Il procedimento sulle informazioni trapelate dalla Santa Sede va verso ?le udienze finali. Tra rivelazioni, capovolgimenti e colpi di scena. Come l’ipotesi di complotto internazionale per monsignor Vallejo Balda

Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi
«O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli stolti che costruiscono depositi per conservare tesori che periscono, lasciando Lazzaro morire di fame alle loro porte...». La via Crucis con il papa al Colosseo il giorno del venerdì santo in cui la comunità cristiana fa memoria della passione di Gesù è diventata l’occasione per la Chiesa di fare pubblica ammissione delle sue colpe. Fu così nel 2005 quando in una delle meditazioni il cardinale Joseph Ratzinger si scagliò contro la «sporcizia» del clero: un mese dopo fu eletto papa con il nome di Benedetto XVI. Ed è stato così il 25 marzo, quando Francesco ha visto nel calvario la presenza di chi accumula tesori e ricchezze e i «ministri infedeli» che «invece di spogliarsi delle proprie vane ambizioni spogliano gli innocenti della propria dignità», gli ecclesiastici che hanno tradito il messaggio cristiano. E, forse, anche la sua persona.

Le parole di Bergoglio su chi costruisce «depositi» per conservare «tesori che periscono», oltre che una citazione del capitolo 12 del Vangelo di Luca, possono applicarsi al colpo di scena raccontato da "l’Espresso", l’apertura di un’inchiesta vaticana a carico di uomini vicini al cardinale Tarcisio Bertone, con le accuse di peculato, appropriazione e uso illecito dei fondi della fondazione Bambino Gesù. Il rovescio senza precedenti - il Vaticano che indaga sul sistema che ruota attorno all’ex segretario di Stato, il numero due del romano Pontefice - arriva nella fase finale del processo VatiLeaks, la prossima udienza è fissata per il 6 aprile. Dopo mesi di memoriali e di veleni, in aula e fuori, si può cominciare a trarre qualche conclusione.
Esclusivo
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31/3/2016

La prima: monsignor Lucio Vallejo Balda, il prelato spagnolo già segretario della Cosea, la Commissione di studio sulle attività economiche e amministrative della Santa Sede, imputato numero uno del processo, ha dichiarato di fronte al tribunale vaticano di non aver subito minacce o pressioni da parte del giornalista de "l’Espresso" Emiliano Fittipaldi, autore di "Avarizia" e co-imputato con l’accusa di aver partecipato alla diffusione di documenti riservati. «La mia situazione era di ansia e ho interpretato le parole che mi sono state rivolte in un modo che uno arriva pure ad avere paura di fare delle domande. Ho interpretato alcune sue parole come se sapesse chissà quante cose nei miei confronti e quindi ho temuto che potessi essere ricattato, ma non ci sono state minacce dirette e concrete», ha spiegato Balda. Un’ammissione che nei fatti scagiona Fittipaldi dall’accusa di essersi impossessato di documenti riservati ricorrendo a mezzi diversi da quello - legittimo, anzi, doveroso - di un giornalista che cerca conferme al suo lavoro: fare domande. E il contributo di Vallejo si è limitato a due fogli su venti per un totale di appena sette righe nel libro di Fittipaldi.

Più significativo l’attacco del monsignore contro la sua ex amica Francesca Immacolata Chaouqui, come lui inserita nella Cosea e imputata nel processo: «Si vantava di avere informazioni sulla mia vita privata, le proprietà, i miei problemi con il fisco». Era da lei che Balda si sentiva minacciato, e dalla sua rete di amicizie influenti, a partire da Luigi Bisignani. Il prelato ha dichiarato di sentirsi terrorizzato, li considerava un gruppo pericoloso, temeva che fossero ai vertici dei servizi segreti. Quanto al secondo giornalista imputato, Gianluigi Nuzzi, autore di "Via Crucis", Balda ha sottolineato i suoi rapporti stretti con la Chaouqui e ha riconosciuto di avergli passato cinque fogli con 87 password: «Quella situazione l’aveva creata Francesca e il gruppo oscuro che si muoveva dietro di lei».

La seconda conclusione arriva dal materiale ritrovato nel cellulare e nel computer di Vallejo Balda dalla gendarmeria vaticana. E disegna il profilo di un tentativo di complotto internazionale contro il papa, dai tratti oscuri e farseschi. Tra il dicembre 2014 e il gennaio 2015 il monsignore spagnolo volò a Dubai in compagnia dell’ex colonnello dei Ros Giuseppe De Donno, sotto processo per la trattativa Stato-mafia. Secondo la ricostruzione della gendarmeria durante il viaggio Balda incontrò un agente dei servizi cinesi portando in dote il segreto più custodito della Santa Sede, lo stato di salute del papa. Una cartella clinica con un elettrocardiogramma e le analisi del sangue, intestata a Jorge Mario Bergoglio, che però apparteneva alla mamma del prelato, coetanea del papa. Una truffa pacchiana, in linea con quanto sta emergendo sulla personalità del monsignore.

Nessuno in Vaticano ha messo sotto inchiesta Balda per questa azione spericolata. Un mese dopo, invece, il prelato è stato arrestato in coincidenza dell’uscita dei libri di Fittipaldi e Nuzzi. Un’altra grave contraddizione del processo VatiLeaks arrivato alle udienze finali. Molto attesa quella in cui deporrà Francesca Immacolata Chaouqui che già ha promesso su Facebook nuove rivelazioni: saranno, ovviamente, clamorose, com’è nello stile del personaggio. E poi, finalmente, ci sarà la sentenza. Che a questo punto non può sfuggire ai paletti fissati anche dai giuristi più vicini alla Santa Sede.

«Il giudizio che deve essere dato dai magistrati è se questi documenti siano stati acquisiti in maniera corretta, se sono cose provenienti da reato, se vi è una partecipazione dei giornalisti alla sottrazione illegale, starei per dire delittuosa, di questi documenti», aveva detto a proposito dell’imputazione contro i giornalisti l’ex presidente della Corte costituzionale Cesare Mirabelli a "Radio Vaticana". Nel caso di Fittipaldi quelle accuse escono demolite dal dibattimento. Per il resto, andranno giudicati i ministri «infedeli»: alla Chiesa e al papa. E poi, nel caso, chi ha costruito «depositi con tesori che periscono».