Inchiesta

Così l'indagato per riciclaggio ha fregato l'Onu

di Lorenzo Bagnoli, Lorenzo Bodrero e Craig Shaw    27 luglio 2016

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Curio Pintus ha ideato un imbroglio nei confronti delle Nazioni Unite, ottenendo il mandato di raccogliere fondi per una campagna contro Ebola. Ecco come ha fatto

La sede delle Nazioni Unite è in festa, il 2 marzo 2015: nel Palazzo di Vetro, a New York, ci sono starlette della tv americana e cantanti africani. È in corso il concerto per il lancio di una campagna miliardaria: "Stop Ebola and build for the future". Scopo: raccogliere denaro tra Banca mondiale, Stati e privati per costruire ospedali e inviare medicinali nelle aree colpite dal virus. Il segretario dell’Onu, Ban Ki Moon, annuncia in quest’occasione "Ebola response", il piano generale per affrontare l’emergenza. "Stop Ebola and build for the future" ne è una parte.

General contractor del progetto è un gruppo finanziario con sede a Las Vegas, in Nevada: Pintus Group. Il proprietario, Curio Pintus, è un ingegnere nato in Sardegna nel 1944. Nel 2003 è stato coinvolto nel caso Telekom-Serbia, un dossieraggio ai danni dell’Ulivo di Romano Prodi. Lo stesso Pintus nel 2001 è stato condannato in via definitiva a tre anni di carcere per riciclaggio: ripuliva i proventi del narcotraffico per la cosca Morabito, i boss calabresi che all’epoca avevano trasformato l’Ortomercato di Milano in un hub della droga. Oggi Pintus Group si presenta come una merchant bank, una banca d’affari americana, ma "l’Espresso" può dimostrare che non ha le licenze negli Usa. Ma allora come è possibile che un gruppo come questo sia stato scelto come contractor di un progetto miliardario presentato all’Onu?

Anche il testimonial del concerto del 2015 è italiano: è l’ambasciatore Angelo Antonio Toriello, che annuncia il maxi-incarico al Pintus Group (senza gara d’appalto) sempre al Palazzo di Vetro. Alle Nazione Unite, Toriello rappresenta un piccolo Stato africano, São Tomé e Principe, un arcipelago che vive di turismo e cacao. Il valore del progetto, sulla carta, è astronomico: due miliardi e mezzo di dollari. «La parte economica sarà gestita in accordo con la Banca mondiale», dichiara l’ambasciatore nella conferenza stampa, «mentre il general contractor sarà Pintus Group, una società riconosciuta e importante, guidata da Curio Pintus, persona rinomata non solo in Italia».

Di sé, Toriello offre questo autoritratto: nato 53 anni fa in Francia da genitori originari di Mercato San Severino (Salerno), comincia la sua carriera in tv nella trasmissione "Quelli della notte", dove impersona il cantante Marvin. Poi va in India per promuovere progetti di cooperazione internazionale e, dopo aver conosciuto il Dalai Lama, fonda l’associazione "Project mistic connection", ispirata ad una forma di sincretismo tra buddismo e francescanesimo. All’epoca Toriello si fa chiamare Fratello Emmanuel.


Agli inizi del 2000 molla il saio e comincia una carriera da criminologo e giornalista investigativo con una sua società di comunicazione, Paradoxxmedia, con sede a Londra. Sulla carta, dichiara di collaborare con la Cnn, ma con il network americano non ha mai firmato un pezzo. E non risulta avere titoli da criminologo. Comunque nel 2012 diventa davvero ambasciatore di São Tomé all’Onu, per nomina del presidente Manuel Pinto da Costa. Sull’isola, oggi, né il console onorario italiano, né fonti vicine al governo sanno spiegarsi come abbia fatto. Da poco all’ex cantante è stato tolto il passaporto diplomatico perché, come spiegano fonti locali, «al governo di São Tomé non sono contenti di come si sta comportando». E alla fine anche il maxi-progetto "Stop Ebola" è rimasto lettera morta, come conferma lo stesso Toriello, che rivendica: «L’ho bloccato io dopo aver fatto verifiche su Pintus».

All’inizio l’obiettivo delle tre fondazioni collegate alle Nazioni Unite che hanno promosso il concerto-presentazione doveva essere solo mediatico: far parlare di Ebola. Per avere la disponibilità del marchio dell’Onu, serviva un ambasciatore-testimonial: di qui il ruolo di Toriello. Però secondo Gordon Tapper, della Give Them a Hand Foundation, le tre fondazioni sono state tenute all’oscuro del progetto di raccolta fondi tramite Pintus Group. Perché questo silenzio? L’interessato non risponde, ma spiega che Pintus progettava di distribuire i fondi ai Paesi colpiti dal virus attraverso il sistema Dtcc (Depository Trust & Clearing Corporation).

«Si tratta di una clearing house, una camera di compensazione», spiega l’esperto Gian Gaetano Bellavia consulente antiriciclaggio della Procura di Milano: «Grandi quantitativi di soldi si muovono attraverso strumenti informatici, per l’utilizzo dei quali si paga una commissione». Nel caso di Pintus Group, era previsto un margine dell’uno per cento: un guadagno enorme, viste le cifre in gioco. Ma di fatto la società del finanziere sardo non ha mai avuto accesso al sistema Dtcc. A questo punto resta da capire il perché di un progetto del genere.

Tre ex consulenti di Pintus Group spiegano come funziona: lancia grandi progetti, soprattutto umanitari, che vengono utilizzati come strumento di accreditamento con istituti finanziari. I contratti firmati, anche se poi restano sulla carta, spesso sono sufficienti a generare fiducia in aziende bisognose di prestiti. Pintus offre come garanzie altri "progetti ad alto rendimento": complessi strumenti finanziari che dovrebbero generare guadagni eccezionali. E così riesce a incassare soldi veri da imprenditori privati e banche. Le tre fonti interne al gruppo concordano sul numero di imprenditori che si troverebbero in queste condizioni: oltre cinquanta. E sostengono che, in questo modo, Pintus sarebbe riuscito a ottenere oltre 140 milioni, depositati a Londra.

Uno dei tre ex collaboratori mostra anche una serie di documenti, utilizzati dal gruppo di Pintus. Il più clamoroso è un assegno di ben duecento milioni di euro, intestato alla Bank of Ireland, a cui è allegata una lettera. «La nostra banca ignora l’esistenza di questa transazione», risponde però l’addetta alla comunicazione dell’istituto, Pippa Hadley: «La lettera di conferma è un documento falso: noi non conosciamo alcun Pintus Group».

Attraverso un altro informatore, "l’Espresso" ha ottenuto una bozza di contratto per un nuovo progetto in Senegal targato Pintus Group. L’offerta è destinata al governo di Dakar e alla Banca Centrale degli Stati dell’Africa Occidentale (Bceao). L’obiettivo dichiarato è finanziare, attraverso il solito sistema Dtcc, un progetto di sviluppo da oltre cento miliardi di dollari. Secondo l’esperto Gian Gaetano Bellavia, però, «una contrattualistica di questo tipo non è credibile».

Il meccanismo, insomma, sembra lo stesso del caso Ebola: Pintus Group manda in Paesi in via di sviluppo una bozza di contratto, che serve a cercare un conto pulito dove far transitare soldi che poi - in base allo stesso contratto - dovranno tornare al finanziere italiano. Ma è possibile che in Senegal ci siano cascati? Nonostante le richieste, né il governo di Dakar, né la Bceao hanno voluto commentare. Però la bozza esiste: lo conferma l’imprenditore Madior Bouna Niang, che in una lettera allegata al documento viene presentato come intermediario con il governo senegalese. «Ho fermato io il progetto, non mi fidavo», assicura l’imprenditore. Ma dice di non poter fornire prove.

Le promesse di Pintus Group hanno creato problemi anche in Italia. Al golf club Le Madonie, a due passi da Palermo, trenta lavoratori hanno perso il posto in attesa di finanziamenti mai arrivati. Proprietaria dell’impianto era la società Ecotecna srl, fallita nel 2012. Nel 2011, poco prima del tracollo, si era fatto avanti proprio il gruppo Pintus, dicendosi interessato ad acquisirne il 95 per cento, al prezzo di 140 milioni, tramite una società inglese chiamata Rinfus Investments Company. I soldi però non sono mai arrivati. E nel luglio 2016 il golf club è stato messo all’asta per la settima volta.

Lo stesso copione - Pintus Group promette, ma poi non aiuta - si è ripetuto anche per Malgara Chiari&Forti, l’azienda alimentare guidata da Giulio Malgara, l’ex presidente dell’Auditel. La società italiana aspettava 30 milioni di euro in cambio della cessione di una quota superiore all’80 per cento delle azioni. Il salvagente targato Pintus Group però non è mai arrivato. E la Malgara è fallita a giugno 2016, lasciando a casa 80 persone.

Questa inchiesta giornalistica è stata realizzata da Irpi (Investigative reporting project Italy) e dal Center for investigative journalism, con il contributo di Journalism Fund - Connecting Continents, e viene pubblicata in Senegal, Nigeria, Germania, Portogallo e, per l’Italia, in esclusiva su l’Espresso