
Nello sterminato archivio dello studio legale Mossack Fonseca c’è una società delle Isole Vergini britanniche amministrata da Rodolfo De Benedetti, presidente del gruppo Cir, la holding che controlla l’Editoriale l’Espresso. E un altro file della banca dati panamense porta a Domenico Bosatelli, patron della Gewiss di Bergamo. Molte pagine di documenti sono dedicate a Silvio Garzelli, un manager che in passato ha amministrato numerose attività internazionali del gruppo Ferrero. E anche l’immobiliarista Daniele Bodini, con base a New York, promotore di importanti operazioni a Milano e Firenze, viene indicato come “director” di una società offshore.
Sono 80 in tutto i nomi della nuova lista pubblicata in queste pagine. Nomi che si aggiungono ai 200 già rivelati nelle scorse settimane. L’elenco, come i due precedenti, è il frutto dell’analisi dell’archivio panamense. L’enorme banca dati è stata recapitata un anno fa da un informatore al quotidiano tedesco “Süddeutsche Zeitung” e poi condivisa con la rete mondiale di reporter riuniti nell’International Consortium of Investigative Journalists (Icji), di cui “l’Espresso” è partner esclusivo per l’Italia.
Migliaia di documenti che in qualche modo portano al nostro Paese sono stati letti alla luce dei dati disponibili nelle banche dati commerciali per ridurre al minimo il rischio di errori dovuti ad omonimie, trascrizioni sbagliate, indirizzi imprecisi. Anche un nome d’arte può fare la differenza: la pornostar Jessica Rizzo compare negli archivi come Eugenia Valentini.
MISTERI DI PANAMA
Va detto che in molti casi è stato impossibile risalire all’identità dei reali titolari delle offshore. Il capitale delle loro società è rappresentato da titoli “al portatore” e la proprietà spetta a chiunque possieda fisicamente l’azione, senza alcuna pubblicità o registrazione. Rimangono quindi anonimi più di metà dei circa 800 italiani che si sono affidati alla premiata ditta Mossack Fonseca. Ma anche in decine di altri casi la trasparenza si rivela soltanto apparente: come titolare della offshore, nei registri di Panama compare una società fiduciaria, italiana o straniera. Cioè una sigla-contenitore che viene utilizzata proprio per schermare legalmente il cliente, che resta l’unico vero proprietario. Anche in questo caso, l’anonimato è garantito: nell’archivio compare solo il nome della fiduciaria, che però serve proprio a proteggere l’identità del titolare delle azioni. È come avere due specchi che si riflettono l’uno nell’altro. Gli elenchi pubblicati da “l’Espresso” in queste settimane identificano per nome e cognome solo i beneficiari o gli amministratori delle offshore pubblicati “in chiaro”, dopo aver svolto le necessarie verifiche. Un’analisi che ha richiesto diverse settimane.
DE BENEDETTI E MCINTYRE
Il nome di Rodolfo De Benedetti compare nei Panama Papers collegato alla McIntyre holding Ltd, registrata nel 1995 a cura di Mossack Fonseca nel paradiso fiscale delle Isole Vergini britanniche. Il figlio di Carlo De Benedetti, presidente del gruppo editoriale l’Espresso, nel 1995 è stato nominato amministratore di McIntyre, di cui però non è beneficiario economico. L’altro director era Antoine Bernheim, niente a che fare con il famoso finanziere francese, a lungo presidente delle Assicurazioni Generali, scomparso nel 2012. Il Bernheim citato nell’archivio panamense è un manager con base a New York che si occupa di hedge fund.
«La società è stata chiusa da molti anni», dice De Benedetti. «In passato» spiega, «McIntyre si era occupata di investimenti finanziari nel continente americano gestendo antichi risparmi di famiglia e la posizione di questi ultimi fu regolarizzata con il fisco italiano nel 2003». In quell’anno, secondo quanto risulta dalle carte, De Benedetti ha rassegnato le dimissioni da amministratore della offshore delle Isole Vergini britanniche, che non faceva parte del gruppo Cir quotato in Borsa. «Per quanto mi riguarda», dichiara De Benedetti, «non sono mai stato azionista né beneficiario economico di McIntyre holding. Il mio nome compare in quanto consigliere di amministrazione. Infine, ritengo opportuno sottolineare che da sempre dichiaro tutti i miei redditi e pago le tasse in Italia».
LA GALASSIA DI MISTER GEWISS
Nelle carte di Panama troviamo decine di riferimenti a Domenico Bosatelli, 82 anni, fondatore, presidente e unico azionista del gruppo Gewiss di Bergamo, marchio con attività in tutto il mondo nell’impiantistica elettrica, dai semplici interruttori fino ai sistemi complessi per l’industria e la domotica. Di recente l’azienda lombarda ha tra l’altro associato il suo nome a quello dell’Expo 2015 di cui è stata sponsor ufficiale e partner del Padiglione Italia. I Panama Papers disegnano i contorni di una parte dell’attività di Bosatelli fin qui rimasta nell’ombra, una galassia di società offshore che va dai Caraibi a Montecarlo.
Nelle Isole Vergini britanniche troviamo la Koster Ltd, registrata da Mossack Fonseca nel 1998. All’epoca l’unico azionista era Polifin sa, società lussemburghese che fa capo a Bosatelli. Passano tre anni e prende il via una girandola di sigle. Nel ruolo di azionisti o amministratori troviamo tra l’altro la Koster Lda dell’isola di Madeira (territorio a fiscalità privilegiata sotto sovranità portoghese), la Koster Im del principato di Monaco e infine, nel 2015, la bergamasca Polibis spa, di proprietà di Bosatelli. Per molti anni, la stessa Gewiss, 300 milioni di ricavi, quotata in Borsa dal 1988 al 2011, ha fatto capo ad alcune holding con base in Lussemburgo. Si comincia con la Unibis, che nel 2002 cede il posto a Polifin. Negli ultimi anni la mappa del gruppo è cambiata più volte. Nel 2007, la Polifin del Granducato è stata rimpatriata in Italia e pochi mesi dopo ha ceduto una parte delle sue attività alla neonata Polibis spa. Altro giro, altra corsa: nel 2010 Polibis ha assorbito la Koster di Madeira, che poche settimane prima aveva trasferito la propria sede a Bergamo.
Da notare che nel 2011 Bosatelli ha promosso un’Opa su Gewiss per togliere l’azienda di famiglia dalla Borsa. E nel ruolo di compratore è scesa in campo anche Polifin, la holding lussemburghese nel frattempo diventata italiana. «La Koster delle Isole Vergini britanniche è proprietaria unicamente di un immobile a Montecarlo», ha spiegato a “l’Espresso” un portavoce di Bosatelli. Precisando che Polibis, come azionista unica della Koster, comunica al Fisco italiano i dati della propria società offshore, tassata come se avesse sede nel nostro Paese.
L’EX TOP MANAGER FERRERO
Silvio Garzelli, classe 1940, viene accostato dalle carte di Mossack Fonseca alla offshore Glenhouse Business Incorporated con sede a Panama, di cui risulta amministratore e azionista unico. Garzelli vanta una lunga carriera nelle file del gruppo Ferrero. Dal 1995 al 2009 lo troviamo tra gli amministratori della storica capofila delle attività italiane, con sede ad Alba. E negli stessi anni ha lavorato anche per alcune delle holding internazionali del colosso della Nutella, in Lussemburgo, Svizzera e Irlanda. In base ai documenti dell’archivio, la offshore Glenhouse di Garzelli non è comunque riconducibile in nessun modo al gruppo Ferrero o alla omonima famiglia che controlla l’azienda dolciaria.
DA SAN MARINO ALL’ONU
Daniele Bodini è un uomo d’affari che ha fatto fortuna grazie a operazioni immobiliari milionarie e risiede da molti anni a New York dove dirige il gruppo American Continental Properties (Acp). Nel frattempo Bodini, nativo di Erba, in provincia di Como, è riuscito anche a conquistare un seggio alle Nazioni Unite, dove rappresenta la repubblica di San Marino. Nei Panama Papers il suo nome è associato a quello di una offshore delle Isole Vergini britanniche, la Raf holdings Ltd.
Un documento del 2009 segnala che l’imprenditore italiano è stato nominato “director” della società. Insieme a lui troviamo anche Gabriele Bravi, commercialista coinvolto l’anno scorso nell’inchiesta per riciclaggio che ha portato in carcere il fiduciario svizzero Filippo Dollfuss de Volckersberg, indicato dalla procura di Milano come l’amministratore dei patrimoni nascosti al fisco di molte ricche famiglie italiane.
Bodini ha messo radici negli Usa, ma l’Italia non è affatto scomparsa dai suoi radar. A Firenze lo troviamo tra gli investitori che 20 anni fa hanno comprato la grande area di Novoli, nella periferia della città, dove sorgeva una grande stabilimento della Fiat. I piani di sviluppo della zona sono stati al centro di innumerevoli polemiche che hanno coinvolto anche la giunta quando era guidata da Matteo Renzi. A fine 2004 Bodini è uscito dal consiglio di amministrazione della Immobiliare Novoli, dove però sono ancora presenti altri rappresentanti della sua famiglia. A Milano invece l’imprenditore con base a New York è entrato nel board della Immobiliare Porta Volta, che sta gestendo un grande progetto di riqualificazione nel centro della città. Anche in questo caso Bodini non è più amministratore della società, ora controllata dalla famiglia Borromeo.
NAPOLI IN PARADISO
Sono invece due le offshore citate nell’archivio in cui compare Rossella Raiola, amministratrice unica e azionista della Icg2, un’azienda di costruzioni con base a Napoli che negli anni scorsi si è aggiudicata numerosi appalti pubblici in Campania e altrove. Raiola figura tra i “director” della Anstey Finance delle Isole Vergini britanniche e della Dishford delle Seychelles. Insieme a lei, nel board della Dishford, troviamo un altro Raiola, Raffaele, anche lui costruttore, salito alla ribalta delle cronache nel 2011 quando rilevò un ramo d’azienda della Btp di Riccardo Fusi, l’imprenditore fiorentino amico di Denis Verdini. Raiola prese in carico alcuni degli appalti assegnati alla Btp ormai prossima al dissesto, come per esempio la linea 2 della Tramvia di Firenze. Un’opera di cui è stata posta la prima pietra nel novembre 2011 dall’allora sindaco Renzi insieme allo stesso Raiola. È finita male. Nel 2013 la Impresa spa dell’imprenditore napoletano è arrivata al capolinea dell’amministrazione straordinaria. E i lavori a suo tempo ceduti dalla Btp di Fusi sono ancora in alto mare.
HOUNI IL LIBICO
Porta in Italia anche una offshore delle Isole Vergini britanniche riconducibile a Mohamed Houni, un manager libico trapiantato a Roma legato alla cerchia dell’ex dittatore Gheddafi. La società, creata nel marzo 2002, si chiama Chemistry and Technology Fin Ltd. Dal 2001 al 2006 Houni è stato presidente della società italiana, quasi omonima, la Chemistry & Technology Int. Quest’ultima aveva sede a Roma e commerciava in prodotti chimici e petroliferi con la Libia. Il capitale della offshore era diviso in quattro pacchetti separati di azioni, tutti però registrati a nome di Houni. Nell’aprile 2006, un mese prima della liquidazione della Chemistry italiana, le quote della società delle Isole Vergini britanniche vengono riunite in un solo certificato azionario, sempre intestato a Houni. Il manager libico risulta cliente diretto, senza intermediari, della filiale peruviana dello studio Mossack Fonseca. Per una volta, a quanto pare, non c’è di mezzo una banca.