapresa. "E’ stato rilevato che la direttiva si basa sul principio di armonizzazione minima". In altre parole, la direttiva non aveva denti.
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Dopo la serie di attentati a Parigi e Copenaghen, il 18 Novembre 2015 l'Unione europea ha annunciato una proposta per modificare la direttiva sulle armi da fuoco. In questo modo ha voluto inviare un segnale forte che una modifica della normativa sulle armi negli Stati membri dopo gli attacchi terroristici era all'ordine del giorno.
Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea, ha accompagnato l'annuncio con un paio di parole che rivelavano più di quanto intendesse: "Non accetteremo più che gruppi della criminalità organizzata possano ottenere l'accesso ad armi da fuoco". Questo sembrava implicare che in passato l'Ue avesse accettato tale possibilità.

La minaccia degli arsenali clandestini
E' evidente che è necessaria un'ulteriore regolamentazione. Dallo scorso anno, gli investigatori si sono resi conto che il problema non è più soltanto quello delle armi a salve come le Ceskas utilizzate da Coulibaly; o le sei pistole Tokarev che hanno seguito lo stesso percorso dalla disattivazione alla trasformazione in armi a salve e poi di nuovo in armi da fuoco.

Se i terroristi o i criminali in Europa vogliono mettere le mani su un'arma hanno un vasto arsenale tra cui scegliere, nascosto da una rete di fornitori impenetrabile.

Ci sono vecchie pistole che possono ancora uccidere, come ad esempio il revolver russo Nagant, modello 1895, realizzato nel 1932, che è stato trovato in un appartamento di Coulibaly. O il non marcato FN Browning belga, ottenuto da Abdelhamid Abaaoud, la mente dietro gli attacchi al Bataclan club di Parigi. Ci sono le armi rubate all’esercito o alla polizia, utilizzate durante l’assalto di Copenaghen che ha lasciato sul terreno due morti e cinque feriti.

Pericolosi sono inoltre i veri kalashnikov, immagazzinati in cantine private in tutti i Balcani, che finiscono per essere venduti nei bazar e poi viaggiano verso l'Europa occidentale nascosti in bus turistici o nelle automobili.
Dopo l'attacco contro Charlie Hebdo, in cui sono rimaste uccise 12 persone, due di questi AKM sono stati trovati dalla polizia in un’azienda di segnaletica pubblicitaria di Dammartin-en-Goele nell’Ile de France. E dopo l'attacco di novembre al Bataclan, che ha seminato 130 morti, altri sei kalashnikov di questo tipo sono stati trovati nel club e nelle auto usate dai terroristi per la fuga.